[feb 10] Omelia – Santa Messa per Comunione e Liberazione

Faenza, chiesa del Paradiso 10 febbraio 2020
10-02-2020

Carissimi,

collegandomi ad uno spunto che ho preso dalla prima meditazione di Julián Carrón per gli esercizi spirituali del 2019 desidererei presentarvi alcuni tratti della Lettera pastorale di quest’anno «Voi siete la luce del mondo». Padre Carrón  esordisce la sua riflessione di meditazione muovendo dalla domanda «Che cosa regge l’urto del tempo?». Risponde dicendo che per i discepoli di Cristo ciò che consente di reggere l’urto del tempo è la percezione  viva e rinnovata della presenza di Cristo, il Vivente: una presenza non senza faccia, bensì col volto del Figlio di Dio, carica di proposta, di significato per la vita,  per gli impegni quotidiani. Ciò che nella nostra «vita di corsa», in una società liquida, per usare le espressioni del sociologo Bauman, può distoglierci, deconcentrandoci dal contatto e dall’incontro con la presenza unica del Redentore, è l’abitudinarietà che appiattisce lo spessore della realtà. È, ritornando ad utilizzare le espressioni di padre Carrón, il «chiudersi nei propri recinti», è il «giocare al ribasso»: cose tutte che finiscono per farci evadere dalla ricchezza dell’esperienza della Presenza di Cristo nella nostra vita, nel nostro territorio. Può, invece, farci reggere l’urto del tempo la permanenza nell’incontro con la Presenza di Cristo, l’essere a tu per tu con il Signore della storia. Ci salva, dunque, la coscienza viva e costante della presenza di Cristo in noi, nel nostro tempo e nel nostro territorio. È importante non sentirsi stranieri rispetto ad essa. Occorre vederla, contemplarla, capirla. Occorre decidersi di partecipare responsabilmente a quanto essa produce e sollecita. Non ci si deve considerare persone solo spettatrici rispetto alla ricapitolazione di tutte le cose che Cristo compie nella nostra Chiesa locale. L’evento della redenzione e trasfigurazione, alla quale partecipiamo con la nostra vita filiale nel Figlio, sollecita a non essere viaggiatori distratti, che sfiorano appena lo sforzo evangelizzatore, pastorale, umanizzatore delle nostre comunità cristiane, non sentendolo proprio. Immergendosi nella presenza di Cristo e del suo Spirito si sente maggiormente nostra  quell’opera di annuncio, di celebrazione, di carità e di testimonianza che comunità, associazioni, movimenti compiono costruendo il Corpo mistico, il Regno di Dio.  Come ci ha detto il brano del Vangelo di Marco (Mc 6, 53-56) il Corpo di Cristo che viene «toccato» guarisce, salva. La guarigione avviene perché il contatto col corpo di Cristo mette in comunione spirituale con Lui, esponendo all’azione vivificante del suo Spirito. Ancora oggi la Chiesa è corpo di Cristo in mezzo alla gente, è dono disponibile per tutti, alla portata di tutti. Siamo chiamati ad essere collaboratori della salvezza dell’anima e del corpo portando a Cristo i nostri fratelli malati. Ebbene, la Lettera pastorale è esattamente l’invito a immergersi nella presenza di Cristo che incarnato, celebrato e testimoniato opera la salvezza integrale in questo territorio ed è fonte di perenne giovinezza per la sua Chiesa (immagine del Cristo giovane sulla copertina). È invito ad approfondire la vita di comunione con il Risorto, l’Autore di una nuova creazione nelle nuove condizioni socio-culturali. Quali? Quelle della scristianizzazione progressiva; del sale, ovvero dei cristiani, che perdono il loro sapore, e non salano più la terra perché divenuti insipidi, e proprio per questo gli altri li calpestano; come quelle in cui la fede non può essere più considerata un presupposto per non pochi di coloro che pure frequentano i nostri ambienti. Oltre alle condizioni appena elencate, nella Lettera pastorale si prendono in considerazione altre due condizioni  più «interne» alla Chiesa: a) quella della riorganizzazione territoriale delle parrocchie, b) e quella dell’attuazione degli Orientamenti offerti dagli Atti del Sinodo dei giovani, la cui fase celebrativa si è conclusa nel giugno dello scorso anno. In vista di ciò La Lettera pastorale sollecita ad aiutare i credenti, le associazioni, le aggregazioni e i movimenti a impegnarsi in una fede più viva, autentica, senza sconti a buon mercato, specie in un contesto in cui la mediocrità non aiuterebbe a rendere più solido il futuro dell’annuncio e della testimonianza cristiana nel nostro territorio. Tra  le strade che si indicano per rendere la propria fede un qualcosa che non sia spento, e che non sia privo del senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa si propongono: a) la formazione dei formatori affinché accompagnino i giovani ad identificarsi con Cristo perché possano dire: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20); b) la crescita in un Amore pieno di verità, che perdura ogni giorno, e lievita la capacità di donare una «vita filiale nel Figlio», di avere una fede missionaria: chi non ha una fede convinta non la può donare agli altri; la fede cristiana o è missionaria o non è affatto fede cristiana. I nostri giovani per essere animati da spirito missionario debbono essere educati a vivere nella fornace dell’amore che è Cristo e, nello stesso tempo, a pensare la loro fede per comprenderla di più, per rendere ragione di essa. Il credente vero vive in un cerchio meraviglioso di amore e di conoscenza, che si alimentano reciprocamente: l’amore fa vedere e il vedere fa amare, ha scritto Benedetto XVI. Una fede che non pensa è nulla, affermava sant’Agostino. Questo non può essere ignorato nel contesto attuale di agnosticismo e di relativismo assoluto. Per reggere l’urto del tempo, adulti e giovani, non possiamo disprezzare la meditazione della Parola, un minimo di formazione teologica, quale la nostra Diocesi cerca di offrire con la Scuola di formazione S. Pier Damiani e il V anno di aggiornamento e di approfondimento. Domani incomincia il secondo semestre. Non possiamo, però, mai perdere il contatto con l’Eucaristia che anche questa sera celebriamo, per essere maggiormente partecipi della nuova creazione posta in essere dal Risorto nella nostra Chiesa locale e nel mondo.

+ Mario Toso