OMELIA alla liturgia della Parola per l’APERTURA DELL’ANNO PASTORALE

Faenza - Basilica cattedrale, 15 settembre 2016
15-09-2016

All’inizio del nuovo anno pastorale viene consegnato alle comunità della Diocesi un Sussidio per la ricezione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium.

In sostanza, stiamo obbedendo a quanto ci ha proposto papa Francesco al Convegno di Firenze. Il pontefice ci ha sollecitati ad essere tutti impegnati in una NUOVA TAPPA EVANGELIZZATRICE, che deve coinvolgere le nostre comunità (conventi, associazioni, organizzazioni, movimenti, ecc.) in una profonda TRASFORMAZIONE MISSIONARIA: tutti siamo chiamati ad essere «Chiesa in uscita», per individuare quale sia il cammino che il Signore desidera da noi oggi.

Perché dobbiamo essere una COMUNIONE MISSIONARIA? Non solo perché ci attendono molte sfide pastorali e sociali (si veda in proposito il Capitolo II), ma soprattutto perché viviamo in un’INTIMITÀ ITINERANTE: siamo, cioè, uniti a Colui che è, per antonomasia, l’Inviato del Padre a tutti gli uomini e i popoli.

Ciascuno e tutti siamo una MISSIONE: siamo e dobbiamo essere missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano.

Nell’Evangelii gaudium sono indicate la modalità di fondo che deve caratterizzare la nuova tappa evangelizzatrice: quella della gioia di portare e di comunicare Gesù Cristo; e, inoltre, alcune vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Tutte le vie vanno percorse con uno stile di sinodalità, ossia nella comunione, nella collaborazione.

Al lato pratico, occorre che nei vari territori ci costituiamo in uno stato di PERMANENTE MISSIONE. Il che importa una permanente conversione di quattro tipi:

anzitutto, di tipo religioso: mediante l’incontro o il reincontro con l’amore di Dio in Gesù Cristo, che si tramuta in felice amicizia e in una permanenza reciproca. La coscienza è riscattata dall’isolamento e dall’autoreferenzialità. Si giunge ad essere pienamente umani perché l’incontro con Dio in Gesù Cristo, e l’intima comunione con Lui, ci rende più umani, conducendo al di là di se stessi. Dall’esperienza dell’accoglienza dell’amore trasfigurante di Dio Trinità sgorga una più intensa e convinta azione evangelizzatrice ed umanizzatrice;

  1. in secondo luogo, di tipo pastorale: passando da un’azione di semplice conservazione dell’esistente ad un’azione più decisamente missionaria, che porta a raggiungere tutte le periferie bisognose della luce del vangelo – oggi il mondo del lavoro è divenuto maggiormente periferia -, a cercare i lontani, ad arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi, per toccare la carne sofferente di Cristo nella gente, accompagnando l’umanità in tutti i suoi processi. La conversione pastorale e missionaria non lascia le cose così come stanno. Comanda un deciso processo di discernimento, una permanente riforma di sé, delle strutture ed istituzioni ecclesiali, comprese le parrocchie (cf EG n. 28), le associazioni, le organizzazioni e i movimenti, per renderli più funzionali o, meglio, ministeriali all’evangelizzazione e alla connessa opera di umanizzazione. Una pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del «si è fatto sempre così», per essere audaci e creativi, per ripensare gli obiettivi e i metodi. In un contesto di individualismo post-moderno e globalizzato, l’azione pastorale, rammenta papa Francesco, deve mostrare, meglio che in passato, che il nostro Padre esige ed incoraggia una comunione che guarisce, promuove e rafforza i legami interpersonali e ad essere costruttori del progresso sociale e culturale di tutti (cf EG n. 67). Un’azione pastorale, conscia del secolarismo odierno, che tende a confinare la fede e la Chiesa nell’ambito privato, deve impegnarsi a superare la negazione della trascendenza che produce una crescente deformazione etica ed assolutizza i diritti degli individui (cf EG n. 64);

  2. in terzo luogo, di tipo pedagogico: occorre formare gli operatori a superare una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni, quasi dissociandosi dalla loro missione evangelizzatrice (cf EG n. 79); occorre formare a sconfiggere quel relativismo pratico che consiste nell’agire come se Dio non esistesse, nel decidere come se i poveri non esistessero, nel lavorare come se quanti non hanno ricevuto l’annuncio non esistessero (cf EG n. 80); occorre educare a vincere il pessimismo sterile ed anche un ottimismo ingenuo che non tiene conto delle difficoltà, nonché la «desertificazione spirituale» delle nostre società, a vivere il realismo della dimensione sociale del Vangelo, scoprendo nel volto dell’altro il volto di Cristo (cf EG n. 88), a sperimentare la «mistica» del vivere insieme, fraternamente (cf EG n. 92), a deporre la pretesa di dominare lo spazio della Chiesa (cf EG n. 95), a non essere in guerra tra credenti (cf EG n. 98); urge formare un laicato non introverso, bensì capace di far penetrare i valori cristiani nel mondo sociale, giuridico, politico ed economico (cf EG n. 102). Al lato pratico, tutto ciò comporta che, dal punto di vista pastorale, si renda più strutturata e corposa la catechesi sociale;1 si proceda ad un’adeguata formazione dei sacerdoti e degli stessi formatori dei formatori con riferimento sia all’imprescindibile dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione sia all’accompagnamento spirituale, affinché studino, conoscano la Dottrina o insegnamento o magistero sociale della Chiesa e sollecitino alla sua sperimentazione e al suo aggiornamento;

