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La celebrazione della Giornata mondiale del malato (11 febbraio, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes), è momento propizio per riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono, sia nei luoghi deputati alla cura sia in seno alle famiglie e alle comunità.
Nel suo messaggio per questa giornata papa Francesco ricorda che: «La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme, è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri si arrangino».
Il Papa prosegue riferendosi al Libro del profeta Ezechiele (34,15-16): «L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli. Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto».
Ed ancora, «L’enciclica Fratelli tutti ... propone una lettura attualizzata della parabola del Buon Samaritano. L’ho scelta come cardine, come punto di svolta, per poter uscire dalle “ombre di un mondo chiuso” e “pensare e generare un mondo aperto” (cfr n. 56). … La persona malmenata e derubata, abbandonata lungo la strada, rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto. …Ogni sofferenza si realizza in una “cultura” e fra le sue contraddizioni.
Ciò che qui importa, però, è riconoscere la condizione di solitudine, di abbandono. Si tratta di un’atrocità che può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché – come racconta la parabola – a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione.
…Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. … Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi. Ecco perché è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido “ospedale da campo”: …Tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli.
La Giornata mondiale del malato, in effetti, non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti; essa, nello stesso tempo, mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. … La conclusione della parabola del Buon Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cfr Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro di operatori sanitari e sociali, all’impegno di familiari e volontari grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male».
Il Papa cita gli anni della pandemia: «Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti» augurandosi che sorgano «le strategie e le risorse perché a ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute.
Abbi cura di lui (Lc 10,35) è la raccomandazione del Samaritano all’albergatore … e alla fine ci esorta: Va’ e anche tu fa’ così. Come ho sottolineato in Fratelli tutti, la parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (n. 67). Infatti, siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile (n. 68)».
Volgendosi al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità conclude «… le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare.
All’intercessione di Maria, salute degli infermi, affido ognuno di voi, che siete malati; voi che ve ne prendete cura in famiglia, con il lavoro, la ricerca e il volontariato; e voi che vi impegnate a tessere legami personali, ecclesiali e civili di fraternità.
A tutti invio di cuore la mia benedizione apostolica».
papa Francesco
– Curare le significative celebrazioni e le belle iniziative già presenti nelle comunità parrocchiali per sensibilizzare a farsi carico di persone disabili, sofferenti e malate.
– Valutare l’opportunità di qualche iniziativa informativa/formativa su questioni etiche di attualità o situazioni “critiche” che mettono maggiormente a repentaglio la salute.
– Monitorare la presenza di malati, in particolare cronici, diversamente abili o altro, presenti nel territorio.
– Curare e sostenere la presenza dei Ministri straordinari dell’Eucaristia, dei Ministri della consolazione e di ‘gruppi di sostegno’ per famiglie in difficoltà.
In occasione del Natale la Pastorale della Disabilità della Diocesi di Faenza-Modigliana propone tre preghiere in CAA (Comunicazione aumentativa alternativa) per dare a tutti la possibilità di imparare le preghiere assieme. I testi dell’Ave Maria, Padre Nostro e Gloria sono inoltre proposte in dialetto romagnolo. La Comunicazione Aumentativa Alternativa è un approccio dai vari volti, ma dallo scopo univoco di offrire alle persone con bisogni comunicativi complessi la possibilità di comunicare tramite canali che si affiancano a quello orale.



La catechesi è un’esperienza molte volte positiva, soprattutto nell’età giovanile, ma poi è altro che porta le persone a divenire parte viva della Chiesa. I contenuti della catechesi non sono stati centrali per la vita di fede. Anche la famiglia molte volte è in crisi nel trasmettere valori autentici. È necessario trovare uno stile della catechesi che sia diverso da quello scolastico, rivedendo i modi, i tempi, le età che ora sono legati alla ciclicità scolastica e al puro formalismo di convenzione. Serve uscire dal concetto di dottrina e passare al concetto di vita.
Si percepisce che serve un cambiamento dei percorsi di iniziazione cristiana.
Non sono sufficienti educatori entusiasti e giovanili, ma servono persone formate e coscienti del loro servizio, dando più importanza al ruolo degli adulti e dei genitori.
Coinvolgere le famiglie stesse, tutte insieme, in una forma di catechesi più integrale e meno frammentata nelle fasce di età: gli anziani hanno la missione di trasmettere la fede ai giovani.
Mentre si chiede di riscoprire il catecumenato degli adulti, si pensa di “spostare” i sacramenti ad un’età più matura,ritardando l’età dei candidati, e di celebrarli quando se ne fa richiesta, sviluppando un percorso di adesione e scelta personale piuttosto che il percorso classico per classi di età.
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Quali esperienze sono in grado di accompagnare le persone nel cammino di fede?
Di chi è il compito di accompagnare nella fede?
Quali esperienze di catechesi non ci sembra facciano crescere le persone nell’incontro con il Signore?
Conosci esperienze significative di coinvolgimento nei percorsi di catechesi degli adulti?
Quali gesti, abitudini, buone pratiche bisognerebbe intraprendere per accompagnare nel cammino di fede?
Che cosa è essenziale e che cosa è secondario?
Cosa lo Spirito ci sta chiedendo di rinnovare nei percorsi di catechesi?
