Cari fratelli e sorelle,
diamo anzitutto il nostro benvenuto ai rappresentanti della città tedesca Schwäbisch Gmünd gemellata con la città di Faenza. Herzlich willkommen!
In questa VI domenica del tempo di Pasqua troviamo finalmente risposta ad una delle domande che ci siamo posti fin da giovani: come conoscere Dio? Nasciamo con questo anelito insito in noi. Tutti gli uomini, di qualsiasi razza, nazione e colore, cercano Dio, perché siamo tutti pellegrini della verità e del bene. Anche chi conclude la sua ricerca, affermando che Dio non esiste e si professa ateo, reca inevitabilmente in sé l’inclinazione ad incontrare Dio. Si nega l’esistenza di Dio movendo, in ogni caso, da una qualche idea di Lui, che il Creatore stesso ha inscritto nel pensiero e nella volontà degli uomini.
Un grande pensatore francese del Novecento, Etienne Gilson, che con i suoi studi ha contribuito a sfatare quel pregiudizio che definiva il Medio Evo epoca dei secoli bui, ci ha lasciato un volumetto dal titolo: L’ateismo difficile. La tesi che egli sosteneva era la seguente. Nonostante che molti si dichiarino atei convinti, e che esistano numerosi testi sulle varie forme di ateismo, bisogna dire che è difficile, se non praticamente impossibile, sostenere questa posizione, perché nel nostro spirito è impressa, che lo si voglia o no, l’idea di Dio. E nessuno, neanche chi lo nega, la può cancellare.
Potremmo dire che la nozione di Dio fa parte del «patrimonio genetico», che ogni persona porta sempre con sé. In Paolo leggiamo che «Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: “Abbà, Padre”». (Gal 4, 6).
Per conoscere Dio, pertanto, come insegna san Bonaventura da Bagnoregio nella sua opera intitolata Itinerario della mente in Dio, basta scrutare in se stessi, dentro la propria intelligenza e la propria volontà. Proprio qui è possibile scorgere riflessa la Sua immagine e così giungere ad una conoscenza sia pure indiretta, che ovviamente non sarà una visione faccia a faccia.
San Giovanni apostolo, nella sua Prima lettera, ‘ che vi esorto a meditare ‘, afferma che possiamo approfondire la nostra conoscenza di Dio attraverso l’esperienza dell’amore fraterno. Chi ama il proprio fratello conosce Dio. Chi non ama il fratello non può dire di amare e di conoscere Dio intimamente, perché Dio è amore (cf 1 Gv 4,7-10).
Non solo possiamo conoscere Dio in maniera astratta, concettuale o mediante la cosiddetta via negativa. Possiamo addirittura inabitare in Lui, fare esperienza del suo Essere, a condizione di amarci come Lui ci ha amati per primo: «Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore», ci assicura il Signore Gesù (Gv 15, 9-17). Sono davvero parole consolanti ed incoraggianti.
Per conoscere Dio, quindi, non è necessario studiare moltissimi libri, fare profonde ricerche scientifiche, viaggiare per venire a contatto con le molteplici religioni della terra. È sufficiente amare il proprio fratello, amarlo con lo stesso amore di Gesù Cristo, perché «l’amore autentico di sua natura tende all’infinito e all’eternità».
Tra le persone che hanno maggiormente amato l’umanità e i propri simili emerge sovrana la figura di Maria santissima, nostra Patrona. Proprio per questo suo amore per noi, per la nostra salvezza, ha potuto conoscere e amare Dio nella maniera più completa.
Se viviamo la sua apertura all’accoglienza di Dio ‘ che in Lei si è verificata prima nella mente e poi nel grembo ‘, anche noi potremo davvero conoscere il Padre, sperimentare la sua trascendenza, quasi sino a «toccarla» e a comunicarla. La Figlia di Sion ha «conosciuto» e sperimentato Dio come Madre, poiché, attraverso la sua maternità, ha intessuto la carne, l’umanità del Figlio di Dio, ospitandoLo in sé, sotto il proprio cuore.
Maria è madre delle Grazie, perché ha generato Colui che è la Grazia, Gesù Cristo. Non dobbiamo dimenticare mai che la Vergine è strada privilegiata che ci porta a Dio. Vogliamo conoscere ed amare di più Dio? Impariamo da Maria, la Madre, che ha accolto e generato Colui che è Verità, Vita e Via. Non sbaglieremo, allora, dicendo che possiamo conoscere più intimamente Dio attraverso l’amore della Madonna per il Figlio Gesù.
In questa Eucaristia la città di Faenza ha la bella consuetudine di offrire alla Patrona della città e della diocesi tanti ceri quanti sono i Rioni, quale gesto che coinvolge tutta la cittadinanza nell’amore a Maria.
L’omaggio dei ceri da parte dei Rioni della Città non sta a significare soltanto una manifestazione d’affetto verso Colei che, come ogni madre, protegge i suoi figli, ma anche un ringraziamento, perché suo tramite possiamo conoscere e ad amare meglio Gesù Cristo, l’Uomo-Dio.
Egli ci salva e redime con il dono della sua stessa Vita, rinnovato ogni giorno nell’Eucaristia, come quella che stiamo celebrando.