Conferenza alla Fraternità Francescana Frate Jacopa

Roma - 4 gennaio 2016
04-01-2016

Premessa

Il Messaggio per la Celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2016 di papa Francesco è coinciso con un clima internazionale fortemente turbato dai gravi episodi di terrorismo che hanno provocato a Parigi numerose vittime tra i civili e reazioni di dura condanna da parte degli Stati occidentali, ma non solo. E, tuttavia, il Messaggio tiene presenti tanti altri avvenimenti che, in una maniera o nell’altra, hanno messo in pericolo la pace, sino a dare la sensazione di trovarci, come ha efficacemente affermato papa Francesco, di fronte ad «una terza guerra mondiale a pezzi». Quando è stato scelto il tema per il Messaggio – questo avviene di solito nei primi mesi dell’anno, verso giugno –  forse non si sarebbe immaginato quanto sarebbe successo il 13 novembre scorso. Probabilmente, a fatti compiuti, la scelta del tema non sarebbe caduta sull’indifferenza, ma sulle nuove forme della guerra e sulle azioni terroristiche contemporanee. Ma, come dice un noto proverbio, «acqua passata non macina più». Ad ogni buon conto, il tema scelto Vinci l’indifferenza e conquista la pace, anche ad eventi consumati, conserva tutta la sua pertinenza. Infatti, i tanti fenomeni di odio e violenza, sfocianti in guerre o in azioni terroristiche, iniziano a partire dall’indifferenza nei confronti del bene del prossimo e del creato, del bene comune mondiale relativo alla famiglia umana.

Il mondo ha bisogno di salvezza, della salvezza di un Dio

Oggi, non abbiamo, forse, bisogno di chi, ci salvi, dal momento che viviamo in un mondo di odio, violenza, guerre, terrorismo, ingiustizie, povertà, migrazioni forzate e gli sforzi delle persone di buona volontà appaiono fortemente impari rispetto alle necessità, a tirarci fuori dall’iniquità e dalle tenebre del male? Non dobbiamo anche noi, già logori e stanchi a causa di tante angustie ed oscurità, riconoscere, come gli antichi greci, che oramai solo un Dio ci può salvare? Non aveva ragione il grande filosofo Martin Heiddeger quando affermava che nulla, né la filosofia né alcuna altra intrapresa umana, può produrre un significativo cambiamento del mondo se non Dio?

A fronte di questi interrogativi il Messaggio di papa Francesco risponde  presentando, sin dall’inizio, una consolante certezza: «Dio non è indifferente. A Dio importa dell’umanità. Dio non l’abbandona» (n. 1). Detto altrimenti, il pontefice, a fronte dei mali che sembrano sopraffare l’umanità, reagisce annunciando la verità del mistero dell’incarnazione, che i cristiani contemplano a Natale. Il Signore, che si rende presente nella storia, e diventa «Dio con noi», non è più il Dio distante. Entrando nel mondo è il Vicino, che rimane con noi sino alla fine del mondo (cf Mt 28,20). Egli viene a salvarci, nel senso che non ci lascia soli a combattere contro il male, l’illegalità, la corruzione, e tutte quelle idolatrie che rendono l’uomo schiavo di se stesso. Dio si schiera dalla nostra parte. È per noi, come ci ricorda l’anno giubilare inziato lo scorso 8 dicembre, la Misericordia. Con Lui presente, in noi e negli altri, tutto è possibile. È possibile sconfiggere l’egoismo, il peccato, il fratricidio, l’odio alle religioni, gli attacchi alla vita, alla dignità umana, alla pace, alla casa comune che è il creato; la tratta degli esseri umani, le emigrazioni, lo sfruttamento del lavoro, l’emarginazione dei più deboli. È possibile perdonare.

