Omelia per il 50° del Consultorio UCIPEM

10-10-2017

Cari fratelli e sorelle, nel 50° anniversario della nascita del Consultorio familiare UCIPEM di Faenza, la prima parola che mi viene da rivolgervi è «Grazie!». Grazie per il vostro servizio, costante e senza rumore, alla società e alla Chiesa. Con la vostra opera competente e capace di influire nelle coscienze, sostenete la cellula della vita civile, la «chiesa domestica», due modi diversi per indicare la stessa realtà che costituisce il tessuto base della relazionalità e della vita sociale, del popolo cristiano.

La vostra vocazione ad essere coloro che sostengono il bene-essere della famiglia è anche il risultato di una pienezza di vita di cui siete stati fruitori. Voler supportare il «noi» familiare non è frutto di una casualità e tantomeno non è risposta al desiderio di un compenso economico. È risposta che nasce da una «generosità» ricevuta e di cui si gode nel tempo, cammino facendo. È l’amore ricevuto nella propria famiglia, stando tra le braccia dei propri genitori e in quelle di Dio, che abilita e manda quali missionari a sostenere l’amore familiare, ad annunciarlo a tutti.

Solo chi ha alle spalle l’esperienza di una famiglia colma di amore reciproco tra i genitori e coi figli può scegliere, più facilmente di altri, la strada di porsi a disposizione della felicità altrui. Amore chiama amore. La felicità di essere stati accolti e saziati nella nostra sete d’amore fin da piccoli fa nascere il desiderio di essere causa della felicità altrui, lavorando con dedizione e con motivazioni alte a favore della vita.

Cari fratelli e sorelle, mantenete vivo il ricordo dei vostri genitori, della loro tenerezza. Siate riconoscenti a loro e al Signore che ve li ha dati. Il vostro impegno a servizio della comunione d’amore che è la famiglia sia segno di quel debito di riconoscenza che i figli non possono mai colmare sino in fondo nei confronti dei propri genitori, ossia di coloro che li hanno generati per amore, con amore. Davvero stringe il cuore constatare che tanti giovani oggi si sentono orfani d’amore perché i loro genitori non hanno saputo o potuto continuare a donarsi reciprocamente e a loro vantaggio. Diventano più insicuri, incerti nel relazionarsi, esitanti nel dono di sé, nel proposito di formarsi una famiglia. Purtroppo, come rilevano le indagini sociologiche, la diminuzione di famiglie caratterizzate dalla vitalità dell’amore generativo dei genitori sono causa non solo dell’infelicità dei figli, che restano in perenne ricerca di un affetto che non trovano, ma anche del depauperamento di quel «capitale sociale», che è fondamentale per l’ethos di un popolo e per lo sviluppo economico di un Paese. Il degrado progressivo del tessuto relazionale delle famiglie le rende fragili e sproporzionate ad essere soggetti deputati alla cura delle persone disabili, anziane, così come prevede la legge stessa sull’assistenza che le presuppone come istituzioni stabili, perduranti nel tempo, mentre spesso non lo sono. La mancanza dell’esperienza di una buona famiglia alle spalle rende le nuove generazioni meno atte non tanto a volere una famiglia – il desiderio è innato e pertanto c’è sempre -, quanto piuttosto a farsela, a mantenerla con tutte le forze del cuore e le risorse del dono.

Cari consulenti famigliari, se rimane la gioia nel servire il bene delle persone coniugate e delle famiglie non si può non accusare una fatica crescente sia a livello psicologico, morale e spirituale, dal momento che la società è meno propensa ad aiutare la famiglia stabile e i mass media diffondono modelli di vita individualistici ed utilitaristici. Il primato non è riconosciuto alle persone, all’amore, bensì all’avere, alle cose, al successo, al profitto a breve termine. Nel vostro lavoro, a volte logorante, potrà senz’altro confortare il ricordo dei coniugi Pezzi e di altri ancora. Apprezzerete la loro intuizione fondamentale, e cioè l’esigenza di un lavoro interdisciplinare, specie per un approccio olistico alla coppia. Oggi è più facile comprendere la loro lungimiranza nell’impostazione dell’orientamento del Consultorio, ovvero il porsi come un’esperienza non formalmente ma sostanzialmente cattolica, aperta a tutti. Lo scontro ideologico con le rappresentanti dell’UDI, Unione Donne Italiane, è servito a rafforzare il Consultorio, ad ampliare il campo di azione, di collaborazione con i Tribunali minorili, compattando l’équipe dei collaboratori. Il metodo usato era azzeccato. Rimane tuttora attuale: mettere le persone al centro, a loro agio. Far capire che si lavora in maniera disinteressata per la loro felicità, per il bene della loro famiglia. Non decidere per loro. Ascoltare, aiutare, piuttosto, a scegliere responsabilmente.

Ma nel vostro cammino vi sorreggerà soprattutto la continua esperienza dell’amore di Dio, incontrato in Gesù Cristo che sale sulla Croce per un’offerta totale e senza limiti di sé. In questa celebrazione eucaristica ringraziamo il Signore per i tanti frutti che il Consultorio di Faenza ha prodotto nei suoi cinquant’anni, nel nascondimento, con l’efficacia dell’amicizia, dell’empatia accresciuta dalla redenzione di Cristo. Chiediamo allo Spirito, che scenderà a consacrare il pane e il vino e a transustanziarli, che renda le nostre esistenze capaci di portare il soave giogo dell’amore di Cristo in dono a tanti coniugi in difficoltà, alle loro famiglie. La relazionalità d’amore della comunità trinitaria di Dio ci strutturi sempre più a sua immagine per il bene della Chiesa e dell’umanità. Marta dovrà essere modello nell’operosità, Maria modello nel continuare il colloquio d’amore con Cristo (cf Lc 10, 38-42), per tenerlo dentro di noi e poi lavorare con Lui, con il canto suscitato da una vita d’amore ricevuto, che trasfigura ed invia, quali missionari dell’agápe.