Omelia nella festa di San Francesco d’Assisi

04-10-2017

Oggi celebriamo uno dei santi più noti del mondo cristiano. Francesco seppe imprimere in sé i sentimenti del Figlio di Dio a tal punto da essere considerato un alter Christus: fu veramente un’icona viva di Cristo. Venne anche chiamato «fratello di Gesù». Il suo ideale era quello di essere come Gesù.

Cosa può insegnare a noi oggi san Francesco mentre cerchiamo di attuare l’Evangelii gaudium (=EG) e stiamo preparando il Sinodo dei giovani?

Innanzitutto ci insegna ad essere innamorati di Gesù Cristo crocifisso. La conversione spirituale e morale di Francesco d’Assisi, figlio di un ricco mercante, iniziò dall’incontro con il Crocifisso della chiesetta di san Damiano. Per tre volte il Cristo in croce si animò e gli disse: «Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina». Il cammino di Francesco parte, dunque, dallo sguardo di Gesù sulla croce. È guardato dal Crocifisso e si sente attirato ad amarlo. Il Gesù del crocifisso, infatti, non appare morto, ma vivo. Gesù non ha occhi chiusi, ma aperti, spalancati: uno sguardo che parla al cuore. Francesco ode chiaramente l’invito di Cristo che lo invia a compiere una missione per amor suo.

Sappiamo che Francesco iniziò a riparare la chiesetta, ma che lo stato rovinoso dell’edificio è simbolo della situazione drammatica della Chiesa stessa in quel tempo. La fede dei credenti era superficiale, senza radici profonde, non trasformava la loro vita; il clero era poco zelante e l’amore per i poveri era raffreddato. La distruzione interiore della Chiesa comportava una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. La casa del Signore rischiava la rovina.

In realtà, il Crocifisso chiamò Francesco non solo a un lavoro manuale, a restaurare la chiesetta di san Damiano fatta di pietre ma a compiere nella Chiesa universale un lavoro più profondo, ossia a rinnovarla soprattutto dal punto di vista spirituale e morale. Ciò avvenne allorché Francesco abbandonò le ricchezze e i divertimenti, abbracciò la povertà, dedicandosi alla predicazione, dando origine a rigogliosi movimenti spirituali, tra i quali quello della Clarisse di santa Chiara.

Papa Innocenzo III quando Francesco si presentò davanti a lui per fargli visita e sottoporgli il progetto di una nuova forma di vita cristiana, riconobbe quel religioso piccolo e insignificante che vide in sogno e che puntellava con le sue spalle la basilica di san Giovanni in Laterano, la madre di tutte le chiese, che stava crollando.

Che cosa, in definitiva, ha reso efficace san Francesco nella sua azione riformatrice della Chiesa? Non si può che rispondere così: il suo essersi innamorato di Cristo, l’averlo seguito, l’averne condivisa la vita di Servo sofferente, facendo proprio il suo «giogo».

Dal Vangelo abbiamo sentito queste parole: «Venite a me, voi tutti, che siete stanchi ed oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Mt 11, 28-29). San Francesco è riuscito a rinnovare la Chiesa perché ha preso su di sé il «giogo» di Cristo, ossia il suo amore. Chi vive l’amore di Cristo, l’amore più grande, quello della Croce, e diventa uno col Crocifisso, Colui che ha inondato la Chiesa con il Suo Spirito rigeneratore, diventa a sua volta capace di far nuove le cose e le persone. Perché innamorato di Cristo Francesco fa suo l’invito di riparare la Chiesa in rovina e si mette all’opera seguendo l’impulso dello Spirito.

A noi che stiamo preparandoci al Sinodo, avente come tema centrale «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» san Francesco si presenta come modello di discernimento sulla propria vita e insegna a diventare costruttori dell’edificio spirituale che è la Chiesa. Tra gli obiettivi del nostro Sinodo diocesano si è posto, non a caso, quello di accompagnare i giovani a riconoscere la loro vocazione alla Gioia e ad essere costruttori non solo della Chiesa fatta di pietre materiali bensì di pietre spirituali. Ma tra gli obiettivi del prossimo Sinodo vi è anche quello di far sì che i nostri giovani diventino costruttori di un mondo più fraterno, giusto e pacifico. Essi non devono stare con le braccia conserte o a guardare che gli altri costruiscono il mondo, senza impegnarvisi. Non bisogna ignorare che san Francesco riceve la vera pace e ne diviene artefice perché segue fedelmente Cristo che dà agli uomini la pace come nessun altro. Francesco diviene «strumento di pace» perché si dona interamente al Signore e si propone di amare come Lui. È l’amore di Gesù Cristo che lo sollecita a recarsi in Egitto dal sultano per domandargli conversione e rispetto per la fede cristiana. È lo stesso amore che sospinge Francesco a porre pace fra la città di Gubbio e il lupo rapace che ne terrorizzava i cittadini. Come? Facendo riconoscere all’animale feroce le sue colpe e agli abitanti il dovere di nutrirlo: il lupo era aggressivo e violento perché non erano riconosciuti i suoi bisogni di animale.

Ma san Francesco, ci rammenta l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, è l’esempio per eccellenza dell’impegno ecologico, oggi pilastro fondamentale della pace nel mondo, ossia della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. E questo perché era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità, in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso (cf Laudato si’ n. 10).

In questa Eucaristia ringraziamo Dio per averci donato san Francesco quale modello sublime d’amore del prossimo e del creato. Chiediamogli l’umiltà, la povertà del cuore, l’ansia missionaria che donò al Santo Serafico di Assisi. Potremo così educare i nostri giovani a divenire protagonisti della costruzione dell’edificio spirituale che è la Chiesa e della civiltà dell’amore.