Non tutto è perduto: l’impegno di custodire le ragioni della speranza

Per quanto grandi siano i mali che indeboliscono l’umanità e ne mettano a repentaglio l’esistenza, come anche la sua forza morale e spirituale – ecco la seconda risposta di papa Francesco – non bisogna rinunciare a coltivare la speranza di poterli superare. Occorre far leva sulla nativa capacità degli uomini di compiere il bene, di superare il male. Nonostante i molteplici conflitti, una «terza guerra mondiale a pezzi» in atto, le azioni terroristiche, i sequestri di persona, le persecuzioni per motivi etnici o religiosi, le prevaricazioni, la tratta degli esseri umani non ci si deve rassegnare.

Papa Francesco consola ed incoraggia l’umanità attirando l’attenzione sul fatto, suffragato dall’esperienza, che non si è persa la capacità di compiere il bene, di operare nella solidarietà, andando al di là degli interessi individualistici, dell’apatia e dell’indifferenza rispetto a situazioni critiche. Lo dimostrano l’incontro dei leader mondiali a Parigi per cercare nuove vie per affrontare i cambiamenti climatici, come anche il precedente Summit di Addis Abeba per raccogliere fondi per lo sviluppo sostenibile del mondo, ed ancora l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile.

Dunque, non tutto è perduto. L’essere umano non è totalmente corrotto e malvagio. C’è in lui un germe insopprimibile di vero, di bene, che può sempre fiorire. In ogni persona, indipendentemente dalla razza e dal proprio credo, c’è una fondamentale capacità di ricercare il vero, il bene e Dio. Una simile capacità è alla base della dignità umana, che ci costituisce uguali e fraterni sul piano creaturale, soggetti di doveri e di diritti. Secondo i grandi teologi del Medio Evo la capacità di vero, di bene e di Dio attesta la nostra somiglianza a Dio. L’immagine di Dio impressa in noi è alla base del nostro essere relazionali, chiamati alla vita comunitaria, al dono, alla collaborazione solidale, al bene comune. Detto altrimenti, ogni essere umano è costitutivamente strutturato a «tu», per il vero e il bene, per  formare un «noi» di persone, nella comunione. Nell’uomo, con l’inclinazione al male, alla chiusura egoistica, con l’indifferenza nei confronti degli altri, che lo porta al conflitto, alla lotta contro l’altro, esiste un’originaria apertura all’auto-trascendimento, all’altro, all’amicizia, alla convivialità. Potenziando la capacità di vero e di bene che c’è nell’uomo, mediante una vita virtuosa, ossia mediante una vita che si orienta alla realizzazione del telos umano, si diventa più umani, ossia più in grado di sconfiggere le cause delle guerre e dell’indifferenza reciproca, più adatti alla costruzione della pace.

Rendere le persone più umane, specie attraverso l’educazione alle virtù, equivale a custodire le ragioni della speranza rispetto ad un mondo diviso ed indebolito dalle guerre. Ma non dimentichiamolo, anche richiamare la presenza di Dio nella storia, in ciascuno di noi, significa custodire le ragioni della speranza, renderle più forti, più reali.

L’indifferenza, il male oscuro che è padre dei conflitti e delle guerre

Nemica della pace non è solo la guerra, ma prima ancora lo è l’indifferenza, che oggi appare essere globalizzata, ossia estesa oltre l’ambito locale ed individuale. L’indifferenza è nemica della pace perché fa pensare solo a se stessi, crea barriere, sospetti, paure, chiusure.

Papa Francesco segnala diverse forme di indifferenza: l’indifferenza nei confronti del prossimo e della realtà circostante; l’indifferenza nei confronti della realtà più lontana, l’indifferenza nei confronti del creato, l’indifferenza nei confronti di Dio, ultima ma non meno importante rispetto alle altre. Come si spiegherà meglio più avanti, per il pontefice è dall’indifferenza nei confronti di Dio che, in ultima analisi, scaturiscono le altre.

