Faenza, Seminario diocesano 30 maggio 2018
Sul cammino di fede personale
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Nella frenesia di tutti i giorni, come possiamo vivere in maniera presente la quotidianità? (Fa 2)
La nostra fede va coltivata e vissuta tutti i giorni. Nel turbinio degli eventi, dei messaggi, degli impegni frenetici è fondamentale avere un contatto costante con Colui nel quale siamo, ci muoviamo e viviamo. Occorre allenarsi ad avere occhi che vedono in profondità, a coltivare la consapevolezza che siamo di Cristo. Vedendo la nostra vita inserita in quella di Cristo dovrebbe venire spontaneo dire quanto ha affermato san Paolo: per me vivere è Cristo. Cosa vuol dire? È pensare, riconoscere che io sono di Cristo e vivo unito a Lui come il tralcio alla vite. Significa ritenere che Cristo è al centro dei miei pensieri, dei miei affetti. Egli è in cima alle mie sollecitudini ed è il massimo per me. In Lui posso raggiungere la mia pienezza umana, grazie al suo Spirito, che è Spirito di amore, di verità. Quando salirò al cielo vi manderò lo Spirito della verità. Quando verrà Lui vi condurrà a tutta la verità, Egli ha detto (cf Gv 16, 12-15). Perché abbiamo bisogno dello Spirito di verità di Dio e di Cristo? Perché la nostra mente è piccola come un guscio di noce e non può contenere in sé tutta la verità, l’oceano. Siamo pellegrini della Verità. Il miglior modo di vivere la quotidianità senza essere sommersi dalle preoccupazioni più varie è importante vivere contemplativi nell’azione e attivi nella contemplazione. Non solo preghiera e lavoro, come suggeriva san Benedetto. Occorre giungere alla sintesi: lavoro è preghiera, come insegnava don Bosco. Non bisogna, però, mai dimenticare che dobbiamo trovare dei momenti nella giornata in cui ci fermiamo a pregare, creando un ambiente attorno a noi che consenta di incontrarci a tu per tu con il Signore Gesù. Per trovare il momento di preghiera alle volte bisogna lottare con se stessi, perché presi dal vortice delle molte incombenze. La preghiera dovrebbe concludersi con una rinnovata offerta di noi stessi, e cioè con le parole stesse di Maria: «Eccomi, sono la serva del Signore». Papa Francesco, ricevendo i vescovi italiani, convenuti a Roma per la 71.a Assemblea Generale, 21-24 maggio 2018, nel dialogo con loro ha posto una domanda precisa: quanto tempo della vostra giornata dedicate alla preghiera?
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Ci dev’essere un tempo da dedicare esplicitamente alla preghiera personale. Lo stesso si può ripetere per ogni laico o laica, per ogni educatore cristiano.
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Una difficoltà di noi capi è essere più competenti nel linguaggio della fede e su come passare il messaggio cristiano. Quali strumenti possiamo usare per ovviare a questa carenza? (Fa 3)
La competenza nel linguaggio della fede importa anzitutto l’esperienza della fede: non si può parlare con piena pertinenza della fede senza viverla, senza ardore nell’amare Gesù. Potremmo avere un linguaggio formalmente perfetto, da teologi competenti, ma avere un cuore distaccato dalla fede in Gesù, ed essere anche atei. Chi si trova in questa situazione agisce da maestro ma non da testimone. L’incidenza è minore. Conseguentemente la comunicazione della fede è meno efficace. Il proprio linguaggio diviene un involucro senza contenuti che appassionano. Peraltro, è importante che si conoscano gli elementi base della teologia, della cristologia, dell’ecclesiologia, della pedagogia, della pastorale. Non si può comunicare bene ciò che non si conosce sufficientemente. Per gli adulti, specie se sono guide, formatori ed educatori alla fede, diventa particolarmente necessario l’approfondimento razionale della fede e della speranza che è ad essa connessa. Chi ambisce a comunicare la fede sa che questa missione avviene in una società e in una cultura che non sempre sono totalmente in sintonia con i contenuti della fede. Sa, allora, che occorre «decostruire» pregiudizi riguardanti la fede, la Chiesa. Sa che è cruciale che si spieghino le ragioni della fede e della speranza che sono in noi. Occorre, infine, puntare all’inculturazione della fede, collaborare a costruire una cultura in sintonia con la fede, affinché i credenti non vivano sempre più spaesati nella società, ma sappiano rendere ragione della loro fede. Oggi, poi, nella comunicazione della fede è importante conoscere anche i nuovi mezzi di comunicazione che possono divenire alleati potenti. Va, tuttavia, evitato il rischio che il problema della comunicazione del Vangelo sia rappresentato in modo esclusivo, o per lo meno predominante, dal mezzo, dal linguaggio (comunque da svecchiare), dalla capacità di utilizzo delle più moderne tecnologie, con il tentativo di rincorrere il nuovo, concentrandosi sugli strumenti, perdendo di vista l’essenziale, cioè la coerente testimonianza evangelica. Il problema vero non sta nell’ammodernare gli strumenti della comunicazione e nel linguaggio. C’è bisogno dell’ascolto, non come primo momento, ma come condizione permanente: è indispensabile l’abitare, lo starci. C’è bisogno di raccontare la vita, le storie delle persone vere mediante le quali passa il messaggio: oggi più di ieri è il tempo dei testimoni autentici, ai quali si richiamava il futuro santo papa Paolo VI. Sicuramente nella missione della Chiesa, che resta nel tempo immutata nel suo nucleo di fedeltà al Vangelo, è necessario comprendere come colmare il divario tra nuovi linguaggi e il senso profondo della liturgia, della catechesi e, più in generale, della pedagogia della fede.