Gli auguri natalizi del vescovo Mario Toso agli amministratori della cosa pubblica

Faenza - Sala San Carlo, 19 dicembre 2015
20-12-2015

Saluto con deferenza e rispetto tutti voi che avete accolto l’invito a ritrovarci per scambiarci gli auguri in occasione del Santo Natale e del Nuovo Anno. Vuol essere anzitutto un onorare la concordia che è necessaria tra coloro che lavorano insieme, ognuno secondo la propria competenza, a servizio delle persone, nello stesso territorio. Non si tratta, dunque di una «convocazione» dei politici e degli amministratori da parte del vescovo, che ha solo il titolo di pastore della Comunità cristiana che vive nella Diocesi di Faenza-Modigliana.

Considero, pertanto, la vostra presenza come un gesto di amicizia, un desiderio di dialogo fattivo per meglio fronteggiare le sfide epocali che ci attendono. Non si può negare che sperimentiamo le tristi conseguenze di una cultura liquida che sottopone la socieà ad un cambiamento incessante, che dà l’avvio a innumerevoli processi ma non li porta a compimento: li smantella, ne incomincia di nuovi, e così all’infinito, senza che si possa intravvedere qualcosa di compiuto e di stabile.

Alla radice vi è una crisi, oltre che gnoseologica, antropologica ed etica, oggi vissuta anche come retaggio di opzioni compiute in epoca moderna. Essa è ulteriormente amplificata dai complessi ed interconnessi fenomeni della globalizzazione, della mediatizzazione, della tecnocrazia, del consumismo materialistico, dell’idolatria del denaro e della mercificazione di quasi tutto il possibile. La cultura odierna, oltre che dalla fragilità, appare caratterizzata da una volontà di potenza smisurata. Al di là dei fenomeni e delle apparenze, è difficile rinvenire un’identità permanente delle cose e delle persone. Tutto sembra poter essere creato ex nihilo, costruito senza riferimento ad una datità che precede, è trovata, e non è posta dalla nostra libertà. Pertanto, non esistono limiti al desiderio di dominio e di manipolazione. Ci si comporta nell’illusione di essere dèi e demiurghi, condannati, peraltro, ad un’esistenza prometeica, subendo ineluttabilmente lo scacco del fallimento e dell’effimero, data l’insopprimibile contingenza dell’essere umano.

E, tuttavia, l’uomo, si trova ad esistere senza che l’abbia deciso lui. È dotato di un progetto inscritto nel suo essere, che il suo libero arbitrio non potrà mai cancellare. Ogni tentativo in tal senso provocherebbe una schizofrenia insanabile, che aliena le persone rispetto a se stesse e alle società in cui si trovano a vivere e che esse formano non come estranei, bensì come esseri fondamentalmente simili tra di loro, costitutivamente fraterni e relazionali.

In tale contesto socio-culturale, pervaso dal virtuale e dall’artificiale, la politica va ripensata e rifondata. Va ritrovata la capacità di una visione prospettica e dell’ancoraggio al bene comune, per corrispondere all’essere più profondo dell’umanità, all’uni-dualità maschile e femminile delle sue componenti, alla vocazione al dono e alla gratuità. Come suggeriva il Cardinale Bergoglio in uno scritto antecedente alla sua elezione al pontificato, ci si deve riappropriare della democrazia, per abbandonare quelle forme che la coniugano a «bassa intensità», ossia conservando alti tassi di povertà, di disoccupazione e di disuguaglianza, senza capacità di progettazione del futuro, senza inclusione per tutti.1 Uno dei paradossi più grandi che stiamo vivendo oggigiorno, non solo qui in Italia ma a livello mondiale, è lo screditamento della politica e dei politici nel momento in cui abbiamo più bisogno di loro. È curioso notare come qualsiasi altra professione sia screditata ma goda di una certa protezione che il politico non ha. Egli resta quasi totalmente solo, si espone con questa solitudine. La corruzione, invece, è diffusa un po’ ovunque. Lo hanno dimostrato fatti abbastanza recenti relativi a varie Regioni, nelle quali è emerso che i fenomeni di illegalità e di corruzione non coinvolgono solo i vertici politici, ma l’intera società. La corruzione riguarda certamente anche i politici, ma essi, nell’opinione pubblica, sembrano essere i soli corrotti. Proprio per questo occorre essere più vicini ai politici seri ed onesti, accompagnarli con simpatia e sostegno. Ma occorre soprattutto ripristinare le finalità più proprie della politica e dell’amministrazione della cosa pubblica. Occorre ripristinare il primato della politica rispetto all’assolutizzazione dei mercati e della finanza.