Le persone si sentono distanti le une dalle altre e fanno esperienza di una Chiesa frammentata. In tanti gruppi sono emerse la fatica e lo sconforto: molti non si sentono in cammino con i fratelli. Spesso la mancanza di coinvolgimento e di una partecipazione condivisa, l’abitudine, fanno sì che i luoghi e i servizi siano delegati solo a poche persone, quasi sempre le stesse.
Emerge che la maggior parte dei gruppi è autoreferenziale e con un orizzonte ristretto: questa chiusura su sé stessi, sul gruppo, nella vita consacrata, nell’associazione, nella parrocchia, non porta a sentirsi parte di un unico cammino.
La Chiesa rischia di essere una ONG (una Pro-Loco) che gestisce servizi o una Chiesa distante, divisa in piccole realtà, comunque una Chiesa che non sa entrare in relazione con la vita reale ed intercettare l’uomo di oggi.
Si fa esperienza di ambiti della vita in cui non c’è nulla della Chiesa perché là non c’è la presenza di uomini e donne di fede. Mancano le occasioni di incontro alle quali partecipare, per mancanza di adulti disposti a prendersi cura dei ragazzi e soprattutto dei disabili.
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.
Ci sono fatiche particolari di cui facciamo esperienza e in quali ambiti ecclesiali?
Quale cambiamento renderebbe meno faticoso il nostro impegno?
Riusciamo ad avere uno sguardo fuori dal nostro gruppo/comunità? Siamo “in uscita”? Cerchiamo di essere aperti all’altro, di coinvolgere e di avere uno stile sinodale nel vivere la Chiesa e i vari servizi?
In quali spazi/tempi facciamo esperienza di un’abitudine, di un “si è sempre fatto così”?
La nostra attuale esperienza è di gruppi chiusi e autoreferenziali?
C’è qualcuno che non è presente che stiamo dimenticando, che è fuori dal nostro gruppo (es. i poveri, gli ultimi)?
Chi chiede cura e attenzione da parte nostra e della comunità cristiana?
CI prendiamo cura gli uni degli altri? Qualcuno sta aspettando il nostro invito, la nostra accoglienza, il nostro servizio?
Cosa comporterà per noi e per la Ciesa assumere queste attenzioni?
Ci sono luoghi in cui la Chiesa non è presente non riuscendo ad intercettare l’uomo di oggi?
Nei nostri gruppi/comunità riusciamo a vivere le diversità e i conflitti aprendoci al confronto?
Riusciamo a vivere come comunità le decisioni, le scelte, le attività? Ciò che facciamo è condiviso o è solo di qualcuno?
Quali occasioni abbiamo per esprimere la misericordia della Chiesa?
Ricordiamo situazioni riuscite di integrazione delle diversità?
Cosa pensiamo ci stia suggerendo lo Spirito?
Questo cammino sinodale ha permesso alle persone di essere cercate e di andare a cercare, di essere ascoltate e di ascoltare. Con il servizio e l’impegno, la fatica e il tempo dei moderatori e dei segretari, si è fatta esperienza di qualcuno che “mi è venuto a cercare”, sia come battezzato sia come persona lontana, di qualcuno che “ha preso l’iniziativa” e “si è interessato a me”. Le persone si sono sentite prese in considerazione, ascoltate, messe al centro e coinvolte con provocazioni originali.
Vedersi, incontrarsi e sentirsi non giudicati ma ascoltati e basta: questa accoglienza è uno stile che piace. Si chiede che diventi lo stile proprio della Chiesa.
Si è sentita la Chiesa come luogo in cui vivere questa doppia dinamica: “finalmente la Chiesa mi chiede come sto”, “mi viene a cercare”, “si interessa a me”, “ha cura di me”. Allo stesso tempo la Chiesa “mi fa sentire che non sono solo”, ma che posso vivere come fratello in una grande famiglia.
Si sente la paura della solitudine e il grande desiderio di non rimanere soli.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.
Siamo aperti all’ascolto dell’altro?
Come viviamo le relazioni all’interno della nostra comunità/gruppo? Chi prende l’iniziativa verso l’altro?
Quando abbiamo sentito di essere ascoltati e presi sul serio nella Chiesa?
Quando siamo stati in grado di tessere relazioni personali e comunitarie significative? Come ci siamo messi in gioco?
Quali attenzioni, abilità, stili ci piacerebbe adottare?
Il nostro consiglio pastorale/affari economici è luogo di ascolto e di discernimento sinodale?
Quali funzioni e impegni sono davvero necessari all’evangelizzazione e quali sono solo volti a conservare le strutture?
Quali delle nostre strutture si potrebbero snellire per servire meglio l’annuncio del Vangelo?
Che cosa chiedono gli uomini e le donne del nostro tempo per sentirsi “a casa” nella Chiesa? Proviamo a ipotizzare.
Quali passi siamo disposti a fare per essere comunità cristiane aperte, accoglienti e capaci di avere cura dell’altro?
Che consapevolezza abbiamo di essere Diocesi, Chiesa di Faenza-Modigliana?
Che cos’è che aiuta a vivere l’esperienza cristiana nelle case e cosa servirebbe per essere aiutati a viverla meglio?
Esistono esperienze ospitali positive per bambini, ragazzi, disabili, giovani, anziani e famiglie (ad es. l’oratorio)?