[feb 04] Omelia – Solennità della Beata Vergine del Fuoco

04-02-2023

Forlì, cattedrale 4 febbraio 2023.

Carissimi fratelli e sorelle, celebriamo la Solennità della Beata Vergine del fuoco, patrona della città e della diocesi di Forlì-Bertinoro. Un saluto fraterno a tutti voi. Sentiamoci uniti a tutti gli anziani e gli ammalati. La devozione alla Madonna del fuoco ebbe origine dopo che, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 1428, le fiamme devastarono una scuola ove si trovava l’immagine originale che qui veneriamo. Nonostante il fuoco abbia distrutto la scuola, l’immagine cartacea rimase illesa. La domenica seguente fu trasportata solennemente in questa cattedrale ove noi possiamo venerarla. Nel corso dei secoli il popolo forlivese è accorso sempre numeroso attorno alla Madonna non solo in occasione della festa, ma tutte le volte che ha affrontato difficoltà e pericoli, come durante le guerre e le calamità naturali.

La solennità della Beata Vergine del Fuoco ha assunto, dunque, nel tempo, molti significati per questa Chiesa locale, che la venera come protettrice. Possiamo senz’altro trarre diversi insegnamenti dall’episodio che vide salvata dalle fiamme l’immagine di Maria, con in braccio il Bambino Gesù. I versetti del Vangelo, che abbiamo ascoltato poco fa (cf Gv 19,25-27), ci ricordano chi è Maria per noi. È Madre di Dio e della Chiesa. Maria genera il Figlio di Dio perché noi veniamo uniti in un unico corpo, il Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Maria è sotto la Croce nell’ora di Gesù, il momento culminante della sua vita, mentre si offre e muore per noi, perché diventiamo umanità nuova. La Nuova Eva, che un giorno accolse l’annuncio dell’angelo e concepì nel suo grembo il Figlio di Dio fatto uomo, è partecipe del suo dolore e della redenzione dell’umanità, del creato intero. Gesù affida a Lei tutti noi come figli nella persona dell’apostolo Giovanni. L’affida a noi come Madre. Maria, dunque, ci ricorda la Chiesa, alla cui origine ha contribuito generando per noi il Figlio, rimanendo in mezzo agli apostoli nei momenti della paura, del disorientamento, ma anche della Pentecoste, allorché lo Spirito santo li colma del suo Amore e li trasforma in testimoni coraggiosi, in missionari per il mondo intero. Tornando all’episodio della devastazione dell’incendio che secoli fa minacciò l’immagine di Maria – ma possiamo anche tornare all’incendio che nel 2019 bruciò la maestosa cattedrale di Notre-Dame di Parigi – viene spontaneo pensare che il fuoco può simboleggiare tutti quei mali che tentano di annientare la Chiesa, la nostra comunione con Gesù Cristo, la sua e la nostra missione, che stiamo approfondendo nel cammino sinodale. I pericoli più fatali per la Chiesa non sono le persecuzioni che ancora oggi subisce in molte parti del mondo. Ogni anno, infatti, muoiono più di centomila cristiani e sono circa 300 milioni quelli perseguitati. Le persecuzioni, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono, ebbe a scrivere Benedetto XVI, il male più grave per la Chiesa. Il danno maggiore essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto. Il pericolo maggiore che dobbiamo temere è, dunque, quello di una Chiesa senza una fede viva, passiva rispetto al suo essere in «caduta libera», come appare nel nostro mondo occidentale. Quando la fede è tiepida, o perché non è alimentata con la preghiera o perché al posto di Dio si pone il proprio «io» o il proprio gruppo, cambia il baricentro della vita cristiana. Si è inclini a piegarsi su di sé e a adorare sé stessi. Ma se nella vita cristiana non si assegna il primato a Dio, lo si strumentalizza ai propri piani personali, ossia ci si serve di Lui, non lo si ama. Si scambiano gli interessi del Vangelo con i propri. Facilmente il cristianesimo diventa un cristianesimo fai-da-te, che dimentica le sorgenti della vita. Ma vi sono altri pericoli che dobbiamo temere per le nostre comunità: carenza di slancio missionario, debole senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, spaccatura tra fede e vita. Già nelle prime comunità cristiane, come risulta dalle Lettere del Nuovo Testamento, risultavano presenti mali devastanti. Lo stesso Gesù temeva per i suoi discepoli il male della divisione che, come un cancro maligno, distrugge la comunione, la fraternità e l’efficacia missionaria. Pertanto, pregava il Padre così: «Non prego solo per questi – cioè la comunità dei discepoli radunata nel Cenacolo – ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 20-26s). In altri termini, che cosa domanda il Signore Gesù per i suoi discepoli? Pregando per i discepoli di quel tempo, ma anche di tutti i tempi futuri e guardando in avanti, verso l’ampiezza della storia futura, chiede al Padre che la Chiesa sia una, compatta nella comunione e nella missione. Domanda al Padre che diventi la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni: uno spazio che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro. Non dimentichiamolo: nella Chiesa di Dio siamo lieti di appartenere ad una grande famiglia, di avere fratelli e amici in tutto il mondo – secondo le statistiche più aggiornate i cristiani sono circa 2,4 miliardi – e soprattutto di camminare insieme con Cristo, stella che illumina la storia, forza d’amore che la trasfigura.

Gesù chiede la Chiesa al Padre e che l’annuncio dei discepoli prosegua lungo i tempi; che tale annuncio raccolga uomini nel suo nome e nel suo Spirito. Chiede al Padre che vivano nell’interiore comunione con Dio e che da questo essere nella sua comunione si crei l’unità visibile. La preghiera di Gesù ci sollecita a chiederci: viviamo, mediante la fede, nella comunione con Cristo e così nella comunione con Dio Padre? Amiamo davvero coltivare visioni ampie o rimaniamo rinchiusi entro piccoli recinti? Desideriamo crescere entro orizzonti universali di fraternità? Aspiriamo a vivere radicati nella speranza e ad avere il «diritto di sognare»? Ebbene, dobbiamo coltivare la nostra appartenenza a Cristo e al suo Corpo, la Chiesa. Cristo è sempre nuovo, fonte e ragione di bellezza, di grazia e di verità. È scaturigine di nuovi umanesimi.

In tal modo, potremo partecipare alla rivoluzione che Cristo ha iniziato, donando dalla croce il suo Spirito d’amore. Una tale rivoluzione trasfigura le realtà umane e il creato perché in essi viene vissuto dalle persone, uomini e donne, l’Amore di Cristo.

Guardiamo alla Madre di Dio che tiene in braccio il Figlio. Gesù, si è specchiato negli occhi e nel volto di sua Madre. Anche noi siamo chiamati a guardare oggi Maria, la Madre di Dio e della Chiesa. Guardando a Lei e al suo Figlio siamo chiamati a volere e a continuare la Chiesa, la sua missione, la nuova evangelizzazione. Nella Madonna noi Chiesa ritroviamo i nostri tratti distintivi. Vediamo lei, immacolata, e ci sentiamo chiamati a dire “no” al peccato e alla mondanità che stacca l’uomo da Dio. Vediamo lei, feconda, e ci sentiamo chiamati ad annunciare il Signore, a generarlo nelle vite degli uomini e nelle nostre città. Vediamo lei, Madre, e ci sentiamo chiamati ad accogliere ogni uomo come un figlio. Invochiamo, dunque, la Beata Vergine del Fuoco, perché ci riunisca come popolo credente. L’Eucaristia che celebriamo ci costruisca come il Corpo del suo Figlio per la gloria di Dio.

                                                   + Mario Toso