In questo periodo storico si sta assistendo, in particolare, sia come cittadini, sia come responsabili dell’amministrazione della cosa pubblica – non senza esserne coinvolti – all’erosione di quel patrimonio culturale e valoriale che sta alla base di una delle più belle Costituzioni del mondo. Sui suoi contenuti, che la sostanziano come carta di navigazione, sono convenuti nel secolo scorso, con una maggioranza quasi plebiscitaria, i politici di ogni collocazione ideologica. Oggi ne sono intaccati i pilastri fondanti: la visione personalista e comunitaria, il diritto alla vita, al lavoro, alla sicurezza sociale, alla famiglia, alla libertà religiosa.

Sappiamo che a ciò ha contribuito il diffondersi di un neoindividualismo libertario, come anche il divorzio tra capitalismo e democrazia, con la conseguenza della crescita delle diseguaglianze e delle povertà; la carenza di una governance efficace della globalizzazione, l’assenza di adeguate istituzioni globali. Neoindividualismo libertario significa indifferenza per l’altro, assolutizzazione del proprio arbitrio e delle proprie pretese, diminuzione della responsabilità nei confronti del bene comune e dello Stato di diritto.

È davvero ammirevole l’opera di quegli amministratori che contrastano con tutte le loro forze il deteriorarsi dei legami sociali, creando alternative di condivisione, collaborazione e partecipazione.

Uno degli impegni più difficili, ma decisivi per il futuro di una Nazione e di un popolo, è quello, come accennavo prima, di operare possedendo una visione, uno sguardo di futuro. Occorre, inoltre, pensare costantemente alla tenuta e alla crescita morale, culturale, spirituale del proprio Paese, senza dimenticare quella demografica e uno sviluppo sostenibile. Occorre operare perché siano attuati. Se così non avvenisse verrebbe indebolito l’ethos civile e sarebbe pregiudicata la dignità dei popoli, della gente. Il politico e l’amministratore sono chiamati sì a cercare il bene possibile. E, tuttavia, sono anche vocati, con le loro decisioni, a creare le condizioni migliori per uscire gradualmente dal degrado crescente di civiltà. Proprio su questo piano si evidenzia maggiormente la necessaria collaborazione tra politici, amministratori e comunità religiose. L’amministrazione della cosa pubblica che non si accontenta di adeguarsi semplicemente all’esistente e punta alla graduale estirpazione della illegalità e della corruzione, come anche al rafforzamento delle capabilities (cf A. Sen), ha un estremo bisogno di chi può aiutare a risanare e ad educare le coscienze, ossia delle comunità religiose che coltivano l’amore a Dio, la comunione con Lui, l’amore al prossimo. La città per vivere necessita di due polmoni, come ogni persona. Vivere senza un polmone – o solo con la comunità politica o solo con la comunità religiosa – rende un popolo più fragile, esposto a malattie, a fatiche superiori.

A proposito della scissione operata in epoca moderna tra società e religione non è forse maturo il tempo del suo superamento? Perché mettersi ad esercitare un dubbio metodico sulla forza di civilizzazione del cristianesimo? Perché voler indebolire la capacità di formazione delle coscienze da parte delle scuole cattoliche e delle altre istituzioni culturali, naturale espressione della libertà religiosa? Le comunità civili e politiche non possono vivere senza quell’ethos che è fermentato nella società dalle comunità religiose e che Gian Enrico Rusconi chiama «religione civile». Sarebbe come tagliarsi il ramo su cui si siede. Senza un tale ethos, le società civili e politiche si ridurrebbero ad intelaiature di leggi procedurali e di provvedimenti normativi, privi di autentica carica identitaria, poveri di forza integrativa a livello civile. A differenza di Gian Enrico Rusconi che propone come base delle comunità una religione civile priva di contenuti etici oggettivi ed universali,2 il cardinale Joseph Ratzinger rivendica per essa un carattere tutt’altro che storicistico ed immanentistico. Il «cuore etico» della religione civile è tenuto in vita da una razionalità aperta alla Trascendenza, a beni-valori oggettivi ed universali, pena la mancanza di punti di riferimento certi per il diritto e la giustizia, nonché per il bene comune.3 La religione civile di cui ha bisogno ogni società, non può vivere staccata dalle comunità religiose concrete. Senza di esse svigorisce o imbastardisce.4

