Omelia per la solennità di S. Francesco d’Assisi

Chiesa di san Francesco, 4 ottobre 2018
04-10-2018
Cari fratelli e sorelle, nella solennità di san Francesco, patrono d’Italia, desideriamo ricordare la sua santità e nello stesso tempo la sua gioia. Si tratta di una gioia non superficiale. È la gioia di coloro che, pur tra gli stenti e le sofferenze, sanno fare della propria vita un dono incessante. Chi si dona è anche felice. San Francesco sperimentava nel suo intimo una grande pace e serenità perché aveva abbracciato il Signore. Lo rendeva gioioso la sua fede, il suo amore per Gesù, la sua bontà per ogni persona.È stato detto che egli rappresentava un altro Cristo: era davvero icona vivente del Signore Gesù, in tutto, al punto da condividere con Lui le stimmate. Diventò uno col Cristo. Che cosa, in particolare, lo assimilava di più a Cristo? Certamente le stimmate. Ma soprattutto l’amore affettuoso ed indiscusso per Dio Padre. La sua percezione della paternità di Dio era così profonda e sentita da portarlo a riconoscere una fraternità universale tra gli uomini, e degli uomini con le altre creature. Se Dio è loro Padre essi sono tutti fratelli e sorelle. Tutti conosciamo il Cantico delle creature. In esso è ben espressa una tale fraternità: è fratello il sole, bello, radiante cun grande splendore. Sorella è la luna, sorelle sono le stelle, clarite e preziose. Fratello è il vento. Sorella è l’acqua e nostra madre Terra. Emblematico in questo senso è l’episodio del lupo di Gubbio. In esso traspare in maniera chiarissima il senso della fraternità che anima Francesco nei confronti delle persone e degli animali. Il poverello di Assisi riesce a liberare Gubbio dalle devastazioni di un lupo terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali ma anche le persone, piccoli e grandi. Ebbene, Francesco affronta il lupo e si rivolge a lui, che gli veniva incontro a bocca aperta, così: «Vieni qui, frate lupo, io ti comando da parte di Cristo di non fare male a me e a nessun’altra persona». Non appena Francesco fece il segno di croce il lupo chiuse la bocca, gli si avvicinò mansueto e come un agnello si accovacciò ai suoi piedi. Francesco gli disse: «Fratello lupo perché hai fatto del male ai tuoi fratelli uomini? Tutti ti odiano Fratello lupo, hanno paura tutti di te, devi smetterla. Ma io sono tuo fratello e voglio che ci sia pace tra te e gli uomini, così sarete tutti tranquilli in questa città». Quando il lupo capì il suo errore scrollò la testa. Fu allora che Francesco disse agli abitanti di Gubbio: «Il lupo vuole vivere in pace con voi, lo desidera veramente. L’importante che mi promettete che voi gli darete da mangiare, al vostro nuovo Fratello». Da quel giorno, grazie a Francesco e alla volontà sia del lupo sia dei cittadini di Gubbio, tornò la pace e il lupo passava a trovare gli abitanti che gli davano da mangiare come promesso. Il lupo divenne il cane di tutti, come anche l’amico di tutti i bambini. Alcuni anni dopo, tutti gli abitanti piansero alla morte del lupo perché avevano perso il loro caro amico Fratello lupo.

Il miracolo di Gubbio  ci insegna il senso della fraternità che legava Francesco con gli uomini e gli stessi animali, ma anche che quando gli uomini non si prendono cura delle creature di Dio e della loro stessa Madre Terra queste si «ribellano» e provocano danni agli uomini. A ognuno deve essere riconosciuto ciò che gli spetta. Senza giustizia nei confronti del creato l’umanità rischia, come nel caso di un inquinamento oltre ogni limite e del riscaldamento globale, di perire.

Francesco è anche mosso dal senso della paternità di Dio e della fraternità allorché decide di andare ad evangelizzare il sultano  mussulmano Melek-el-Kâmel in Egitto. Ad ogni persona spetta il diritto di incontrare e di credere in Gesù Cristo. In un periodo di scontro tra cristianesimo e l’islam, Francesco, armato solo della sua fede in Dio e, quindi, dal senso della comune fraternità, voleva predicare Gesù Cristo. Si recò dal sultano, il quale lo accolse e lo ascoltò con benevolenza. Mostrò un modello di missionarietà senza armi, nel rispetto e nel dialogo reciproco, quale esiste tra fratelli e non tra nemici.

Analogamente, Francesco fu riformatore della Chiesa all’insegna della comunione e non della lotta e della contrapposizione tra fratelli. Fu il Signore a farsi sentire nel suo intimo. Si fece udire a Lui dal Crocifisso della chiesetta di san Damiano: «Va, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina». Il Crocifisso chiama Francesco a rinnovare la Chiesa con la radicalità della fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento fa pensare ad un altro avvenimento verificatosi circa due anni dopo nel 1207: il sogno di papa Innocenza III. Questi vede in sogno che la basilica di san Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. È Francesco. Non è il papa che salva la chiesa dal crollo, nonostante fosse potente, di grande cultura religiosa, come pure di grande potere politico. Ma come Francesco rinnova la Chiesa? Creando divisioni e scompiglio? Francesco riforma la Chiesa non senza o contro il papa. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito santo va posto al servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Per questo non si oppose al papa, al suo vescovo. Agì sempre in comunione con l’autorità ecclesiastica. Quale insegnamento per coloro che desiderano cambiare la chiesa con furore, creando tensioni e lotte continue! C’è chi vuole cambiare e rinnovare la Chiesa contro il papa, il vescovo e persino contro il proprio parroco. San Francesco indica un’altra strada, quella della convergenza e della collaborazione nel ricercare il bene della Chiesa. Innocenzo III intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. Questi volle un rinnovamento del popolo di Dio non senza gerarchia e forme canoniche. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo ebbe a sottolineare papa Benedetto XVI durante il suo pontificato. E se si crea qualche tensione, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito.

Celebrando l’Eucaristia non possiamo dimenticare l’amore di Francesco per essa. Sapeva bene che in essa il Corpo di Cristo e il suo Sangue si rendono presenti. Dall’Eucaristia noi siamo nutriti e trasfigurati. L’amore per Cristo in Francesco diventa amore per l’Eucaristia. Come Francesco amiamo l’Eucaristia e i sacerdoti che la celebrano. Come lui mostriamo sempre una grande deferenza nei loro confronti. Rispettiamoli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni.

+ Mario Toso