Tra le cause che sono all’origine dell’indifferenza il Messaggio ne individua alcune. Vi può essere, rispetto ai mali che affliggono persone, società, istituzioni e casa comune, una sufficiente conoscenza ed informazione, ma non esserci un coinvolgimento emotivo ed operativo. Manca cioè un’apertura in senso solidale. Prevale un pensiero e un’azione ripiegati su se stessi, tutti concentrati sulla considerazione dei propri guai. Ne consegue una certa relativizzazione della gravità dei problemi concernenti gli altri e il mondo, quasi che questi alla fine non ci riguardino e non giungano ad influire negativamente sulla nostra vita e sul nostro futuro.  Un simile atteggiamento, talvolta, giunge anche  a colpevolizzare i poveri, a considerarli come unici responsabili della loro condizione di miseria, di sottosviluppo. Vi può essere, però, all’origine dell’indifferenza, anche l’atteggiamento di chi si rifiuta di informarsi sulla reale situazione in cui i propri  simili vivono, chiudendosi in una specie di torre d’avorio, costruendosi un mondo artefatto e virtuale, fatto a propria misura e comodità, come possono aiutare a creare i moderni mezzi della comunicazione. Si tratta di un’indifferenza che prolifica in assenza dell’esercizio del principio di realtà. L’artificiale, il virtuale prevalgono sul reale storico e concreto.

Ma, a detta di papa Francesco, come già accennato, la causa più profonda dell’indifferenza nei confronti del prossimo e del creato è l’indifferenza nei confronti di Dio (cf n. 3). Questa è uno dei gravi effetti di un umanesimo post-moderno, chiuso alla Trascendenza, intriso da un individualismo libertario, che fa sentire l’uomo autosufficiente, autore di se stesso, misura ultima del vero e del bene. In tal modo, l’essere umano pensa di possedere una libertà senza confini, di essere titolare di diritti che sono pretese illimitate. La libertà non è per la verità, per la cura dell’altro. Essa è semplicemente la possibilità di fare quanto si crede, purché non si ledano i diritti altrui: una libertà, a dire il vero, gravemente insufficiente rispetto alle esigenze del bene comune, che presuppone la cura del bene di tutti. Quando l’uomo pensa di essere un Prometeo, mira a sostituirsi a Dio, a farne completamente a meno. Gli interessa solo se stesso. Gli altri sono considerati antagonisti, avversari, mezzi o strumenti per la propria affermazione incondizionata.

Se si vuole, dunque, battere l’indifferenza nei confronti del prossimo e del creato, occorre vincere l’indifferenza nei confronti di Dio. Rispetto a ciò diviene indispensabile, pare sottintendere papa Francesco, l’evangelizzazione o la ri-evangelizzazione. Senza l’incontro con Dio, senza portare Dio nel cuore, non si è in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità. Si finisce per vederlo come un mezzo e non un fine, come un rivale o un nemico, non come un altro me stesso, una parte dell’infinito mistero dell’essere umano. Senza Dio nel cuore è molto difficile che possiamo essere costruttori di pace, vittoriosi sull’indifferenza. Senza Dio nel cuore è difficile possedere una corretta scala dei beni-valori. È, anzi, facile scivolare in quelle idolatrie che come quelle della tecnocrazia o dell’assolutizzazione del profitto a breve termine assegnano il primato alla tecnica o al denaro a scapito delle persone. Ma non solo. Senza Dio nel cuore è difficile considerare il creato come un bene universale destinato a tutti, anche alle prossime generazioni (cf Laudato sì’).

Scoprire il volto di Dio rende nuova la vita. Perché è un Padre innamorato dell’uomo, che non si stanca mai di ricominciare da capo con noi per rinnovarci. «Però il Signore non promette cambiamenti magici. Lui non usa la bacchetta magica. Ama cambiare la realtà dal di dentro, con pazienza ed amore; chiede di entrare nella nostra vita con delicatezza, come la pioggia nella terra, per poi portare frutto».

La pace è un dono dall’alto che richiede anche la nostra collaborazione.