  3. in quarto luogo, sul piano del discernimento. Esso dev’essere, anzitutto, evangelico (cf EG n. 50), oltre che comunitario. Il che significa che non ci si può limitare, sulla realtà contemporanea, a compiere il pur necessario discernimento sociologico, economico, politico, giuridico. Su di essa è necessario porre uno sguardo più profondo, teologico, che si ispira al Vangelo di Cristo e si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo, per cogliere l’esigenza della sua più autentica umanizzazione. Detto altrimenti, il discernimento cristiano mira ad un’analisi, ad una giudicazione, oltre che ad una trasformazione della realtà sociale, primariamente sul piano antropologico ed etico, grazie alla considerazione della sua intrinseca dimensione di trascendenza sia in senso orizzontale sia in senso verticale.

Al termine di questo mio intervento ritorno a parlare sulle modalità e sulle motivazioni della missione, leggendo alcuni passi del capitolo V, intitolato Evangelizzatori con Spirito. Il tema delle motivazioni, in particolare, è fondamentale, perché se queste non sono chiare non ci si mobilita nella missione. Al n. 262 si precisa la figura degli evangelizzatori. Vi si legge, a proposito delle modalità: «Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano. Dal punto di vista dell’evangelizzazione, non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore. Tali proposte parziali e disgreganti raggiungono solo piccoli gruppi e non hanno una forza di ampia penetrazione, perché mutilano il Vangelo. Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera».

Per quanto concerne le motivazioni troviamo questo: «La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. […]La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri» (n. 264).

Altra motivazione: «Il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa» (n. 265). Un’ulteriore motivazione è: «Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, il messaggio che non può manipolare né illudere. È una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare. La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore» (Ib.).

Dopo questi passi si possono trovare nel testo altre motivazioni, che ognuno potrà leggere personalmente.

Al termine di questo incontro mi preme di suggerire alcune modalità di utilizzo del Sussidio. Questo va considerato per quello che è, ossia uno strumento che non può sostituire il testo della Evangelii gaudium. Pertanto, bisognerà utilizzarlo come traccia o indicazione di alcune vie di accesso ai contenuti. La presentazione del Sussidio, sia da parte dei parroci che dei vari operatori pastorali, dovrà incoraggiare la lettura personale dell’esortazione, a partire dall’esperienza della propria fede e del proprio impegno! Dovrà avviare alla sua sperimentazione.

L’esortazione va, dunque, presa in mano, letta, meditata, da soli o in gruppo. Quanto sarebbe bello se gli adulti incoraggiassero gruppi di giovani catechisti o giovani universitari a fare delle ricerche o dei dialoghi su alcuni temi, come quello delle condizioni socio-culturali in cui deve operare oggi la propria comunità, delle relazioni tra parroci e fedeli laici, dell’abbandono di non pochi cresimati, dei difetti dei cristiani, delle doti che dovrebbero avere per vivere significativamente nella Chiesa e nella società, della dimensione sociale del Vangelo, delle «periferie», degli «ultimi». In questo contesto, sarà davvero importante porre o far porre delle domande: qual’è la Chiesa che conosco io? Qual’è il tipo di Chiesa che propone papa Francesco? Quali sono le «periferie» o le persone «scartate» presenti nel mio Vicariato o nel mio territorio? Che faccio?

Con i giovani che sono piuttosto digiuni dell’esperienza della fede si dovranno trovare altre modalità più accessibili a loro, meno dirette.

Con tutti sarà opportuno suscitare domande come queste: Cosa penso? Mi interessa la proposta di papa Francesco? Cosa posso fare io? Cosa possiamo fare come giovani per i giovani, come comunità, come insieme di componenti ecclesiali che talora appaiono distanti tra di loro, frammentate?

Ecco alcuni semplici suggerimenti che non pretendono di offrire orientamenti tassativi. Chi ha esperienza di pastorale, di educazione alla fede, come anche di animazione e di accompagnamento, saprà trovare le vie più consone, a seconda dell’uditorio a cui si rivolgerà.

A conclusione di questo incontro non dimentichiamo la preghiera, perché il Signore e il suo Spirito ci accompagnino nel lavoro di ricezione della esortazione apostolica. Chiediamo umilmente perdono dei nostri sbagli pastorali, pedagogici, delle omissioni, dei ritardi.

La Beata Vergine delle Grazie, stella della nuova evangelizzazione, ci aiuti a sognare una Chiesa rinnovata, ci aiuti nella testimonianza della comunione, del servizio, della fede ardente e generosa, della giustizia e dell’amore verso i poveri, perché la gioia del Vangelo giunga sino ai confini della terra.

1 Da questo punto di vista, vanno senz’altro integrati gli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia: Incontriamo Gesù della Conferenza Episcopale Italiana, editi dopo la pubblicazione dell’Evangelii gaudium (San Paolo, Milano 2014). Il quarto capitolo dell’Esortazione apostolica che parla della dimensione sociale dell’evangelizzazione non dev’essere ignorato.