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Per consentire meglio l’esperienza della fede occorre sia conoscere a fondo le dimensioni teologiche, cristologiche ed ecclesiologiche della stessa fede sia conoscere i processi di ricezione, ponendosi il problema della formazione: una formazione progressiva, sostenuta da risorse con la realizzazione di contenuti digitali di qualità e materiale didattico. Spesso educatori e operatori pastorali, ma anche singoli fedeli, si trovano spiazzati di fronte al rapido mutamento dell’ambiente digitale che ci cambia antropologicamente. Conoscere le risorse a disposizione, sostenerne un uso responsabile, segnalarne i limiti, diventano urgenze inaggirabili. Non si può esentarsi dall’educazione ai media digitali. Segnalo qui il Messaggio per la 52.a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Fake news e giornalismo di pace, e il volume Tecnologie pastorali. I nuovi media e la fede (Brambilla, Rivoltella eds, 2018).
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Come riuscire a dare un messaggio autentico di fede, quando siamo noi stessi in cammino? (Fa 3)
Il fatto di essere in cammino sulla via della fede non deve renderci eccessivamente timorosi. Come si diceva prima, tutti i credenti sono pellegrini della Verità, dell’Assoluto. La consapevolezza che noi stessi non siamo completamente di Cristo e non lo viviamo interamente devono, piuttosto, renderci coscienti dei nostri limiti. Dobbiamo essere umili. Dobbiamo impegnarci a preparare gli incontri con i giovani volta per volta, ad enucleare a noi stessi quello che è più importante da comunicare e da vivere per essere di Cristo. Il cardinale Martini diceva che la sua fede era salda ma si confrontava ogni giorno con i dubbi. Non tanto sulla fede ma sul modo di usarla, di farla vivere con gli altri e per gli altri. Ogni giorno chi ha fede deve riconquistarla; questo è il compito del cristiano e in particolare del vescovo, successore degli apostoli: mettere la sua fede al servizio degli altri, quindi metterla in gioco e insieme agli altri, insieme anche alle pecore smarrite, riconquistarla, approfondirla, veicolarla nel linguaggio odierno.
ASPETTO PRATICO DA TENERE PRESENTE:
I giovani apprendono a vivere la fede da chi è attivo e vivo nel suo cammino di fede.
Sull’essere educatori
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Cosa pensa del nostro servizio scout? (Fa 2)
Penso un gran bene. Penso che l’Agesci percorre una via educativa importante, vicina ai ragazzi e ai giovani, commisurata alla loro apertura entusiasta alla vita. Li pone al centro – nell’integralità delle loro dimensioni -, dei processi e degli itinerari che ne valorizzano lo stupore, l’entusiasmo, il desiderio di vivere insieme, con fraternità e pace. Penso che il metodo educativo che voi impiegate sia molto vicino a quello salesiano, volto alla responsabilizzazione. È davvero importante far apprendere beni-valori, stili di vita, atteggiamenti, mediante esperienze educative di vita comune: learning by doing. Apprezzo, in particolare, la promozione dell’educazione alla cittadinanza civile da cristiani, alla cittadinanza ecologica. E, quindi, in collegamento naturale con la Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa, quale sapere sapienziale che offre punti di riferimento imprescindibili per il discernimento sociale. L’Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani (AGESCI), lo sapete meglio di me, è iniziativa educativa liberamente promossa da credenti, dall’unificazione di due preesistenti associazioni, l’ASCI (Associazione Scout Cattolici Italiani), maschile, e l’AGI (Associazione Guide Italiane), femminile. La scelta da parte dell’Associazione della diarchia, della compresenza cioè di un uomo e di una donna, oltre che nelle comunità educative, ad ogni livello di responsabilità associativa, appare fondamentale e commisurata alla persona umana, nella duplicità del suo essere maschile e femminile. So che l’AGESCI è riconosciuta dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e fa parte delle APS (Associazioni di Promozione Sociale), del Forum Terzo Settore, di Libera ed è riconosciuta dal Dipartimento di Protezione Civile. Il riconoscimento da parte della Cei sta a dire la sua connotazione ecclesiale, un aspetto su cui avrò modo di tornare più avanti. L’Agesci nella comunità cristiana svolge un ruolo fondamentale perché non ha solo l’obiettivo di una formazione umanistica ma anche cristiana. E, pertanto, vi è un forte legame tra Agesci e Chiesa, che è avvalorato dall’Assistente ecclesiastico generale, e che non può essere dimenticato, pena l’indebolimento della proposta educativa della stessa Agesci. Credo sia importante rileggere il discorso che papa Francesco ha rivolto all’Agesci il 13 giugno 2015:
«[…] voi siete una parte preziosa della Chiesa in Italia. Grazie! Forse i più piccoli tra voi non se ne rendono bene conto, ma i più grandi spero di sì! In particolare, voi offrite un contributo importante alle famiglie per la loro missione educativa verso i fanciulli, i ragazzi e i giovani. I genitori ve li affidano perché sono convinti della bontà e saggezza del metodo scout, basato sui grandi valori umani, sul contatto con la natura, sulla religiosità e la fede in Dio; un metodo che educa alla libertà nella responsabilità. Questa fiducia delle famiglie non va delusa! E anche quella della Chiesa: vi auguro di sentirvi sempre parte della grande Comunità cristiana.
