OMELIA in ricordo di Don Stefano Casadio

Cotignola, Chiesa del Suffragio - 27 maggio 2016
27-05-2016

La prima lettera di san Pietro ci sollecita, fra l’altro, a mettere il dono ricevuto a servizio degli altri; a esercitare il nostro ufficio con l’energia ricevuta da Dio (cf 1 Pt 4, 7-13).

Credo che don Stefano Casadio, che ricordiamo nel 15° anniversario della sua scomparsa, abbia dato tutto se stesso al Signore e abbia operato con la forza dello Spirito Santo. Lo zelo per il Padre e per la sua causa, dimostrati da Gesù che caccia i venditori di animali e i cambiamonete (cf Mc 11, 11-25) dal tempio, l’hanno consumato.

Proprio per questo, la vita di don Stefano, nato a Cotignola nel 1913, è per tutti noi un esempio e un punto di riferimento anche per l’oggi.

Non raramente la stampa, prendendo spunto dalle stesse parole di papa Francesco, ma travisandone il significato, tratteggia i sacerdoti come coloro che devono vivere «scalzi» e che devono lavorare per una Chiesa senza beni ed istituzioni. In realtà, l’esistenza di don Stefano Casadio, romagnolo, se ci offre l’immagine di un sacerdote che non lavora per sé, per arricchirsi, ed è disponibile per tutti, ossia non ha un’agenda da difendere, al contempo ci mostra una personalità tutta d’un pezzo. Egli sapeva coniugare povertà ed uso saggio dei beni terreni. A Reda, negli anni ’50, come cappellano ha allestito un cantiere per la costruzione di un asilo d’infanzia, con annesso laboratorio tessile, con l’aiuto della manodopera dei suoi parrocchiani. Divenuto parroco, ha avviato la costruzione della chiesa e della canonica, completata in soli sette mesi. Annesso alla chiesa ha realizzato un impianto sportivo organizzando sia una squadra di calcio sia una squadra di pallavolo femminile, continuando peraltro le colonie estive. Gestiva anche una sala cinematografica. Terminato il mandato di parroco ed andato in pensione dall’insegnamento di religione è partito come missionario in Brasile, arrivando a Macaè. Qui ha realizzato un gran numero di cappelle anche in località selvaggie. La sua opera più significativa è stata la costruzione di un grande Oratorio con una struttura d’accoglienza e campi sportivi. E, inoltre, in quel contesto e in quella società tanto disagiate ha fatto arrivare dalla sua Romagna un container con l’attrezzatura per l’allestimento di una scuola di ceramica. Ogni sua opera era sempre realizzata col contributo generoso dei suoi compaesani.

Ebbene, cari fratelli e sorelle, cosa ci può insegnare don Stefano, rimasto famoso anche per l’operazione «bandiera bianca», che salvò Cotignola dal fuoco amico degli anglo-americani? Chi è vero evangelizzatore ed ama la sua Chiesa, si preoccupa non solo di far incontrare le persone con Gesù Cristo, il Salvatore. Si dedica, anima e corpo, ad innalzare chiese, istituzioni culturali, strutture e luoghi educativi. La fede va pensata, approfondita, altrimenti è nulla. Per questo, non possono mancare al popolo di Dio scuole, oratori, ambienti di vita ove, mentre ci si forma intellettualmente, si insegna a vivere cristianamente.

Don Stefano sapeva bene che la Chiesa non deve essere senza risorse ed istituzioni. Sollecitava la gente a mettere mano al portafoglio, a collaborare fattivamente. Così, la sua agenda era fitta di impegni, non per indisponibilità nei confronti dei suoi, ma perché era bruciato dall’amore per loro. Come è stato giustamente scritto, è stato eroe come cappellano militare volontario per l’Africa, al tempo della seconda guerra mondiale, ma soprattutto nella quotidianità, in tempo di pace: nelle difficoltà di ogni giorno, nei dolori della gente, negli affanni dei parrocchiani, nei tormenti degli adolescenti, nelle gioie dei successi giovanili, nei traguardi raggiunti e superati: come parroco audace, infaticabile e moderno; come padre spirituale; come maestro di roccia; come amico vicino ai giovani; come sportivo e grande comunicatore; come missionario e costruttore di pace.

L’odierna Eucaristia ci veda pronti a pregare per la città di Cotignola, per gli abitanti di Reda e di Macaè che don Stefano ha beneficato come sacerdote, padre e maestro di vita. Ringraziamo il Signore per avercelo dato. In tempi di scarse vocazioni chiediamo al Signore perché mandi operai nella sua messe, preti come don Zini e don Stefano, che si sono dedicati alla cura delle vocazioni. Viviamo la nostra fede e la carità pastorale non secondo i cliché di chi capisce poco della Chiesa e la contrasta. Viviamole con i piedi per terra, nella concretezza storica e in momenti in cui la libertà della Chiesa non cessa di essere  penalizzata, anche con riferimento alle sue scuole. Abbiamo intelligenza e forza per rinnovare le strutture e le istituzioni: esse sono indispensabili alla diffusione e alla inculturazione della fede, alla realizzazione dell’amore di Cristo per l’umanità. La forza dello Spirito ci accompagni e ci faccia uno con Cristo e tra noi.