Per una rinnovata vivacità della nostra Chiesa

Intervento all'Assemblea diocesana dell'Azione Cattolica
28-02-2008


L’assemblea elettiva dell’Azione cattolica diocesana, è anche un momento di riflessione progettuale; volendomi inserire in questo prezioso momento della vostra associazione, ritengo di dover fare qualche riflessione soprattutto in ordine al vostro impegno apostolico.


In merito agli incarichi che oggi vengono rinnovati o confermati, mi sento di poter dire che le responsabilità assolte con sincero coinvolgimento fanno crescere le persone, sia come competenza nei ruoli associativi, sia come maturazione nella spiritualità laicale. Gli incarichi che vengono conferiti per la vita dell’associazione parrocchiale o diocesana, vanno accolti con il giusto spirito ecclesiale del servizio, ma anche come una opportunità di sviluppo dei doni ricevuti; sarà infatti dal confronto con altre persone di uguale o maggiore responsabilità che ci si potrà arricchire. Inoltre, il dover progettare attività, motivare iniziative, esporre qualche pensiero in modo ordinato di fronte agli altri, irrobustisce le proprie convinzioni e la capacità di sostenerle. Tutto questo per dire che se vi verrà chiesto di prendere qualche incarico, accoglietelo come un dono; vi potrà costare un poco, ma vi farà bene.


Volendo ora guardare a qualche prospettiva futura dell’Azione cattolica diocesana, pur senza entrare nel merito delle linee programmatiche che dovrebbero scaturire da questa assemblea, proprio perché l’Azione cattolica vuole ‘collaborare con la Gerarchia per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa’ (Art. 1 dello Statuto), provo a portare un mio contributo.


La prima considerazione che mi viene spontanea è sulla realtà del nostro tempo, in cui ci troviamo a vivere e in cui siamo chiamati a testimoniare la nostra vocazione battesimale. Esiste la tentazione di un giudizio severo nei confronti della società italiana, con un riflesso che induce a demoralizzarci in ordine all’efficacia della nostra missione.


Non ci si può nascondere che da qualche tempo, ogni giorno vi sono aggressioni verbali forti, spesso al limite dell’insulto, nei confronti del Papa, dei Vescovi, dei cattolici impegnati, con un progetto intimidatorio esplicito. L’accusa di ingerenza è ormai rivolta alla Chiesa ogni volta che viene affrontato un tema di ordine morale, che sia entrato nell’interesse della politica.


A questo riguardo bisogna che i cristiani siano attenti a non farsi imbrogliare. Un qualsiasi argomento di carattere etico, per il fatto che diventa oggetto di un intervento legislativo dello Stato, non viene sottratto alla competenza propria di chi ha a cuore la vita morale degli uomini, come è la Chiesa cattolica. Questa ha sempre il diritto di richiamare il suo insegnamento ai suoi fedeli, anche impegnati in politica, soprattutto quando sono in ballo i valori cosiddetti ‘non negoziabili’, come sono la vita umana, la dignità della persona, la famiglia, la libertà religiosa, ecc. Del resto dovrebbe essere chiaro che, se anche l’attività politica ha motivo di interessarsi di certi aspetti sociali di questi valori, dovrebbe sempre avere a cuore il rispetto della legge morale naturale, che è a fondamento anche delle norme giuridiche.


Quindi la Chiesa ha diritto di parola per due motivi: primo, perché deve illuminare i suoi fedeli; secondo, perché può contribuire al dibattito pubblico, facendo leva tuttavia su argomenti di ragione e sulla legge naturale. In questo secondo momento siamo nella competenza dei fedeli laici, che vivono nel mondo, ai quali spetta ‘per loro vocazione cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio‘ (LG, 31). Ma questa competenza dei fedeli laici non esautora i membri della Gerarchia dal poter fare la stessa cosa, anche se dovranno fare uso degli stessi argomenti di ragione, e intervenire come interlocutori che appartengono alla medesima comunità umana. Su questo ovviamente si può essere di parere diverso in ordine alla opportunità e all’efficacia di tali interventi.


Questo clima, complesso e difficile, non deve tuttavia essere vissuto come una sciagura. Il male cioè, non è il dibattito; il male è che anche i cattolici ascoltino più le sirene del mondo che i maestri della Chiesa; il male è che si pensi di poter concedere qualcosa sul piano dei principi, per andare d’accordo; il male è che si preferisca seguire lo schieramento politico invece che la propria coscienza; il male è comportarsi ‘come fanno tutti’, e non avere il coraggio di andare contro corrente, nel rispetto dell’insegnamento cristiano (basti pensare il dovere di pagare le tasse o la moda di mostrare l’ombelico).


Questo clima va vissuto come uno stimolo per approfondire la conoscenza della verità cristiana attraverso la catechesi degli adulti, facendo tesoro dei testi autorevoli di cui disponiamo, dal catechismo degli adulti: ‘La verità vi farà liberi’, al catechismo della Chiesa cattolica, al Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Per i laici di Azione cattolica non dovrebbe trattarsi di testi sconosciuti. Se si vuole rendere ragione della speranza che è in noi, bisogna conoscere il messaggio e le mediazioni culturali per dialogare con la nostra gente.