L’anno scorso, in agosto, vi ho telefonato quando eravate radunati nella pineta di San Rossore. Vi ricordate? Avevate fatto una grande route nazionale, come dite voi. E avete fatto la “Carta del coraggio”. Questa “Carta” esprime le vostre convinzioni e aspirazioni, e contiene una forte domanda di educazione e di ascolto rivolta alle vostre comunità capi, alle parrocchie e alla Chiesa nel suo insieme. Questa domanda investe anche l’ambito della spiritualità e della fede, che sono fondamentali per la crescita equilibrata e completa della persona umana.
Quando una volta qualcuno chiese al vostro fondatore, Lord Baden Powell, “che cosa c’entra la religione [con lo scoutismo]?”, egli rispose che «la religione non ha bisogno di “entrarci”, perché è già dentro! Non c’è un lato religioso del Movimento scout e un lato non… L’insieme di esso è basato sulla religione, cioè sulla presa di coscienza di Dio e sul suo Servizio» (Discorso ad una conferenza di Commissari scout/guide, 2 luglio 1926, in L’educazione non finisce mai, Roma 1997, p. 43). E questo l’ha detto nell’anno ’26.
Nel panorama delle associazioni scout a livello mondiale, l’AGESCI è tra quelle che investono di più nel campo della spiritualità e dell’educazione alla fede. Ma c’è ancora tanto da lavorare, perché tutte le comunità-capi ne comprendano l’importanza e ne traggano le conseguenze.
So che fate dei momenti formativi per i capi sull’accostamento alla Bibbia, anche con metodi nuovi, mettendo al centro la narrazione della vita vissuta a confronto con il Messaggio del Vangelo. Mi congratulo con voi per queste buone iniziative, e mi auguro che non si tratti di momenti sporadici, ma che si inseriscano in un progetto di formazione continua e capillare, che penetri fino in fondo nel tessuto associativo, rendendolo permeabile al Vangelo e facilitando il cambiamento di vita.
C’è una cosa che mi sta particolarmente a cuore per quanto riguarda le associazioni cattoliche, e vorrei parlarne anche a voi. Associazioni come la vostra sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito Santo suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori. Sono certo che l’AGESCI può apportare nella Chiesa un nuovo fervore evangelizzatore e una nuova capacità di dialogo con la società. Mi raccomando: capacità di dialogo! Fare ponti, fare ponti in questa società dove c’è l’abitudine di fare muri. Voi fate ponti, per favore! E col dialogo, fate ponti. Ma questo può avvenire solo a una condizione: che i singoli gruppi non perdano il contatto con la parrocchia del luogo, dove hanno la loro sede, ma che in molti casi non frequentano, perché, pur svolgendo là il loro servizio, provengono da altre zone. Siete chiamati a trovare il modo di integrarvi nella pastorale della Chiesa particolare, stabilendo rapporti di stima e collaborazione ad ogni livello, con i vostri vescovi, con i parroci e gli altri sacerdoti, con gli educatori e i membri delle altre associazioni ecclesiali presenti in parrocchia e nello stesso territorio, e non accontentarvi di una presenza “decorativa” alla domenica o nelle grandi circostanze.
ASPETTO PRATICO DA TENERE PRESENTE:
Ci sono, nell’AGESCI, molti gruppi che già sono pienamente integrati nella loro realtà diocesana e parrocchiale, che sanno fare tesoro dell’offerta formativa proposta dalla comunità parrocchiale ai ragazzi, ai giovanissimi, ai giovani, agli adulti, frequentando, insieme con gli altri loro coetanei, i gruppi di catechesi e formazione cristiana. Fanno questo senza rinunciare a ciò che è specifico nell’educazione scout. E il risultato è una personalità più ricca, e più completa. Se voi siete d’accordo andiamo avanti così![…]».