Indifferenza che investe la sfera sociale e pubblica, a livello nazionale ed internazionale. Alcuni esempi

L’indifferenza verso Dio supera la sfera intima e spirituale della singola persona ed investe la sfera sociale, pubblica, istituzionale, ambientale. Una tale indifferenza sta alla base di situazioni di diseguaglianza, di ingiustizia e di gravi squilibri sociali, che, come già detto, possono generare conflitti, violenze ed insicurezza tra i popoli. L’indifferenza a livello comunitario e sovranazionale giunge a giustificare politiche economiche, finanziarie e monetarie chiaramente insufficienti rispetto allo sviluppo dei Paesi più deboli, ma anche a coltivare svogliatezza nei confronti delle necessarie riforme  dei mercati, delle istituzioni internazionali, rispetto a problemi globali che reclamano politiche ed istituzioni globali. È il caso dell’incuria rispetto al bisogno di  riforma dell’attuale sistema finanziario e monetario, come ha sottolineato per tempo papa Francesco nella Laudato sì’. Ecco le sue stesse parole, che alcuni hanno già letto e che in questi giorni sono tornate ad essere di particolare attualità perché non pochi risparmiatori hanno perso tutti i loro guadagni avendoli investi in obbligazioni subordinate emesse da banche ora fallite: «Il salvataggio ad ogni costo delle banche – scrive il pontefice –, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo». 

Ma indifferenza sul piano di politiche nazionali ed internazionali va registrata anche con riferimento al superamento della piaga della fame e della povertà. Infatti,  si deve constatare che il diritto al cibo, peraltro sancito a livello internazionale da vari documenti, non è affatto, per alcuni Governi, una priorità. Così, si debbono registrare diverse inadempienze da parte di istituzioni intergovernative che non correggono le politiche commerciali contrarie allo sviluppo agricolo e alla sicurezza alimentare dei più poveri, dei più vulnerabili. Parimenti, Governi e politici non provvedono alla protezione delle risorse naturali da cui dipende la sopravvivenza di molti, ma anche coltivano decisioni contrapposte: da una parte incentivano la crescita economica e forti esportazioni agricole, dall’altra una porzione elevata della popolazione soffre i morsi della fame. Come evidenzia un recente studio del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ciò che risulta palese è che il maggior numero di cause della mancata effettività del diritto al cibo e alla sicurezza alimentare sono da ricercare anzitutto a livello politico-istituzionale. Ciò viene confermato dal fatto che numerose riforme agrarie hanno spesso deluso le aspettative, specie perché non hanno supportato l’accesso dei piccoli produttori ai mercati, senza fornire i servizi sociali indispensabili e l’assistenza tecnica, senza agevolare l’accesso al credito. 

La carenza di adeguate politiche economiche, fiscali, creditizie, con la conseguente insufficienza di infrastrutture di stoccaggio, di trasporto, di comunicazione sono anche all’origine dell’indebolimento agricolo di numerosi Paesi. Si sono, invece, rafforzati quei Paesi ricchi nei quali la produzione agroalimentare è stata sovvenzionata o supportata dallo Stato.

La conversione alla misericordia e alla fraternità

Ogni giorno riscontriamo segni negativi che contrastano con la tensione verso la pienezza umana, per la quale ci ha fatti Dio.  A volte ci domandiamo: come è possibile che perduri la sopraffazione dell’uomo sull’uomo?, che l’arroganza del più forte continui ad umiliare il più debole, relegandolo nei margini più squallidi del nostro mondo? Fino a quando la malvagità seminerà sulla terra vittime innocenti? Come sperare un mondo migliore quando continuiamo a vedere sotto i nostri occhi moltitudini di uomini, donne e bambini che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione, disposti a rischiare la vita pur di vedere rispettati i loro diritti fondamentali? Un fiume di miseria, alimentato dall’egoismo e dal peccato, incontenibile, sembra contraddire prepotentemente il nostro desiderio di fraternità e di pace. Secondo papa Francesco, la globalizzazione dell’indifferenza, come anche la drammatica esperienza delle molteplici forme di ingiustizia e di violenza che feriscono quotidianamente l’umanità, possono essere vinte solo dall’oceano di misericordia che, tramite Cristo, inonda il mondo. Cristo che si incarna è la misericordia di Dio resa a noi accessibile. Siamo chiamati tutti ad immergerci in questo oceano, a lasciarci rigenerare dal perdono e dall’amore di Dio.