Non dobbiamo lasciarci prendere da complessi di inferiorità di fronte alle accuse di errori del passato. Già Giovanni Paolo II quando ci insegnava ad esercitare la purificazione della memoria, ci ricordava anche la santità della Chiesa, perché solo chi è santo può riconoscere e ammettere il suo peccato. E Benedetto XVI, nel discorso non pronunciato alla università ‘La sapienza’ ha detto: ‘Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla base della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica‘. Come cristiani possiamo camminare a testa alta nel mondo di oggi; abbiamo ancora qualcosa da dire alla gente che si sente smarrita e confusa; se c’è un rammarico, dovrebbe essere quello di non avere fatto abbastanza per il nostro mondo, ‘non perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza’ (così ci dissero i Vescovi italiani nel 1981, ed è ancora così).


La seconda considerazione che faccio con voi molto semplicemente è sull’urgenza educativa.


Dal convegno ecclesiale di Verona questa sta diventando un’attenzione emergente nella Chiesa italiana. Il Papa che nel suo discorso parlò di ‘una questione fondamentale e decisiva’, negli interventi fatti in più riprese alla diocesi di Roma parla di ‘una grande e vera emergenza educativa’. Nella lettera del 21 gennaio alla diocesi di Roma ha scritto: ‘E’ forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani’ ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare nel valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita’.


Il 20 gennaio il Card. Bagnasco, presidente della Cei, incontrando a Genova il Consiglio nazionale dell’Aci, a proposito dell’urgenza educativa, da lui giudicata prioritaria, ha detto: ‘Qui il ruolo dell’Azione cattolica è fondamentale. Penso all’accompagnamento dei genitori che fanno tanta fatica ad educare i loro figli. Penso ai giovani. E, senza cadere nel pragmatismo educativo, bisogna saldare riflessione e azione, perché è nel fare che si fa la persona‘. (Segno n.2/08, pag.8).


Già nella Nota dopo il Convegno di Verona i Vescovi italiani hanno parlato di sfida educativa,  dicendo che in tutti gli ambiti si è invocato l’impegno educativo, e hanno aggiunto: ‘La formazione, a partire dalla famiglia, deve essere in grado di dare significato alle esperienze quotidiane, interpretando la domanda di senso che alberga nella coscienza di molti’ Il tempo presente è straordinariamente favorevole a nuovi cammini di fede, che esprimano la ricchezza dell’azione dello Spirito e la possibilità di percorsi di santità. Tutto questo però potrà realizzarsi solo se le comunità cristiane sapranno accompagnare le persone, non accontentandosi di rivolgersi solo ai ragazzi e ai giovani, ma proponendosi più decisamente anche al mondo adulto, valorizzando nel dialogo la maturità, l’esperienza e la cultura di questa generazione‘.


Anche in questo impegno vale la pena di mettersi con molta serenità, anche se con premura, come il Papa nella lettera già citata scrive: ‘Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto avviene nel campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale‘.


Può bastare in questa sede avere richiamato l’argomento e la sua importanza; la tradizione dell’Azione cattolica nel campo formativo non la fa trovare certo impreparata. Sarà il caso invece di farsi alleati tutti coloro che ne sono interessati, dalle famiglie alla scuola, alle associazioni educative cattoliche, per ridare fiducia e collaborare come comunità cristiana per il bene di tutti.


Infine chiedo all’Azione cattolica di cogliere l’anima della proposta delle Unità pastorali. E’ chiaro che questa non vuole essere né una formula risolutiva dei problemi delle parrocchie, né un modo furbo per considerare vittorie le nostre sconfitte. Comprendiamo che non possiamo fare conto che nulla sia cambiato nella società e nella situazione delle parrocchie, non solo per il calo numerico dei presbiteri, ma anche per il modo diverso di porsi di fronte alla fede, non più sostenuta dal contesto sociale, ma sempre più radicata  nelle scelte personali.


Con la proposta delle Unità pastorali si vuole favorire soprattutto l’opportunità di momenti formativi per i giovani e per gli adulti. E qui ci vuole una nuova fantasia, che i laici di Aci possono trovare. I giovani stanno esperimentando le ‘Settimane di comunità’; per gli adulti ci vorranno altre occasioni, ma non possiamo continuare a restare sprovvisti di fronte alla confusione dottrinale e morale. E anche qui è importante spendere al meglio le energie disponibili, mettendosi insieme come Unità pastorale, se questo fosse opportuno. E le proposte formative in ambito associativo le potete decidere voi, tenendo al corrente i vostri parroci. L’Unità pastorale non deve ridursi ad un semplice coordinamento di attività, deve diventare anche una occasione per condividere le risorse e quindi moltiplicarle. Si tratta di crederci, di provarci, e di non fermarsi alle prime difficoltà.


Da una rinnovata vivacità delle nostre comunità cristiane ci si attende anche una ripresa delle vocazioni sacerdotali a servizio della Chiesa diocesana, per le quali non dobbiamo mai cessare di pregare.


Auguro buon lavoro alla vostra assemblea, vi saluto di cuore e benedico.