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Come possiamo indurre l’appetito alla preghiera in una generazione che crede di avere tutto? (Fa 3)
È questo, forse, uno dei compiti più delicati. In effetti, i ragazzi e i giovani di oggi sperimentano ciò che il cardinale Biffi di Bologna ebbe a dire nei confronti della società a proposito degli uomini contemporanei, e cioè che essi sono spesso persone sazie, ricche e disperate. Ma se questo è vero, bisogna pure riconoscere che il cuore dell’uomo non è mai del tutto sazio. Non bastano la ricchezza, le cose materiali, la tecnica, il consumo sfrenato, il piacere a colmare il cuore delle persone. Come affermava sant’Agostino il nostro cuore è sempre inquieto. E ciò perché gli esseri umani sono stati creati da Dio per Lui, Essere sommo. C’è in ognuno, dunque, una sete inestinguibile di Infinito. L’uomo supera infinitamente se stesso, soleva ripetere Blaise Pascal, per cui trova riposo solo in Colui che lo ha creato. Siamo intrinsecamente strutturati a Tu, per vivere in dialogo con Dio. Facendo leva su questo essere profondo di ogni persona abbiamo la possibilità di spiegare ai nostri ragazzi e giovani la loro vocazione, e cioè che sono chiamati al colloquio con Dio Padre, facendo capire e sperimentare quanto è bello pregare il Signore, vivendo la contemplazione del creato, aiutando a porsi in atteggiamento di preghiera.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Come Gesù ha insegnato ai suoi discepoli a pregare, così le Guide e i Capi hanno il compito non facile di insegnare ai ragazzi di giungere a parlare a Gesù Cristo, passando in rassegna la propria vita, gli errori, gli insuccessi, per sfociare nell’affidamento a Lui di tutto se stessi, dei propri impegni battesimali e della Cresima, smuovendo gli affetti, la fiducia, ricaricandosi delle grandi motivazioni per sognare, per avere visioni ampie, creatività, gioia nel dono di sé.
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In una società complessa e diversificata come la nostra, quale progetto di uomo e di donna, di coppia e di famiglia un educatore è chiamato a proporre? (modigliana 1)
Un educatore dell’Agesci, si potrebbe subito rispondere che in proposito, ha tra gli altri punti di riferimento, in vista dell’educazione alla affettività e all’amore, al matrimonio e alla famiglia, l’esortazione apostolica Amoris laetitia (=AL). Il progetto di uomo e di donna, di coppia coniugale e di famiglia, il credente non lo ricava da teorie preconcette o ideologiche bensì da una visione realistica dell’uomo e della donna quale la semplice ragione umana trova e riconosce esercitando una valutazione critica della complessità. Oggi, sottolinea papa Francesco, la ragione umana tende non a riconoscere la realtà dell’uomo e della donna in quanto maschio o in quanto femmina, ma a manipolarla, travisandola, dividendo aspetti che non esistono separati, come nel caso dell’atto generativo, rendendolo indipendente dalla relazione sessuale tra uomo e donna. La vita umana e la genitorialità sono considerate realtà componibili e scomponibili, soggette ai desideri dei singoli o delle coppie. Sicché, oltre ad equiparare erroneamente – non esiste infatti alcun fondamento per assimilarli o per stabilire analogie – il cosiddetto «matrimonio» delle unioni omosessuali al matrimonio tra uomo e donna (cf AL n. 251), si giunge a rivendicare il diritto ad avere un figlio ricorrendo alla incivile pratica dell’«utero in affitto», strumentalizzando e mercificando il corpo femminile (cf AL n. 54). L’ideologia del gender nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e di donna. Prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo. Secondo un’antropologia indifferenziata, l’uomo e la donna non possiedono una vera e propria natura sessuata come un dato ricevuto, ma sarebbero essi a crearsela. La differenza sessuale non si fonderebbe su una realtà biologica: i confini tra uomo e donna non sarebbero naturali, ma mobili e culturali. L’identità sessuale diventa una scelta libera, mutabile anche più volte nella vita di una persona. Secondo papa Francesco ciò che è più inquietante in questa ideologia del gender è che trova numerosi adepti sconsiderati, i quali cercano di imporla come pensiero unico nelle scuole in vista dell’educazione dei bambini, che debbono considerarsi esseri indifferenziati dal punto di vista sessuale. Una simile impostazione, annota, papa Francesco implica il peccato di sostituirsi al Creatore (cf AL n. 56).
