OMELIA per il GIUBILEO del BENE COMUNE

Faenza - Basilica Cattedrale, 29 maggio 2016
30-05-2016

Celebriamo oggi il Giubileo della misericordia da parte di tutti coloro che, secondo diverse responsabilità, si dedicano alla costruzione del bene comune. Ci ritroviamo qui, pertanto, provenienti dal mondo della politica, del lavoro, dell’economia, della finanza e, in particolare, della cooperazione, per compiere un atto religioso, per rispondere all’amore di Cristo che ci sollecita al cambiamento. Celebrare il Giubileo, infatti, significa re-incontrarsi con Cristo: ricevere anzitutto il suo perdono tramite il pentimento, spalancare le porte alla vita di Dio, dimorare in Lui, ri-orientare, con più decisione, la nostra esistenza verso il bene; accogliere lo Spirito d’amore del Padre e del Figlio, per esserne trasfigurati e animati. Oggi, giornata del Giubileo per i politici, gli imprenditori, per tutti coloro che lavorano nella cooperazione, non dimentichiamo che tutti abbiamo bisogno di redenzione, soprattutto coloro che hanno maggiori responsabilità nella realizzazione del bene comune.

La parola di Dio di questa domenica, Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, ci ricorda la moltiplicazione dei pani da parte di Cristo. Riflettendo su questo, che è uno dei miracoli più noti, possiamo trovare le ragioni più profonde della nostra conversione e del nostro miglioramento di vita. È importante, anzitutto, considerare l’invito che Gesù ha rivolto ai suoi discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare». Ecco, indicato per noi,  un compito primario: dobbiamo preoccuparci di dare da mangiare alla gente che ha fame. A questo proposito, non possiamo dimenticare la permanenza del problema della fame nel mondo. Abbiamo dati che sollecitano ad organizzarci per una migliore destinazione universale dei beni della terra. Attualmente, infatti, vi sono generi alimentari sufficienti per tutti: col cibo prodotto si potrebbero nutrire 12 miliardi di persone. Ma, nonostante ciò, un terzo degli alimenti prodotti è sprecato e vi sono centinaia di milioni di persone sottoalimentate (805 milioni). Vi sono, inoltre, carenze di vitamine e minerali nelle diete di oltre due miliardi di persone. Non tutti, dunque, possono accedere ad un cibo sufficiente, sano e sicuro per la pochezza del reddito, per scarsità locali, ma anche per la carenza di istituzioni economiche e politiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato dal punto di vista nutrizionale, sia che regolamentino il commercio internazionale di prodotti agricoli, i mercati dei futures, così da evitare speculazioni e le impennate dei prezzi del cibo. Anche nei nostri Paesi, ove scarseggia abbondantemente il lavoro, e taluni redditi sono insufficienti per arrivare alla fine del mese, appaiono fenomeni di scarsità e di deterioramento della qualità dell’alimentazione.

Peraltro, è triste constatare che l’umanità riesce a farsi la guerra, ma non a nutrire se stessa.

Il «Voi stessi date loro da mangiare», nel nostro territorio, può voler dire impegnarsi tutti nel coltivare la solidarietà e la giustizia in maniera più autentica, nel far rete per integrare nel mondo del lavoro coloro che non ce l’hanno, per investire nella ricerca, nell’innovazione, nel nuovo welfare, nella formazione, in una cultura umanistica. La stessa Chiesa locale si sta impegnando su questo versante con un Protocollo d’Intesa tra Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna e Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna per la realizzazione di attività di Alternanza Scuola-Lavoro.

Ma a noi, che siamo o diciamo di essere credenti, non deve sfuggire un aspetto molto importante della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Gesù lo compie usando espressioni che rimandano all’istituzione dell’Eucaristia: «Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla». Che cosa voleva insegnare Gesù ai suoi discepoli? Dal testo si evince che Egli desiderava sollecitarli a distribuire non solo il cibo materiale ma Lui stesso, che nel Sacramento dell’Eucaristia si fa pane spezzato per tutti.

Detto altrimenti, Gesù voleva che i discepoli non fossero attenti unicamente al bisogno materiale della gente, dando loro il cibo per sfamarsi, ma dessero qualcosa di più. L’uomo è sempre bisognoso di qualcosa di più dei beni materiali. Ha sete di Dio. Anela a Lui. Ha bisogno di nutrirsi di Cristo, «pane vivo, pane del cielo». In ultima analisi,  con la moltiplicazione dei pani, compiuta secondo le modalità dell’istituzione dell’Eucaristia, Gesù istruisce e prepara i suoi discepoli alla futura missione: donare agli altri, oltre al pane quotidiano, Cristo stesso, cibo celeste. In conclusione, anche noi dobbiamo essere, innanzitutto, missionari di Cristo, per portarLo ai fratelli, perché è Lui la salvezza, non noi. Chi redime l’uomo è Gesù, non l’evangelizzatore o il testimone. Per essere veri discepoli di Cristo non basta interessarsi dei bisogni materiali dei nostri fratelli e sorelle. Bisogna preoccuparsi anche dei bisogni spirituali: «Non di solo pane vive l’uomo» (cf Lc 4,4)! Cristo è il primo e più importante cibo che dobbiamo procacciare. Dare Cristo è la prima carità. Ciò non significa omettere la carità del pane materiale, del vestito, del lavoro. Compiamo, allora, la carità o, meglio, la misericordia più grande. Non ignoriamo che alla persona spetta, col cibo quotidiano, Cristo stesso. Partecipiamo a questa Eucaristia, con la convinzione di non perdere tempo o di essere qui per una mera formalità. Siamo qui per unirci a Colui che si fa cibo per tutti, per riuscire, immedesimandoci al Cristo, a «spezzarci» e darci generosamente agli altri. Solo così ottempereremo all’invito di Gesù: «Fate questo in memoria di me». Solo così, cibandoci di Lui, non mangeremo la nostra condanna (cf 1 Cor 11, 27.29). L’Eucaristia, infatti, non è per un consumo egoistico, bensì per essere dono per gli altri, riconoscendo in tutti, specie i più bisognosi, la «carne» di Cristo da amare e servire. Solo facendo la comunione con Cristo e vivendo il suo dono riusciremo a realizzare il bene comune, ossia quell’insieme di condizioni sociali, giuridiche, economiche e culturali che consentono ad ogni persona di raggiungere il proprio compimento umano in Dio.