OMELIA per il PELLEGRINAGGIO degli ANZIANI e MALATI alla MADONNA DELLE GRAZIE

Faenza - Basilica Cattedrale, 10 maggio 2015
10-05-2015

Cari fratelli e sorelle,

nell’occasione della Festa della nostra Patrona, la Parola di Dio ci consola e ci sostiene nel nostro cammino di fede. Sia che siamo giovani o anziani, sia che siamo in salute o ammalati, Gesù ci invita a rimanere in Lui, nel suo amore, per portare frutto. Se viviamo in Lui, la nostra vita, le nostre sofferenze, l’impegno di cura dei nostri fratelli e sorelle, l’annuncio e la testimonianza, l’animazione cristiana delle realtà temporali, la grande opera dell’educazione acquisiscono una valenza trascendente.

Se entriamo nell’amore di Cristo e vi dimoriamo, c’è gioia, gioia piena: nel servire i nostri fratelli e sorelle bisognosi, nel seguire la nostra vocazione, nel vivere la nostra attuale situazione.

L’unica condizione per vivere costantemente nella gioia è amare come Lui, che ci ha dato il comandamento nuovo: amatevi gli uni e gli altri come io vi ho amati (cf Gv 15, 9-17).

Chi ama in Gesù, come Lui, porta molto frutto, in qualsiasi condizione si trovi ad operare: da sano, da ammalato, da mamma o da papà, da fedele laico o da sacerdote, da religioso o da diacono, da responsabile della cosa pubblica o da semplice cittadino, da imprenditore o da lavoratore.

In questa santa Messa, che vede in particolare la presenza degli anziani e degli ammalati, siamo invitati a riflettere sui frutti che l’amore di Cristo consente a loro di portare nella famiglia, nella società e nella Chiesa.

Gli anziani, che hanno fede e continuano a riempire il loro cuore dell’amore di Gesù Cristo, sono come alberi che continuano a portare frutti. La vecchiaia, come ogni stagione dell’esistenza, è tempo di grazia, in cui il Signore rinnova quotidianamente la sua chiamata. Egli chiama i nonni a custodire e a trasmettere la fede ai bambini che sovente sono a loro affidati dai genitori, impegnati nel lavoro da mattina a sera. In alcuni Paesi ove si subisce la persecuzione religiosa, come ci informano anche i giornali, sono i nonni che portano i bambini ad essere battezzati di nascosto, a dare loro la fede. «Ai nonni, che hanno ricevuto la benedizione di vedere i figli dei figli (cf Sal 128,6) – ha detto papa Francesco nel suo discorso del 28 settembre 2014, pronunciato in occasione del suo incontro con gli anziani – è affidato un compito grande: trasmettere l’esperienza della vita, la storia di una famiglia, di una comunità, di un popolo; condividere con semplicità una saggezza, e la stessa fede: l’eredità più preziosa! Beate quelle famiglie che hanno i nonni vicini! Il nonno è padre due volte e la nonna è madre due volte».

Ma anche gli ammalati sono chiamati a portare frutti copiosi nelle loro famiglie, nella comunità ecclesiale, negli ambienti in cui vivono.

Gli ammalati, come ci ha insegnato Cristo stesso, sono persone in cui riconoscere la sua presenza, sicché se non li aiutiamo ed amiamo non accogliamo, non amiamo Lui. Chi assiste gli ammalati, specie quelli gravi o in fase terminale, diventa i loro occhi, i loro piedi (cf Giobbe 29,15). Le persone che assistono gli ammalati bisognosi di un’assistenza continua per lavarsi, vestirsi e nutrirsi, si santificano accogliendo tra le loro mani la vita dei propri fratelli e sorelle, ossia la carne sofferente di Cristo. Gli ammalati, che sono affidati o si affidano a loro, diventano come i loro figli, i loro bimbi da accudire e da amare con tanti gesti di tenerezza e di servizio. I medici, gli infermieri, i volontari sono chiamati ad essere, in un certo senso, «madri» e «padri» nei confronti di coloro che si sono o sono consegnati a loro come esseri bisognosi di cura e di tutto. I nostri ammalati sono una vita affidata a noi, ai medici, alla società, la quale mostra il suo grado di civiltà proprio da come li tratta.

Ma gli ammalati non sono solo destinatari d’amore e di cure. Essi sono persone che vivono la loro esistenza trepidando ed amando insieme.

Gesù li vuole attivi, ricchi di amore, non passivi e rassegnati. Sopportare le sofferenze in maniera stoica non è cristiano. Gesù desidera che il dolore non sia vissuto invano, negativamente, e cioè come una triste occasione di sconforto e di disperazione.

Il dolore, se è vissuto con l’amore di Gesù Cristo, ossia come Egli ha vissuto la sua passione, con fiducia e speranza in Dio, acquista un altro senso. Se si immette nella malattia lo Spirito d’amore di Cristo essa si trasforma in un’esperienza di bene e di valore per gli altri. Le malattie, le sofferenze possono divenire un’occasione di apostolato e di dono. Il beato Mons. Luigi Novarese, sacerdote di origine piemontese, fondatore del Centro Volontari della Sofferenza e dei Silenziosi Operai della Croce, che ha saputo rinnovare la pastorale dei malati, rendendoli soggetti attivi nella Chiesa, era pienamente convinto di questo. Egli soleva ripetere che gli ammalati, i disabili possono diventare sostegno e luce per altri fratelli, trasformando l’ambiente in cui vivono. Sentite cosa ha detto papa Francesco quasi due anni fa incontrando l’U.N.I.T.A.L.S.I. e gli ammalati che essi accompagnavano: «Cari fratelli e sorelle ammalati, non consideratevi solo oggetto di solidarietà e di carità, ma sentitevi inseriti a pieno titolo nella vita e nella missione della Chiesa. Voi avete un vostro posto, un ruolo specifico nella parrocchia e in ogni ambito ecclesiale. La vostra presenza, silenziosa ma più eloquente di tante parole, la vostra preghiera, l’offerta quotidiana delle vostre sofferenze in unione a quelle di Gesù crocifisso per la salvezza del mondo, l’accettazione paziente e anche gioiosa della vostra condizione, sono una risorsa spirituale, un patrimonio per ogni comunità cristiana. Non vergognatevi di essere un tesoro prezioso della Chiesa!» (Discorso ai partecipanti dell’incontro con l’U.N.I.T.A.L.S.I. 9 novembre 2013).

Maria, B. V. delle Grazie, Patrona di questa città e di questa Diocesi, e Madre dell’Amore, aiuti tutti i credenti, compresi gli anziani e gli ammalati, a portare frutti abbondanti, accogliendo soprattutto Gesù Cristo, il suo Figlio, e unendo il nostro sacrificio al Suo.