Ciò che può aiutare l’educatore nel presentare il progetto di Dio sull’uomo e sulla donna, sul matrimonio e sulla famiglia è il fatto che quanto ci propone la visione della fede, la Rivelazione di Gesù Cristo, non si oppone a quanto la nostra ragione umana riesce per sé a guadagnare con le sue capacità naturali. Papa Francesco nell’AL insegna anzitutto un metodo di proposta: occorre adottare un metodo che, prima di denunciare le visioni distorte o le false ideologie, presenta il disegno di Dio sull’uomo e sulla donna evidenziando la bellezza e la gioia dell’amore, della famiglia cristiana. Il disegno di Dio prevede che la famiglia sia riflesso vivente di Dio Trinità, comunione d’amore (cf AL n. 11). Si tratta, allora, di accompagnare i ragazzi a vedere nella famiglia cristiana il vertice del compimento umano della sponsalità, dell’amore coniugale e famigliare, della maternità e della paternità. Alla luce del progetto positivo di Dio sull’uomo e sulla donna è possibile cogliere il deficit delle visioni parziali o distorte dell’uomo e della donna, della ideologia del gender, quanto questa ideologia sia distante dalla civiltà dell’amore, che sollecita a rendere istituzione lo stesso amore, ovvero un relazionarsi stabile nel dono reciproco, nella condivisione di sé, nel mutuo potenziamento d’essere. Come cristiani non possiamo rinunciare a presentare il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Parimenti non si può ignorare la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Bisogna ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e nei suoi diritti fondamentali, in quanto persona, evitando ogni marchio di ingiusta discriminazione, come anche ogni forma di aggressione e violenza (cf AL n. 250). Ad ogni omosessuale vanno, dunque, riconosciuti i diritti fondamentali. Non si possono condividere le proposte degli omosessuali di avere un diritto ad avere figli mediante l’affitto dell’utero, per ovvie ragioni, ossia per rispetto dei diritti del nascituro e della dignità della donna che non va sollecitata a mercificare il suo corpo alla produzione di figli per gli omosessuali.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Impadronirsi del metodo di approccio alla tematica come viene proposto nella esortazione apostolica AL, presentando anzitutto la bellezza del progetto di Dio sull’uomo e sulla donna; far capire (non nascondere le visioni distorte in proposito) il deficit antropologico presente nella ideologia del gender che pretende di essere pensiero unico e vero da imporre a tutti.
● Sua eccellenza, carissimo Mario, come associazione strutturata a livello nazionale e dotata di grande autonomia siamo e ci sentiamo membri e parte attiva nella Chiesa; in questo ci aiutano gli A.E. con la loro presenza (chi più chi meno in funzione del coinvolgimento nel movimento e nella partecipazione alle attività). La mancanza di continuità può mettere in difficoltà lo svolgimento di alcune attività e può far venir meno, soprattutto nei ragazzi in età adolescenziale, un punto di riferimento liturgico che non sempre il Capo Scout riesce a sopperire. Ciò premesso come vede il nostro ruolo di Capi Scout al riguardo? Cosa si aspetta da noi? (Bagnacavallo 1)
Quanto viene toccato dalle domande non è assolutamente secondario. La presenza degli assistenti ecclesiastici, nell’attuale penuria di vocazioni presbiterali, non può, purtroppo essere sempre garantita. A questo riguardo, tornano utili le parole di papa Francesco pronunciate in occasione dell’udienza del giugno 2015. In essa afferma che i singoli gruppi non devono perdere il contatto con la parrocchia del luogo, dove hanno la loro sede, ma che in molti casi non frequentano, perché, pur svolgendo là il loro servizio, provengono da altre zone. Siete chiamati, suggerisce il papa, a trovare il modo di integrarvi nella pastorale della Chiesa particolare, stabilendo rapporti di stima e collaborazione ad ogni livello, con i vostri vescovi, con i parroci e gli altri sacerdoti, con gli educatori e i membri delle altre associazioni ecclesiali presenti in parrocchia e nello stesso territorio. Non dimenticate in proposito che la CEI ha riconosciuto il cammino Agesci come cammino idoneo di iniziazione cristiana (cf Il discernimento. Un cammino di libertà). Non accontentatevi di una presenza “decorativa” alla domenica o nelle grandi circostanze. A mio modo di vedere i Capi scout sono chiamati ad essere i cultori della connessione del proprio gruppo con la comunità ecclesiale. Essi debbono essere, specie quando gli assistenti ecclesiastici non siano presenti con continuità, i garanti dell’ecclesialità del proprio gruppo. Come?
ASPETTO PRATICO DA TENERE PRESENTE:
Programmando momenti di preghiera, la celebrazione eucaristica, del sacramento della riconciliazione, concordandoli con i rispettivi parroci o con i parroci zonali o con i vicari foranei. I momenti di preghiera, evidentemente, possono essere preparati dai Capi. Sapendo ove si faranno i campi è bene contattare per tempo i parroci della zona, per avere il loro supporto.