 

Per Benedetto XVI, il cattolico deve partecipare al dialogo pubblico cosciente che valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme sono valori fondamentali ed imprescindibili,5 perché espressione e contenuto stesso della dignità umana, pilastro fondamentale della democrazia, che non può essere messo ai voti.6 Tali valori sono per sé accessibili alla ragione umana di tutti, quando essa sia esercitata secondo i diversi gradi del sapere, ossia anche nella sua dimensione veritativa, capace di misurare i desideri fattuali del soggetto agente alla luce del bene umano o telos normativo.

Il patrimonio di fede dei credenti, fondabile con un doppio ordine di motivazioni, razionali e sovrarazionali, rende il loro apporto ancor più pertinente, perché mossi da una ragione resa più retta dalla fede.7 Una religione civile che includa i suddetti valori, debitamente comunicata ed argomentata, arricchisce il dialogo pubblico sul piano di una razionalità più vera e più umanizzante.

Ebbene, a fronte di una politica gravemente in crisi e dei molteplici problemi che affliggono l’umanità in maniera persistente e profonda, al punto che i diversi tentativi per risolverli appaiono spesso vani, non resta che riconoscere, come confessavano gli antichi: «Ormai solo un Dio ci può salvare». In una celebre intervista, echeggiando la sapienza di chi l’aveva preceduto, Heidegger sosteneva che nulla, né la filosofia né alcuna altra intrapresa umana, poteva produrre un significativo cambiamento del mondo se non Dio.8

Il Natale imminente ci ricorda l’importanza della presenza di Dio nell’uomo e nella storia. Proprio qui poggia la speranza di poter trasfigurare e rafforzare l’impegno per il bene comune. Proprio qui si trova la radice di un nuovo umanesimo e la possibilità di forgiare una buona politica.

Qui sta la ragione di un augurio reciproco, perché nella divinizzazione dell’umano è posto in maniera irrevocabile il fondamento e il principio della riabilitazione o trasfigurazione della politica.

A tutti voi, ai vostri cari, ai vostri collaboratori, alle vostre comunità, l’augurio di un Natale particolarmente lieto e sereno, illuminato dalla luce del Verbo incarnato.

1 Cf J. M. Bergoglio, Noi come cittadini. Noi come popolo. Verso un bicentenario in giustizia e solidarietà. 2010-2016, Libreria Editrice Vaticana-Jaca Book, Città del Vaticano-Milano 2013.

2 Cf G. E. Rusconi, Quelle verità che non accetto, in «Fondazione Liberal», 5 (2001) 142-143. Per una riflessione più articolata e recente, sempre del medesimo Autore si veda Non abusare di Dio, Rizzoli, Milano 2007.

3 Riflessioni sulle posizione di G. Enrico Rusconi e del cardinale J. Ratzinger si possono trovare in M. TOSO, Stato laico, comunicazione dialogica e culturale, religione, in «Studium», (2007), n. 5, pp. 669-695.

4 Cf J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, in M. Pera-J. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Mondadori, Milano 2004.

5 Cf Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 83, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007.

6 Se la democrazia, attuando il principio della maggioranza, prevarica relativamente ai grandi valori che la sorreggono, compie un suicidio. La politica è arte della mediazione ma esiste un confine preciso oltre il quale non si può andare. Non si può trattare su tutto e in qualsiasi maniera, mettendo a repentaglio le fondamenta su cui si intende costruire la casa di tutti.

7 Benedetto XVI, nell’enciclica Deus caritas est, afferma che la fede è una forza purificatrice per la ragione che, liberata dai suoi accecamenti, svolge meglio il proprio compito (cf Benedetto XVI, Deus caritas est, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, n. 28).

8 Cf M. HEIDEGGER, Ormai solo un Dio ci può salvare, Guanda, Parma 1987, p. 136.