Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Rm 12, 4-6
Carissimi fratelli e sorelle,
l’immagine del corpo nelle lettere di san Paolo è molto efficace per rivelare a cosa è chiamata la parrocchia.
Innanzitutto, essa non è un’unità indistinta: sono molte le parti di questo corpo e tutte diverse fra di loro. Tutti noi siamo unici e irripetibili, dotati di carismi e particolari capacità. Eppure, siamo tutti uniti fra di noi, formiamo un solo corpo in Cristo.
In Cristo è fondata la nostra fraternità, il nostro stare insieme. In Cristo siamo chiamati a vivere in pienezza. Questa è la nostra missione: annunciare il Vangelo, celebrare la Liturgia (in modo particolare l’Eucaristia domenicale), vivere la Carità fra di noi e verso ogni piccolo. L’unità pastorale è la forma concreta in cui cooperiamo storicamente a questa missione.
Lo scopo della parrocchia non è auto-conservarsi in un luogo, ma annunciare, celebrare e testimoniare Gesù Cristo a ogni uomo! La costituzione delle Unità pastorali è il segno di questa preoccupazione e di questo orientamento, che ci chiama ad uscire dall’abitudine e dai campanilismi. Da soli non andiamo da nessuna parte! Il tempo della frammentazione fluida invoca, al contrario di quanto essa sembri dire, ad essere uniti a vivere comunitariamente. I singoli credenti non crescono sulla tomba della comunità ecclesiale, come i cittadini non fioriscono sulla tomba della comunità civile, come ebbe a scrivere Zygmunt Bauman. Tanto più si è efficaci nella missione e nella testimonianza cristiana quanto più ci si muove comunitariamente in Cristo, vivendo per Lui, con Lui, in Lui.
Come ho potuto sottolineare anche nella Visita a Sant’Agata sul Santerno e a Villa S. Martino, siamo chiamati ad essere corresponsabili nell’unità, non semplici collaboratori. Un collaboratore risponde ad un’esigenza particolare, limitata nel tempo, non si sente coinvolto in prima persona, in maniera continuativa nella propria comunità. Diventare corresponsabili significa sentirsi parte ed essere presenti non saltuariamente, ma costantemente in una comunità che si ripromette di annunciare Gesù Cristo mediante una conversione pastorale costante nell’evangelizzazione, nella celebrazione dei sacramenti, nella testimonianza della carità. Vuol dire sentire su noi stessi le responsabilità, i pesi ma anche le gioie dell’intera comunità: vuol dire sentirsi famiglia, ove ognuno concorre al bene di tutti servendolo.
Una famiglia non è mai perfetta, non è mai pienamente “a posto”: ma sa affrontare con serietà le sfide della quotidianità. Le sfide quotidiane della nostra comunità sono, come appena elencato, l’annuncio, la celebrazione e la carità: non è possibile sostituire o derogare a queste componenti essenziali del nostro essere comunitario ed ecclesiale. Se esse mancano, manca la comunità, la parrocchia, l’unità pastorale. E su questa triplice missione siamo chiamati a verificare il nostro amore in Cristo. Il che comporta operare ognuno secondo il proprio carisma. La vera conversione pastorale non si ottiene né clericalizzando il laicato né proponendo una spiritualità disincarnata. Tantomeno accettando nei credenti quel complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la propria identità cristiana e le proprie convinzioni di fede (cf Evangelii gaudium n. 79), vivendo di fatto un relativismo pratico che consiste nell’agire come se Dio non esistesse. Un impegno di conversione pastorale, poi, non conduce a vedere attorno a sé solo rovine. Se è vero che in più casi si è un piccolo gregge è altrettanto rincuorante pensare al piccolo gruppo di apostoli trasformati dalla Pentecoste e proiettati nel mondo per diffondere il Vangelo. I laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio, scrive papa Francesco nell’Evangelii gaudium. È cresciuta la coscienza dell’identità del laico nella Chiesa. «Disponiamo di un numeroso laicato, benché non sufficiente, con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede. Ma la presa di coscienza di questa responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale» (EG n. 102).
La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché «il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo» e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali (cf EG 103).
Ma al di là dei vari carismi va tenuto presente che tutto il popolo di Dio annuncia il Vangelo, è missionario. Tutti in forza del Battesimo siamo discepoli missionari. L’efficacia dell’annuncio e della incarnazione del Vangelo dipende dal mettere i vari carismi al servizio della comunione evangelizzatrice, facendo ardere il cuore di ognuno d’amore per Gesù, mediante la preghiera, l’adorazione.
In definitiva: «Se il nostro cuore non arde per Lui rischiamo, come i discepoli di Emmaus, di averlo vicino, di camminare con Lui, ma di non riconoscerlo e di non amarlo. Rischiamo di non avere un cuore che vive per Cristo e che, quindi, non prova una passione d’amore nell’annuncio e nella testimonianza di Lui.
Il vescovo viene ad incontrare le comunità, le famiglie, gli organismi di partecipazione ecclesiale, le associazioni e le aggregazioni non tanto per puntare il dito sui limiti dell’azione pastorale o per trovare fragilità nelle relazioni comunitarie, bensì per incoraggiare, soprattutto per suscitare nei discepoli la nostalgia della misericordia di Dio, dell’essere vera famiglia di Dio, popolo in cammino verso la Gerusalemme celeste. Nella sua visita il vescovo intende mettere in risalto, prima di tutto, la stupefacente bellezza del Vangelo, la magnificenza del dono che Egli ci fa della sua Vita divina. Sollecita all’incontro con la persona di Gesù, più e prima che con la sua dottrina. In sostanza vuole far risuonare la buona notizia del Vangelo e, con ciò stesso, confermare nella fede i passi – certo, a volte faticosi e pieni di dubbi – che stiamo intraprendendo per metterci sempre più alla sequela di Cristo. Egli è il Maestro, l’unica e grande Guida della Chiesa: nell’annuncio, nella celebrazione e nella carità» (Vescovo Mario Toso, Omelia per l’inizio della Visita pastorale, 5 novembre 2023).
Vi accorgete anche voi che non ci sono più presbiteri quanti ce ne sarebbe bisogno. Le comunità non stanno generando vocazioni significative, soprattutto vocazioni al sacerdozio. Non si può pensare di essere interpreti di una grande conversione pastorale per le nostre comunità quando da anni non emergono nuovi operai per la messe. Lavoriamo, dunque, accompagniamo nel cammino vocazionale i credenti. Investiamo tempo ed energie specie per i giovani! Non basta continuare a pregare perché il padrone mandi nella sua vigna altri operai, di cui abbiamo tanto bisogno. Occorre impegnarsi nella pastorale vocazionale, alla quale torna utile la pastorale familiare.
Ma soprattutto, fratelli e sorelle, continuiamo a camminare nell’unità, nella corresponsabilità, per superare divisioni, per riconoscerci unica Chiesa missionaria.
Mario Toso, vescovo