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Qual è lo strumento pratico migliore, secondo Lei, che può fare indossare gli scarponi ai ragazzi, considerando che, a casa sono abituati a stare sul divano? (Alfonsine 1)
Più che ad uno strumento pratico penserei a far leva su due qualità dei giovani: il senso dell’avventura (rispetto a ciò è importante l’aggancio…, ecco lo strumento pratico da trovare. Potrebbe essere l’organizzazione in parrocchia di una giornata dedicata allo scoutismo), la voglia di stare assieme ai propri coetanei.
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In un mondo pieno di stimoli, come insegnare ai ragazzi a riconoscere quelli giusti, sapendo che nella società, troppo spesso, non c’è una base educativa stabile? (Alfonsine)
Occorre accompagnare i ragazzi e i giovani a conoscere se stessi, a guardare dentro il loro animo, nonché nella loro coscienza, per scoprire le direttrici della loro condotta morale: ama gli altri come te stesso; non fare agli altri quello che desideri non sia fatto a te. È facendo leva sulla capacità intrinseca di vero, di bene e di Dio, presente in ciascuno, che si può indicare ai ragazzi e ai giovani un insieme di punti di riferimento per capire quali inclinazioni sono vere, buone e giuste, ovvero corrispondenti alla dignità umana e cristiana (cf sempre il già citato Il discernimento…). In vista di ciò è imprescindibile offrire ai giovani un’immagine di uomo e di crescita completi. Non bisogna mai dimenticare che primo e principale fattore di sviluppo è l’annuncio di Gesù Cristo (cf Caritas in veritate n. 8). La crescita delle persone e dei popoli non è solo questione di risorse materiali, di mezzi tecnici, di informazioni, di istituzioni, di cultura, di innovazione, di ricerca, di apertura dei mercati, di abbattimento dei dazi, di investimenti produttivi, di una vasta gamma di opportunità o di scelte, come ha scritto a suo tempo Amartya Sen, o di chance di vita, come scrisse Ralf Dahrendorf. Tutti questi aspetti sono quanto mai importanti, ma in vista di uno sviluppo plenario, comunitario, sostenibile, inclusivo, è fondamentale poter disporre di una corretta scala di beni-valori, che viene a strutturarsi quando si ha Dio come parametro ultimo. Questa scala consente di compiere scelte buone, di vivere come persone rette (cf CIV n. 71).
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Nel percorso di ogni ragazzo e giovane è bene che ci sia una guida spirituale. Per questo è bene sollecitarli a che si scelgano una guida spirituale, che ogni santo ha mostrato di avere trovata per sé. Basti pensare a sant’Agostino che nelle Confessioni narra di aver cercato in sant’Ambrogio il suo padre spirituale, il quale aveva un accompagnamento spirituale da parte di Simpliciano che gli succederà come vescovo di Milano. Basta pensare a don Bosco, guida di santi come san Domenico Savio, diretto spiritualmente da san Cafasso. Bisogna far capire ai ragazzi e ai giovani che il cammino di fede è sempre un cammino di relazione con gli altri, specie con la propria guida spirituale.
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Desidero anche ricordarvi le parole che Gesù disse un giorno ai discepoli che gli chiedevano: «Rabbì […], dove dimori?». Egli rispose: «Venite e vedrete» (Gv 1,38-39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stordimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuonare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. (Papa Francesco)
La domanda è: come possiamo aiutare i nostri ragazzi (e come noi possiamo per noi stessi) nel “ricercare” questa voce, quello sguardo, favorire l’incontro con Dio? (Val di Lamone 1)
In parte ho già risposto prima. Qui aggiungo che è fondamentale aiutare i nostri giovani ad interrompere per alcuni istanti le connessioni virtuali per accrescere la connessione con Gesù il Signore, che ci ha insegnato a pregare, salendo sul monte (cf Mt14, 22-36), ossia a collocarci in un’altra dimensione. Andare presso Gesù non vuol dire prendere la navicella spaziale e sparire da questo mondo. Occorre trascendere il frastuono, le voci quotidiane, per incontrare Gesù, essere a tu per tu, con Lui, mettendo il nostro cuore vicino al Suo e sentire la sua voce. Bisogna giungere a porgere l’orecchio perché il Signore parla (cf Ger 13, 15-17). Bisogna ascoltarlo e parlargli. Per favorire l’incontro con Gesù i Capi potrebbero avere loro stessi un momento di preghiera e di silenzio orante. In tal modo i giovani vedono e capiscono l’importanza della preghiera. Si potrebbe, poi, allestire al centro del campo una tenda per la preghiera (tabernaculum)…, ove esporre almeno la Bibbia, ove sostare per leggere la Parola, per vivere minuti di intimità con il Figlio di Dio, per incontrare il sacerdote quando si rende presente. Sostare nell’ascolto e nella preghiera vuol dire amare. L’innamorato sosta al cospetto del suo amato, per guardarlo, per contemplarlo, per stare semplicemente insieme: guardare ed essere guardato con amore. La dimensione personale della preghiera è importante come la forma comunitaria. L’esercizio dell’interiorità è tutt’altro che intimismo. Molti preferiscono la preghiera fatta in comunità, assaporando musiche e canti. Sono meno capaci di sostare per un colloquio personale con Dio. «Fammi presente a Te che sei il Presente», invocava sant’Agostino.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Occorre aiutare i giovani a vivere un intreccio di contemplazione e di riflessione: riflettere pregando e pregare riflettendo; coscientizzare su chi siamo e su Chi abbiamo di fronte per invocarLo: invocare per coscientizzarsi.
