OMELIA nella SOLENNITÀ della EPIFANIA

Faenza - Basilica Cattedrale, 6 gennaio 2016
06-01-2016

Cari fratelli e sorelle,

con la solennità dell’Epifania celebriamo la manifestazione di Cristo ai Magi. Cristo si rivela come Luce che illumina – Egli è il Sole che sorge dall’alto (Lc 1, 78) – non solo Maria, Giuseppe, i pastori, ossia il «resto d’Israele», i poveri, gli anawin, ma anche i popoli pagani rappresentati dai Magi. Essi, prostrati, adorarono il Bambino, offrirono doni d’Oriente: oro, incenso e mirra: simboli profetici di segreta grandezza che svelano alle genti una triplice gloria! Oro e incenso proclamano il Re e Dio immortale; la mirra annunzia l’Uomo dei dolori, deposto dalla croce.

Ma, come abbiamo udito dalla lettura del Vangelo (cf Mt 2, 1-12), Gesù Cristo non appare come Luce a tutti. Non è luce per i potenti, per Erode, per coloro che abitano nei palazzi regali. Anzi, Erode vede in Cristo un possibile concorrente per il suo trono e camuffa il timore con una plateale menzogna: «… quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

In breve, Cristo nasce per tutti come Luce, ma non tutti l’accolgono. Come ci ricorda l’evangelista Giovanni: «la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3,19). La luce non viene accolta perché chi sceglie il male ottenebra i suoi occhi che non riescono a vederla.

L’arrivo dei Magi dall’Oriente a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è il segno della manifestazione del Re universale ai popoli, a tutti gli uomini che cercano la verità, la sapienza e l’Amore di Dio.

Ma, chiediamoci, perché Cristo è «Luce» per i popoli?

Come spiega l’apostolo Giovanni nella sua Prima Lettera: Dio è Luce per noi perché è «Amore». La Luce che si manifesta alle genti in Gesù è l’amore di Dio, è, come ha spiegato papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo straordinario, la Misericordia del Padre.

I Magi giungono dall’Oriente attratti dalla Luce, dall’Amore di Dio che viene incontro a chi lo cerca nell’umiltà di un Bambino, lo accoglie tra le braccia, lo riconosce come il proprio Tutto e lo adora. Egli viene a compiere una vera e propria rivoluzione nell’umiltà, non con i mezzi potenti e violenti della guerra e delle armi, bensì mediante i «mezzi poveri» dell’amore, del dono totale di sé e del perdono, come ci hanno spiegato molto bene i nostri pensatori personalisti, a cominciare da Jacques Maritain, grande filosofo cristiano del secolo scorso.

I Magi ci ricordano che tutti gli uomini, anche i più lontani, sono chiamati ad accogliere in Gesù, la salvezza di Dio. Questa è per tutti, è un dono universale.

Ma con la Solennità dell’Epifania ci è mostrato anche il mistero della Chiesa, la sua dimensione missionaria. Essa, ci ha ricordato papa Benedetto, in un’omelia dell’Epifania , «è chiamata a far risplendere nel mondo la luce di Cristo riflettendola in se stessa come la luce del sole» (Omelia del 6 gennaio 2006).

Detto altrimenti, la Chiesa dev’essere nel mondo un punto luminoso che attira a sé tutti gli uomini e illumina il loro cammino verso Cristo, rendendo compiute le antiche profezie, come quella stupenda del profeta Isaia che abbiamo ascoltato poc’anzi: «Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60, 1-3). Analogamente, i discepoli di Cristo, ammaestrati da Lui, dovranno attrarre, mediante la testimonianza dell’amore misericordioso di Dio, tutti gli uomini al Padre: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,16).

Come è possibile essere un’epifania di Cristo, una «visione di Lui», come suggeriva sant’Ireneo di Lione? Ce lo insegna Maria santissima con la sua disponibilità: «Si faccia di me secondo la tua parola». Noi siamo, per i nostri contemporanei, la «visione di Dio», stella che conduce a Lui, mediante l’evangelizzazione e una testimonianza credibile della misericordia divina. La Chiesa italiana ne ha indicato un percorso, riassumibile in cinque verbi: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Nelle prossime settimane, i rappresentanti della Diocesi al Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze ritorneranno nei vari Vicariati per offrire la loro testimonianza e sollecitare un movimento sinodale, ovvero comunitario, facente perno proprio sui verbi citati.

Il compito dell’evangelizzatore non è quello di salvare bensì quello di far incontrare le persone con Gesù Cristo, l’unico che salva. Noi siamo chiamati a collaborare con il Redentore e Salvatore, con Colui che è Luce.

Chiediamoci: con la nostra vita annunciamo e testimoniamo Gesù Cristo affinché Egli sia incontrato, da piccini e grandi, specie da quelli che, dopo la Cresima o Confermazione l’hanno abbandonato? Noi oggi siamo giustamente preoccupati dall’eccesso e dalla pesantezza di tante strutture ecclesiali, le quali anziché essere un aiuto per l’evangelizzazione, spesso si mostrano ingombranti o troppo gravose da gestire, distraendo forze e risorse dagli obiettivi primari. E, allora, ci sentiamo chiamati alla loro riforma, al loro ridimensionamento, come anche alla revisione delle metodologie pastorali. Ma non dobbiamo dimenticare che la condizione prima per facilitare l’incontro delle persone e dei giovani con Gesù Cristo è, in definitiva, l’amore che noi abbiamo per Lui: un amore appassionato, travolgente, che trasfigura le nostre esistenze, rendendole un linguaggio eloquente che parla di Lui, che innamora e fa vibrare l’anima all’unisono con lo Spirito che grida: «Abbà, Padre». L’evangelizzazione è per un incontro con Gesù Cristo che cambia il corso della vita, come l’ha cambiato ai Magi che non ritornarono più da Erode per non essere in combutta con lui, nemico di Gesù. È Cristo che ci converte all’amore di Dio. Non siamo noi che salviamo i nostri fratelli.

A questo proposito, domandiamoci, cari fratelli e sorelle: la nostra vita è davvero cambiata al punto da non essere alleati con coloro che sbeffeggiano Gesù Cristo, il crocifisso, la Chiesa, il suo diritto alla libertà religiosa, il diritto alla vita, il Vangelo? Sui punti elencati serve oggi, anche all’interno delle nostre comunità ed associazioni, un serio e rigoroso esame di coscienza, per non trovarci gradualmente complici di una triste deriva di civiltà, ed essere persone che lavorano, consapevolmente o inconsapevolmente, ad oscurare la Luce del mondo.

Ogni comunità e ogni singolo fedele può rendere il servizio che la stella ha offerto ai Magi d’Oriente, conducendoli fino a Gesù, se viene dato il primato alla rivoluzione spirituale e morale che Cristo è venuto a portare in questo mondo. Occorre sì cambiare strutture e metodologie, ma ciò va sempre realizzato in subordine alla conversione morale e spirituale delle persone. Strutture e metodologie modificate non sono sufficienti a cambiare i cuori, gli stili di vita.

La Chiesa e i singoli cristiani possono essere luce, che guida a Cristo, solo se si nutrono assiduamente e intimamente della Parola, che si è fatta carne e cibo per noi. È la Parola che illumina, purifica, converte, non sono certo solo i nostri discorsi o i programmi pastorali rinnovati.

Che Maria, Madre di Dio e della Chiesa, ci aiuti a portare la Luce, che è Cristo, nel mondo!