Solo l’incontro con l’amore misericordioso del Padre può aiutarci a salvarci, a cambiare il corso della storia. Solo convertendoci a Dio Padre possiamo convertirci alla fraternità e sconfiggere l’indifferenza. Grazie all’esperienza della misericordia riusciamo a  trasfigurare tutto l’uomo, tutte le sue attività, tutti i luoghi esistenziali: la famiglia, la scuola, il lavoro, l’economia, la finanza, la politica, i mezzi di comunicazione sociale, la casa comune che è il creato, la cultura, la famiglia umana.

Per capire quanto possiamo diventare capaci di rivoluzionare noi stessi, la società e le istituzioni dobbiamo intendere bene la realtà della misericordia di Dio. Non si tratta di un sorriso, di un atteggiamento di benevolenza. La misericordia di Dio non va scambiata per un gesto buonista che non cambia il mondo e i cuori. La misericordia che Dio ci dona è se stesso, il suo Amore, la sua Vita, la sua capacità di dono e di perdono. Essa implica, non esclude la giustizia umana. La comprende, la rende più cogente e nello stesso tempo la supera.

Proprio su questo piano, i credenti devono essere coscienti della specificità del loro impegno di pace. Essi vi contribuiscono attuando quella giustizia più grande che Dio misericordioso fa sperimentare a coloro che gli vanno incontro. Egli ama con un amore molto più grande di quello semplicemente umano. Il suo amore e il suo dono sono commisurati al nostro essere figli e figlie suoi. Se facciamo esperienza del suo immenso amore misericordioso diventiamo capaci di portare nel mondo una giustizia più grande, corrispondente all’altissima dignità dei figli e dei fratelli in Gesù Cristo. Poggiando su queste basi possiamo essere protagonisti di una  cultura di misericordia e di solidarietà, capace di vincere l’indifferenza, divenendo capaci di proporre, quando ne sia il caso, l’inserimento nelle legislazioni nazionali di pene alternative alla detenzione carceraria (cf n. 8).

Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2016 sollecita ad essere protagonisti della pace vivendo la misericordia di Dio senza rinserrarla, come spesso fanno i mezzi di comunicazione sociale, entro schemi troppo angusti, ossia meramente assistenzialistici, di pura azione caritativa. La Misericordia divina, ossia la vita d’Amore e di perdono del Padre, è un torrente di vita nuova che trasborda l’attività assistenziale, inonda la famiglia umana, tutti i luoghi esistenziali, compresa la politica, come mi sono sforzato di spiegare nella mia prima Lettera pastorale.

Se desideriamo la pace, ci si deve impegnare come famiglie, educatori e formatori nella scuola e nei diversi centri di aggregazione infantile e giovanile, come operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale; come Paesi e come Istituzioni internazionali, come ONG, società civili, comunità religiose. Occorre operare su tutti i fronti: culturali, sociali, politici, economici, istituzionali, spirituali. Il che, tra l’altro, implica che Stati, cittadini, associazioni si impegnino a sostenere e a varare politiche in favore di coloro che soffrono la mancanza di lavoro, terra, tetto, sicurezza sociale, istruzione, democrazia inclusiva e partecipativa. La misericordia di Dio sollecita ad una trasfigurazione a 360 gradi. In forza della misericordia i cattolici sono chiamati ad un impegno anche politico, non solo caritativo.