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A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù, vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì». Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: «Non aver paura […] perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8). (Papa Francesco)
Come possiamo, da educatori (genitori, capi scout, insegnanti, etc.), dare risonanza alle richieste dei nostri ragazzi di giustizia senza cadere nel rischio di proporre “modelli” non loro? (Val di Lamone 1)
In altri termini come possiamo accompagnarli in questo cammino facendo in modo che il cammino sia effettivamente loro e non la semplice riproduzione di nostre aspettative? (Val di Lamone 1)
Occorre anzitutto ascoltarli, parlare con loro, capire cosa domandano e cosa sono disposti a fare. Ciò richiede che siano aiutati a leggere la situazione, a trovare dei punti di riferimento in se stessi e nel Vangelo. Occorre educarli al discernimento sociale, cioè a leggere la realtà alla luce di principi di riflessione, di criteri di giudizio e di orientamenti pratici, quali sono offerti dall’insegnamento sociale della Chiesa. Insomma si tratta di fare come si è già fatto aiutando a leggere l’enciclica Laudato sì, a tradurla in progetto educativo e in orientamenti di azione, in scelte operative. Per cambiare il mondo in meglio occorre sapersi organizzare e mettersi in rete per poter comunicare e realizzare, mediante buone pratiche, una società più giusta, fraterna e pacifica. In vista di ciò, per i giovani, diventa indispensabile pensare a momenti formativi orientati all’impegno sociale e politico, percorrendo una strada che alterna conoscenza di esperienze e riflessione, incontro con testimoni, operatività.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Vi pongo una domanda: perché non pensare ad un aggiornamento un po’ sistematico sulla Dottrina sociale della Chiesa (e sul suo metodo di discernimento), di due o tre mesi, per i Capi e le Guide, da farsi in un giorno più accessibile della settimana? Conoscendo meglio la Dottrina o insegnamento sociale della Chiesa si potrà impadronirsi di un metodo che aiuta ad essere fedeli al Vangelo e alle res novae, senza voler manipolare nessuno.
Sull’essere educatori nella chiesa
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Immaginiamo che Lei abbia un sogno per la sua diocesi: cosa si aspetta che gli scout possano fare per realizzare questo sogno? Il nostro motto è “Fare del nostro meglio per essere sempre pronti a servire”: il nostro desiderio è quello di metterci in dialogo e a disposizione della Diocesi. (Fa 1)
Il vescovo ha senz’altro i suoi «sogni» per la diocesi. Guai se non ce li avesse. Mi trovo in questa Diocesi da tre anni circa. Ed ho cercato di raccontare i miei «sogni» attraverso tre strumenti fondamentali. Innanzitutto, mediante una Lettera pastorale avente per titolo Misericordiosi come il Padre (LEV 2015), ove si prende in considerazione la missione della Chiesa nei confronti della società contemporanea e si indicano i vari ambiti da sottoporre al discernimento secondo i tre momenti del vedere, giudicare e avere. In secondo luogo, il Vademecum per il Sinodo dei giovani, intitolato Chiamati alla Gioia, che certamente conoscerete. In terzo luogo, la riflessione pastorale sulle migrazioni in un saggio intitolato Uomini e donne in cerca di pace (Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2018). Non so quanti di voi hanno solo posato l’occhio su questi tre piccoli sogni del vescovo che sono stati affidati alla carta stampata. Se qualcuno l’avesse fatto ne sarei contento non per vanagloria personale, ma perché avrei contezza che qualche credente avrebbe prestato una qualche attenzione al piccolo magistero del suo vescovo, che assieme ad altre associazioni e gruppi ecclesiali ha intrapreso varie iniziative formative. Cito: la Scuola triennale di formazione all’impegno sociale e politico “A gonfie vele”, le Tre Giorni sul tema del lavoro e giovani per tre anni consecutivi in collaborazione con la Diocesi di Imola, vari incontri su temi importanti come la Legge quadro sul biotestamento, sulla democrazia. Cosa, dunque, si aspetta il vostro vescovo da voi che avete come motto “Fare del nostro meglio per essere sempre pronti a servire” (tirandosi su le maniche)? Sicuramente sarei contento se davvero il vostro desiderio di dialogo e di mettervi a disposizione della Diocesi pervenisse ai soggetti incaricati dei vari settori della pastorale diocesana. Voi, forse, evidenzierete: spesso non siamo informati per tempo sulle iniziative. Abbiamo la nostra programmazione e, quindi, viene spontaneo seguire questa, secondo le indicazioni nazionali. Non nego che qualche disguido nell’informazione sulle varie iniziative ci possa essere. Ma, come ben potete comprendere, in una Diocesi, su eventi importanti per la vita della Chiesa, non sono auspicabili programmazioni che non si incontrano o si intersecano troppo poco. Rispetto alla necessità di programmare meglio le iniziative diocesane stiamo cercando, mediante la riforma della Curia, di raccordare e di definire meglio, e per tempo, il progetto pastorale annuale. Mettendo attorno ad un tavolo comune i vari responsabili dei vari ambiti pastorali si conta di armonizzare le molteplici iniziative, affinché siano conosciute tempestivamente o non si sovrappongano e non siano troppe. Mi fermo qui, per non dilungarmi eccessivamente in un monologo.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Il discorso potrebbe continuare più proficuamente con i responsabili di settore, dei Gruppi Scout e dei Centri di pastorale diocesana e parrocchiale. In vista di una maggior raccordo occorre valorizzare l’Assistente ecclesiastico diocesano per gli Scout che è don Stefano Vecchi.
