Omelia per il Convegno FISM

05-09-2017

Cari fratelli e sorelle, il racconto di esorcismo o di liberazione dal demonio, quale ci è proposto dall’evangelista Luca (cf Lc 4, 31-37), che significato può avere per noi che crediamo e lavoriamo, in vario modo, secondo diverse responsabilità, nella scuola cattolica? Per coglierlo occorre che riusciamo ad afferrare il messaggio che l’evangelista desidera trasmetterci narrando quanto compie Gesù a Cafarnao, secondo una trama risalente alla tradizione che ha conservato e trasmesso il materiale evangelico. Secondo Luca – ecco il messaggio che gli sta a cuore – la «parola» di Gesù, il suo comando opera con forza ed autorevolezza contro le potenze di morte e distruzione che tengono schiavo l’uomo. Qui sta la novità della sua persona e della sua attività. Gesù non solo è un maestro autorevole o un taumaturgo popolare, ma uno che opera con la forza dello Spirito a favore degli oppressi dal male. Il male non è solo malattia, schizofrenia, epilessia, possessione demoniaca o limite della condizione umana. E Gesù non è solo un guaritore straordinario. Egli divinizza, libera da mali più radicali, compresa la morte. In particolare, libera l’uomo dalla chiusura rispetto a Dio, dalle alienazioni spirituali che allontanano dalla propria identità di figlio o figlia di Dio. Il demonio, il male spirituale e morale tendono a rendere l’uomo schiavo di se stesso, un essere autoreferenziale, privo quasi di dimensioni di trascendenza, incapace di vera convivialità, di amare. L’uomo, ripiegato su se stesso, giunge a mettersi al posto di Dio, si rende «misura» unica della verità e fa delle sue opinioni una «religione».

L’evangelista Luca presenta, dunque, Gesù Cristo come Colui che passa fra la gente realizzando una liberazione radicale ed integrale, che rende partecipi del Regno di Dio, ovvero di una nuova umanità, in comunione con Dio, e che raggiungerà il suo compimento solo nella Gerusalemme celeste. Gesù, secondo le parole di Luca, è Dio tra gli uomini. Egli prende in mano le sorti dell’umanità, si pone a capo delle sue aspirazioni di redenzione e realizza «ora», «adesso» la salvezza, rivelandosi come Signore della storia, Dio vivente. Con Gesù, che libera e guarisce, scocca l’ora decisiva della storia. È tempo di mobilitarsi, di partecipare alla sua opera che rinnova tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo. È tempo di formare un nuovo popolo, il popolo di Dio.

Anche la scuola, in particolare quella cattolica, è chiamata a lavorare indirettamente – la scuola cattolica non è il luogo della pastorale della Chiesa, bensì l’ambiente in cui si fa educazione di natura scolastica ispirata alla fede – per l’affermazione del Regno di Dio. Essa stessa dev’essere redenta. In altre parole, come può suggerire la prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (1 Ts 5,1-6, 9-11,) essa è sollecitata a formare, mediante una cultura scolastica appropriata, «figli del Regno», figli della luce, ossia persone luminose, che sono tali perché la loro vita è ispirata dall’essere viventi con Cristo, immersi in Lui, trasfigurati dal suo amore.

Specie nel contesto socio-culturale odierno, caratterizzato da agnosticismo e relativismo, da scetticismo, la scuola, che deve prefiggersi anzitutto di formare per la vita, come già affermava il grande Seneca, non può non educare alla trascendenza, ad un Umanesimo strutturato relazionalmente, che fa crescere nella fraternità, nel mutuo potenziamento, in una vita di comunione. Per chi crede, l’essere umano è destinatario del dono di Dio ed è fatto per il dono. La scuola cattolica sa che il suo progetto educativo, ispirato dalla verità o dall’ideale dell’uomo vivente in Cristo, dimorante in un amore trinitario, non può essere modellato sulla base di una razionalità asettica, astorica, strumentale. Un’autentica esperienza di fede, quale abbiamo anche in questa Eucaristia, non si concilia con una visione prometeica o demiurgica dell’uomo, con prospettive che concepiscono la persona come una monade e la subordinano all’economia, alla tecnica. In un contesto di fede, la scuola cattolica trova le radici di un realismo cognitivo che porta a delineare un’antropologia relazionale, in senso orizzontale e verticale. In conseguenza di ciò, la stessa comunità educante non può che cogliersi e pensarsi se non all’interno di una retinità che comprende la totalità dei suoi soggetti naturali, non solo i docenti, gli studenti, i dirigenti-gestori, ma anche i genitori e la comunità ecclesiale. La realizzazione della sua vocazione è da prospettarsi come un permanente divenire relazionale e trascendente, ancorato e finalizzato alla crescita integrale degli alunni, ma non solo.

Partecipando a questa Eucaristia, offriamo al Signore Gesù, Sommo Sacerdote, maestro per eccellenza, la nostra dedizione nell’educazione, l’impegno nel superare la separazione tra fede e cultura, la promozione della scuola cattolica, compresa la realizzazione di una parità piena, ossia non solo giuridica ma anche economica. Preghiamo per i genitori, per gli studenti, per tutti coloro che operano nella scuola e per essa, affinché risponda degnamente alla realizzazione dei diritti dei genitori prima di tutto e degli studenti, ma anche dello Stato, avente la responsabilità del bene comune e il dovere di esigere una formazione degna dell’essere cittadini della polis nazionale e mondiale.