[mar 28] Omelia – Domenica delle Palme

28-03-2021

Faenza, cattedrale 28 marzo 2021.

La riflessione che desideriamo fare oggi, dopo aver ascoltato la Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco è questa in breve: non lasciamo solo Gesù che si impegna salvarci, a rendere la nostra vita un dono al Padre, come il suo. Non abbandoniamolo.

In questa domenica delle palme ci troviamo dapprima di fronte a Gesù che fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme tra canti e festosità. Egli è acclamato dalla gente e dai suoi discepoli, da diverse persone guarite, liberate dalla lebbra o dalla possessione del demonio. Eppure i farisei sono infastiditi dal chiasso della folla e vorrebbero che tacesse. Conosciamo la risposta di Gesù ai farisei che si rivolsero a Lui perché li rimproverasse: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40). A dire che la gioia di essere salvati da Gesù che viene non va soffocata. Sarebbe un mistificare la realtà, un nascondere il bene compiuto da Cristo, per dare più credito alle opinioni che diminuiscono Colui che giunge a noi  per aprire l’umanità ad una vita nuova e di fraternità.

In un secondo momento, come descritto dalla Passione secondo Marco, vediamo Gesù gradualmente abbandonato anche dai suoi discepoli, che si disperdono ammutoliti e frastornati. Solo un gruppo di donne continua a seguirlo in lontananza e con trepidazione. Gesù è tradito da Giuda ed è rinnegato da Pietro. È, insomma, lasciato solo. Molti di coloro che poco tempo prima acclamavano «osanna al Figlio di Davide», posti di fronte alla domanda di Pilato se liberare Gesù, sobillati dai capi dei sacerdoti, gridano forte: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!».

La solitudine viene sperimentata su questa terra dal Figlio di Dio perché ha assunto la condizione umana. Proprio la sua unità vera con l’umanità consente a Cristo di scendere nella più profonda solitudine di ogni persona, compresa quella della morte. Gli consente sulla croce di assumere ed esprimere tutti i più tragici «perché» dell’uomo nel suo grido lacerante: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Per noi che, come battezzati e, quindi, come suoi discepoli, riviviamo la Passione di Gesù Cristo, lasciare Cristo, voltargli le spalle, significa impedirci di crescere in maniera cristoconforme, come figli di Dio. Significa non volere la sua vita trascendente e non condividere la sua missione. Vuol dire esimerci dal partecipare al suo impegno di creare cieli nuovi e terra nuova, un mondo più fraterno, giusto e pacifico.

Purtroppo, anche ai battezzati è possibile tradire Gesù ed abbandonarlo. Come fece Giuda. Quanti Giuda dopo Giuda, anche tra noi oggi. Quanti, benché afferrati e redenti da Cristo, ad un certo punto, preferiscono rinnegarlo e uscire dalla sua vita, dalla comunione con Lui, dalla Chiesa. E pensare che noi rimaniamo radicalmente legati a Lui. Quanti credenti, mediante un ateismo pratico, si allontanano dalla vita di Cristo, prima con l’indifferenza, poi passando ad adorare altro: il proprio «io», la verità manipolata che ogni giorno è ammannita, la tecnocrazia, i dettami della politica ripiegata su se stessa e sugli interessi di pochi, la corruzione, il potere.

L’abbandono della propria fede si traduce in mancanza di visione, di nuovo pensiero, in impoverimento culturale, in chiusura rispetto all’Amore. Dio è rigettato come misura della verità. Vi è un solo modo per non lasciare «solo» Gesù Cristo o, meglio, per non abbandonarlo e tradirlo: quello di convertirci a Lui e riattivare quella comunione di cui siamo sempre capaci perché così siamo stati creati. Torniamo a Cristo, per non essere divisi nel nostro essere. L’incontro con Lui, via al Padre, ci farà rinascere. Solo mettendo Cristo al centro del nostro cuore potremo essere persone e comunità felici.

                                          + Mario Toso