[nov 1] Omelia – Solennità di tutti i Santi

01-11-2020

Oggi la Chiesa onora e ricorda tutti i suoi figli, quelli passati e presenti. Nella prima lettura, l’autore del libro dell’Apocalisse li descrive come «una moltitudine immensa» che nessuno può contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua (cf Ap 7,9). Tra di essi sono compresi i santi dell’Antico Testamento, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dall’inizio del cristianesimo e i beati e i santi dei secoli successivi, sino ai martiri e ai testimoni di Cristo del nostro tempo. Sant’Agostino raffigura la Chiesa come un popolo che si muove, quale schiera sterminata di persone, verso la Gerusalemme celeste. Di questo popolo una parte è ancora quaggiù, pellegrino. Un’altra parte è giunto in prossimità di quel tempio di luce ove coloro che vedono il volto di Dio faccia a faccia esultano e gioiscono godendo la sua piena comunione. Si tratta di coloro che debbono ancora purificarsi e perciò si trovano nel pronao, all’entrata del tempio, in attesa di fare il loro ingresso definitivo.

La liturgia di oggi ci esorta, dunque, a concentrare lo sguardo sull’interezza della nostra famiglia. Desidera che ci vediamo per quello che siamo: una grande e sconfinata comunione di fraternità e di amore. Formiamo la comunione dei santi del cielo e della terra. Siamo in compagnia di una grande moltitudine di fratelli e sorelle, tutti partecipi, in maniera diversa, della vita gioiosa e gloriosa di Cristo. La comunione dei santi esiste proprio grazie alla salvezza che è del Padre e dell’Agnello, il Redentore, che incarnandosi ha assunto la nostra esistenza e ci ha arricchiti di vita immortale.

Quali sentimenti dobbiamo avere oggi? Anzitutto, un sentimento di ringraziamento. Dobbiamo esprimere, come persone salvate dal peccato e innestate nella vita nuova di Cristo, il nostro grazie. Siamo chiamati a dire grazie a Dio Padre e al Figlio suo, al loro Spirito, per la loro opera, per quello che sono per noi: fonte di vita piena e di santità.  Essi ci hanno colmati del loro Amore, della loro capacità di dono. Noi viviamo e speriamo grazie a loro. Grazie a loro siamo costituiti una comunione con loro e tra di noi. Li ringraziamo perché hanno arricchito la Chiesa di tanti fratelli che, canonizzati e beatificati, ci accompagnano nel nostro cammino di compimento in Dio, di annuncio del Vangelo, di costruzione del Corpo di Cristo e del Regno di Dio. E, dunque, cari fratelli e sorelle, abbiamo oggi lo slancio riconoscente di dire grazie a Dio, al Padre e al Figlio, che hanno compiuto prodigi in noi, nella Chiesa e nel mondo. Celebrando e ricevendo l’Eucaristia diciamo convintamente:  «Grazie Signore perché mi doni te stesso, la tua forza d’amore e la tua gioia nel dono». Aggiungiamo anche il grazie perché ci sono stati donati i santi che veneriamo in questa Diocesi, e in particolare in questa cattedrale. Essi ci ricordano, con le loro peculiarità, la ricchezza dell’Amore di Cristo per noi e che Egli ci accompagna sempre.

Come Chiesa pellegrinante, ricordiamo, poi, i nostri impegni nel tempo in cui viviamo. In un contesto in cui cresce la distanza tra le persone e la comunità, ed esiste una specie di scisma tra il singolo e la comunione di tutti perché cresce l’individualismo; in un tempo in cui alcune delle nostre comunità diventano «piccolo gregge» e diminuisce il senso di appartenenza a Cristo e alla Chiesa, rammentiamo, facendoli nostri, gli impegni della nostra Diocesi, che in questo periodo storico, contrassegnato dal Covid, sta lavorando perché tutti i battezzati, cresimati ed eucaristizzatti, si sentano tutti missionari e corresponsabili dell’evangelizzazione. L’evangelizzazione non va riservata o relegata ad alcune persone (i sacerdoti, i religiosi, i catechisti) ma è di tutti. È impegno di tutti i cristiani, i quali sono chiamati a vivere la santità come annuncio e testimonianza di Cristo nei luoghi della vita quotidiana: nella famiglia, nella scuola, nell’impresa, nell’amministrazione, nella comunicazione, nella politica. La santità consiste nel vivere da figli di Dio, da persone cristificate – ossia strutturate ontologicamente, eticamente, emotivamente, alla maniera di Gesù – ovunque, senza paure e senza mimetizzazioni. La forza evangelizzatrice delle comunità cristiane e dei credenti dipende soprattutto dalla autenticità della nostra fede.

Ecco da dove partire per rinnovare il nostro impegno missionario, la nostra passione per Cristo, la costruzione del Corpo di Cristo nel nostro territorio. Il cardinale vietnamita Francesco Xavier Van Thuân, per tredici anni prigioniero dei comunisti nel Vietnam del Sud, che abbiamo ricordato in questa cattedrale qualche settimana fa, nella Lettera pastorale del 1971, che commemorava i 300 anni della sua diocesi di Nha Trang, facendo un bilancio dello sviluppo della comunità cristiana affermava: «Siamo orgogliosi e ci gloriamo: non perché abbiamo ora belle chiese, grandi strutture, numerosi fedeli; no, non siamo orgogliosi per tutto questo. La forza della Chiesa non consiste nelle cose materiali, nei numeri, ma ci gloriamo della Croce del Cristo Signore, della fedeltà dei nostri antenati verso la Chiesa, della loro vita fervorosa, della loro fede ferma che era più forte della morte, della loro matura responsabilità nel compiere il dovere di apostoli e nel collaborare con i sacerdoti e in caso di penuria di sostituirli». Analogamente noi, nel nostro tempo, dobbiamo gloriarci della Croce di Cristo, essere orgogliosi più che altro della profondità della fede dei nostri nonni, dei nostri genitori. Èl’attaccamento alla croce di Cristo, la fede in Lui che hanno fatto e faranno grandi le nostre comunità e le nostre associazioni. Chiediamoci, allora: abbiamo oggi fede come l’hanno avuta i nostri sacerdoti, i nostri nonni, i nostri genitori?

Per avere più coraggio nell’essere capaci di rigenerare il cristianesimo nelle nostre comunità ed associazioni dobbiamo portare nel cuore e nella nostra vita Gesù Cristo, morto e risorto. Occorre essere convinti che possiamo generare vocazioni forti ed audaci se accettiamo di co-morire con Cristo nella lotta al peccato e di co-risorgere con Lui alla vita di comunione con il Padre, vita nuova, vincitrice sul male e, quindi, gloriosa. Solo chi testimonia che Cristo è al di sopra di tutto e che va amato con tutte le proprie forze, il cuore e la mente, è in grado di produrre amore, di vivere le beatitudini, che sono un richiamo a camminare nel tempo a schiena dritta, senza arrendersi, costi quel costi.

Come Chiesa pellegrinante, che vive una fraternità universale, viviamo oggi anche un mondo di tenerezza sconfinata nei confronti dei nostri cari defunti che attendono di entrare nell’abbraccio pieno di Dio. Il nostro cuore si commuove e si scioglie al solo pensiero di quanto ci hanno amati, dandoci la vita ma soprattutto la fede nell’Amore che non tramonta mai e vince ogni male. Preghiamo per loro. Preghiamo per tutti i defunti a causa del Covid. Così sia.

+ Mario Toso