OMELIA per l’anniversario dell’ECCIDIO di CRESPINO

Cresipino sul Lamone, 17 luglio 2016
17-07-2016

Eccellenza Reverendissima Mons. Gastone Simoni, vescovo emerito di Prato, Signori Sindaci, Autorità civili e militari, cari fratelli e sorelle, celebriamo l’Eucaristia ricordando l’Eccidio di Crespino del Lamone e Fantino nel 72° anniversario. Nel Sacello-Ossario riposano tra gli altri don Fortunato Trioschi, parroco di Crespino del Lamone e un gruppo nutrito dei suoi parrocchiani.

Il pastore ha condiviso la sorte delle sue pecore e qui sepolti attendono la risurrezione della carne.

In questo Monumento troviamo un segno importante: il segno di una comunità che, a fronte di un’immane tragedia che la semidistrugge, custodisce le salme dei defunti in uno stesso luogo, per dire a tutti i visitatori il desiderio di restare sempre uniti, in vita e in morte, come popolo di Dio che crede nella libertà. Il popolo di Crespino non ha innalzato semplicemente un Monumento. Ha costruito anche una chiesa, ove far rivivere non una memoria qualunque, bensì un evento cristiano che si protrae nel tempo e costruisce la storia; ossia, l’unione al Sacrificio di Cristo – vittima innocente -, di altre vite innocenti, barbaramente falciate a colpi di mitra. Vittima che non muore inutilmente, ma è, invece, il seme che cade in terra e fa germogliare un’esistenza nuova. Tutto questo ammaestra e sollecita a camminare per le strade del mondo, quale popolo che, unito a Cristo risorto – i nostri caduti vivono in Lui -, diventa principio di una nuova creazione. Il Risorto consola i suoi e dà forza nell’impegno di costruire una società più libera, giusta e pacifica. Celebrando l’Eucaristia in questo luogo, che parla di brutale violenza e di fede, guardando al Crocifisso, che ha perdonato i suoi uccisori, riscopriamo cosa ci aiuta a respingere l’odio e a spezzare la catena della violenza: è la forza dell’amore di Cristo, che ama sino alla morte; è la forza dell’amore che abbraccia anche il nemico.

Cari fratelli e sorelle non basta, però, pronunciare o ascoltare un’omelia per cambiare noi stessi e il mondo. Non basta scendere in piazza per realizzare il bene della pace. Noi che viviamo in un contesto di «terza guerra mondiale a pezzi», per cambiare le cose non dobbiamo solo condannare ogni follia omicida e ogni attacco contro la fede e la libertà. Non è sufficiente disapprovare l’ennesimo eccidio, come quello avvenuto il 14 luglio scorso, a Nizza. Occorre che disarmiamo i nostri spiriti, che abbandoniamo l’odio, la discriminazione e l’indifferenza nei confronti dell’altro, singolo o popolo. Dobbiamo guardare all’altro con occhi diversi, vedendo in lui un simile, un fratello, uguale nella dignità umana. Dobbiamo dire no al male e alle sue seduzioni. Dobbiamo scegliere il bene, pronti a pagare di persona. In breve, dobbiamo essere discepoli di Cristo. Questo, tra l’altro, comporta dire di no all’odio fratricida e alle menzogne di cui si serve, alla violenza in tutte le sue forme, a cominciare dalla soppressione dei nascituri nel grembo materno. Anche questo è usare violenza: una violenza vile nei confronti di chi vive ed è inerme e non può difendersi. Il nostro no deve estendersi alla guerra – no alla guerra ! -, alla proliferazione delle armi e al loro commercio illegale. Ci troviamo davanti ad uno strano e paradossale fenomeno: mentre gli aiuti e i piani di sviluppo sono ostacolati da intricate e incomprensibili decisioni politiche, da fuorvianti visioni ideologiche o da insormontabili barriere doganali, le armi no; non importa la loro provenienza, esse circolano con una spavalda e quasi assoluta libertà in tante parti del mondo. E in questo modo, a nutrirsi sono le guerre e non le persone [cf Francesco, Discorso alla Sessione annuale della Giunta Esecutiva del Programma Alimentare mondiale (PAM), 13 giugno 2016]. Non dobbiamo essere conniventi con simile commercio, con i mercanti di morte, con i governi che danno un tacito consenso ottenuto con la corruzione. Non dobbiamo solidarizzare mediante tante azioni, compresi gli investimenti presso le cosiddette «banche armate», che finiscono per rendere superpotenti le lobby che sono solo interessate al divampare dei conflitti e alla loro continuazione nel tempo. Non dobbiamo favorire quel fondamentalismo religioso che viene usato per giustificare la diffusione dell’odio, della discriminazione e della violenza. La giustificazione di tali crimini sulla base di idee religiose è inaccettabile. «Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14, 33).

Purtroppo oggi il secolarismo investe ampi settori della società. Le nostre vite sono, come le ha definite Zygmunt Bauman, «vite di corsa», spesso dominate dall’indifferenza nei confronti dell’altro e di Dio. L’individualismo radicale assolutizza il libero arbitrio, rinchiudendo le persone in se stesse, privandole di un orizzonte di trascendenza, rendendole mendicanti di una falsa sicurezza. Questa viene spesso individuata negli idoli del denaro, della performatività e della tecnocrazia. Il risultato è la schiavitù, la deprivazione della libertà, la diminuzione della responsabilità sociale. L’uomo che ignora o si fa Dio perde se stesso, la sua libertà. Come abbiamo sentito dal Vangelo di Luca 10, 38-42, il Signore rimprovera affettuosamente Marta dicendole: «tu ti affanni e ti agiti per molte cose». Gesù non contraddice il suo servizio, bensì il suo affanno. Non disapprova il suo cuore generoso. Tutt’altro. Non condivide la sua agitazione. Lasciandoci sopraffare dall’ansia del molto da fare c’è il serio pericolo di mettere al posto delle persone le cose, di affogare nei troppi impegni, perdendo di vista le ragioni per cui operiamo. Si perdono di vista le scale dei beni-valori, perdiamo soprattutto Dio, che ci consente di ordinare il rapporto tra mezzi e fini, senza capovolgerlo. Senza Dio al primo posto, senza riconoscere in Lui il Padre di tutti si dimentica la fraternità, non ci si sente più custodi gli uni degli altri. Non si vede più la sofferenza di tanti fratelli, ma solo se stessi e i propri problemi. È facile alzare la mano contro il prossimo. Il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Rinasce Caino. In quest’Eucaristia, in cui facciamo memoria di Cristo il nuovo Abele, il nuovo Adamo, come Lui diamo il primato a Dio. Solo così saremo autentici costruttori di una società più giusta e pacifica. Preghiamo per la comunità di Crespino, il suo parroco, il prof. Don Bruno Malavolti, per i defunti qui sepolti e per tutti coloro che li portano nel loro cuore e li pensano viventi in Cristo.