Occorre rendersi conto, poi, che se siamo indifferenti nei confronti della vita, specie dei nascituri e dei più deboli, difficilmente saremo capaci di volere la pace, che implica rispetto e promozione dei diritti di tutti. Non ci deve, poi, sfuggire l’appello di papa Francesco alle autorità statali per l’abolizione della pena di morte, là ove essa è ancora in vigore. Esso non è solo un invito per gli Stati, ma anche per la Chiesa e la sua teologia morale affinché si arrivi ad aggiornare il Catechismo della Chiesa Cattolica, che la prevede ancora, sia pure in casi estremi.

Papa Francesco, oltre ai problemi della cura della casa comune, dei detenuti, dei migranti, dei malati, ribadisce l’urgenza della cancellazione del debito internazionale degli Stati più poveri, come in parte si è realizzato al tempo del Giubileo del 2000.

Le esigenze della pace sono molte. Ciò richiede comunità cristiane capaci di collaborare tra loro e con gli uomini di buona volontà, nella concretizzazione di un umanesimo più conforme alla dignità dei figli di Dio.

Gesù Cristo causa esemplare di una misericordia samaritana

Nel contesto del Giubileo straordinario della Misericordia, papa Francesco ci sollecita, in particolare, ad andare incontro alla Misericordia di Dio, ad accogliere il suo Amore e il suo perdono. Solo così si può passare dall’indifferenza a considerarci fratelli e sorelle di un’unica famiglia, ove tutti possiedono un cuore che batte forte per il bene dell’altro. Ricevere la Misericordia di Dio, fare esperienza del suo Amore samaritano, nonché del suo perdono che ci guarisce interiormente, significa pensare alla propria libertà come a un non limitarsi a non ledere il diritto altrui, bensì come ad un impegnarsi per il bene degli altri, oltre che per il proprio.

Solo grazie ad una simile concezione della libertà si è in grado di prendersi cura dell’altro, di collaborare nella solidarietà, di dedicarsi al bene comune, che è bene di tutti e, quindi, di conseguire la pace.

Se possediamo una concezione individualista della nostra libertà, senza riconoscere i legami sociali che ci tengono uniti, diventiamo protagonisti di un’esistenza, singola e sociale, che si dedica solo a coltivare l’interesse di pochi e non di tutti. La vita di fede ci aiuta a vederci come fratelli e sorelle, come persone che, essendo ad immagine di Dio Amore, sono fatti per il dono disinteressato. L’uomo e la donna si realizzano attraverso un’esistenza che è pro-essere e si dedica agli altri, non si rinchiude in sé, bensì si autotrascende, in un’estasi verso Dio e il prossimo. La fraternità poggia sull’esperienza dell’appartenenza di una umanità in cui nessuno è estraneo all’altro. Cresciamo come famiglia umana, giusta e pacifica, quando ognuno si prende cura dell’altro, rendendolo più capace di vero, di bene e di Dio, riconoscendo e dando a ciascuno il «suo».

I credenti, per imparare a vivere la misericordia e a vincere l’indifferenza debbono vivere in comunione con lo Spirito del Padre e del suo Figlio incarnato, quello Spirito d’Amore che grida: «Abbà! Padre!» (cf Gal 4,4-7). Come narra l’Antico Testamento, quando i figli di Israele si trovano schiavi in Egitto, Dio interviene. Osserva, ode il grido del suo popolo, scende e libera. È attento ed opera. 

In maniera analoga si comporta il Figlio Gesù. Egli è Dio che scende tra gli uomini, si incarna, si mostra solidale con l’umanità, in ogni cosa, eccetto il peccato. Non si accontenta di insegnare alle folle, ma si preoccupa di loro, specialmente quando le vede affamate (cf Mc 6, 34-44) o disoccupate (cf Mt 20,3). «Il suo sguardo – si legge nel Messaggio per la pace 2016 – non era rivolto soltanto agli uomini, ma anche ai pesci del mare, agli uccelli del cielo, alle piante e agli alberi, piccoli e grandi; abbracciava l’inter