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Per il nostro metodo è fondamentale che l’educatore giochi, cammini e cresca nell’incontro con i ragazzi: come possiamo costruire occasioni per incontrarci e camminare insieme? (Fa 1)
Superando l’autoreferenzialità. Riconoscendo che da soli siamo impari rispetto al nostro compito. Mettendosi, pertanto, in rete con le altre componenti ecclesiali (vescovo, parroco, vicari foranei, associazioni, movimenti, centri di pastorale sociale, vocazionale, giovanile, ecc.), agendo entro il quadro di una pastorale integrata, camminando in maniera sinodale, partecipando ai momenti della programmazione parrocchiale e diocesana (con i propri rappresentanti). Questo va detto per la sinergia necessaria da parte dei soggetti educatori. Per quanto concerne la presenza dell’educatore tra i giovani so bene quanto questa sia importante. In quanto salesiano ne conosco l’imprescindibilità. Se c’è una cosa di cui ho nostalgia è proprio l’essere presente in mezzo ai giovani. Mi manca. Peraltro, devo prendere atto, con un certo rammarico, che per gli impegni legati alla missione del vescovo, e per l’età, non mi è possibile stare in mezzo ai giovani per giocare con loro, se non in rare occasioni. Quello che è importante è che gli immediati responsabili sappiano agire concordi, alternando le presenze, accompagnando i ragazzi e i giovani, guadagnando la simpatia, il loro cuore, per poter ascoltare le loro confidenze e le loro domande.
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Papa Francesco ha riconosciuto, durante l’udienza generale del 2015, il ruolo fondamentale dell’Agesci nell’educazione cristiana dei ragazzi; a tale proposito come possiamo integrare la nostra azione con quella della parrocchia, in particolare sulla preparazione ai sacramenti? (Modigliana 1)
Incontrandosi con i responsabili della comunità parrocchiale, a cominciare dal parroco e dai suoi collaboratori catechisti, programmando insieme i momenti formativi, partecipando da protagonisti nella educazione alla fede. Andrebbe bene che nell’Agesci, a seconda dell’età dei ragazzi e dei giovani, si trattino, in maniera parallela alla comunità parrocchiale, le varie tematiche relative ai sacramenti della Comunione, della Riconciliazione, della Confermazione.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
In vista di ciò sarebbe funzionale la presenza di qualche Capo Scout nel Consiglio Pastorale della parrocchia o del Vicariato foraneo.
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Dato che i ragazzi in età post-Cresima sono molti, quale ruolo potranno avere gli Scout all’interno del Sinodo prossimo all’avvio? (Bagnacavallo 1)
I vostri rappresentanti Scout al Sinodo dei giovani vanno sollecitati ad essere presenti, ossia non assenti, ai vari momenti di coinvolgimento e di celebrazione di tale evento ecclesiale, per divenirne cinghie di trasmissione. Da una presenza attiva e responsabile al Sinodo deriva, poi, il successivo coinvolgimento dei ragazzi in età post-cresima.
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L’impressione a volte è che i ragazzi non si sentano parte della comunità cristiana, piuttosto si sentono spettatori. Come possiamo renderli più partecipi? Come spronarli a impegnarsi in un cammino di fede? (Fa 3)
L’Agesci e il Sinodo propongono uno stesso metodo di coinvolgimento: la responsabilizzazione, attraverso l’assunzione di piccoli servizi all’interno della comunità parrocchiale, nelle varie Associazioni ecclesiali.
ASPETTO PRATICO DA TENER PRESENTE:
Non è assolutamente fuori luogo aiutare i ragazzi, specie i giovani, a fare esperienze extra-associative nella catechesi della parrocchia, integrando le forze educative e pastorali.