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Presentazione del Messaggio di papa Leone XIV per la Giornata Mondiale della Pace

 

Sabato 3 gennaio 2026, a Faenza, si terrà un importante momento di riflessione e confronto dedicato al tema della pace, promosso dalla Diocesi di Faenza-Modigliana e dalla Fraternità Francescana Frate Jacopa. L’incontro avrà come titolo “Verso una pace disarmata e disarmante” e sarà incentrato sulla presentazione del Messaggio di papa Leone XIV per la Giornata Mondiale della Pace.

L’evento si svolgerà presso la Casa del Clero (via Bondiolo 42, Faenza) e vedrà la partecipazione di S.E. Mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, che accompagnerà i presenti nella lettura e nell’approfondimento del messaggio pontificio, offrendo chiavi di interpretazione pastorale e sociale di grande attualità.

Il tema scelto richiama con forza l’urgenza di una pace che non sia solo assenza di conflitto, ma scelta concreta di disarmo interiore, culturale e strutturale. Una pace “disarmata”, perché libera da violenza, paura e logiche di potere, e allo stesso tempo “disarmante”, capace di toccare le coscienze e generare relazioni nuove fondate sul dialogo, sulla giustizia e sulla fraternità.

Il programma della giornata prevede l’inizio dei lavori alle 10.30, seguito dal pranzo alle 12.15. Nel pomeriggio, alle 14.00, i lavori riprenderanno con ulteriori interventi e momenti di confronto, per concludersi alle 17.00 con la celebrazione della Santa Messa, segno e compimento di un cammino vissuto insieme.

L’iniziativa si rivolge a sacerdoti, religiosi, laici, operatori pastorali e a tutti coloro che desiderano interrogarsi sul ruolo della Chiesa e dei cristiani nella costruzione di una pace autentica, in un tempo segnato da conflitti, tensioni internazionali e profonde fragilità sociali.

Per informazioni e iscrizioni è possibile contattare l’indirizzo info@coopfratejacopa.it.

Un appuntamento da non perdere per chi crede che la pace sia una responsabilità condivisa e una vocazione da vivere ogni giorno.


Chiusura del Giubileo in Diocesi, domenica 28 dicembre

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

vi scrivo rinnovando l’invito per la celebrazione eucaristica di chiusura del Giubileo della speranza nella quale eleveremo il nostro ringraziamento a Dio per la grazia che ha riversato nei nostri cuori in questo Anno santo. Vorrei leggere la chiusura del Giubileo “Pellegrini di speranza” nel contesto ecclesiale odierno, segnato dalla riscoperta dello stile sinodale, che siamo chiamati a sviluppare sempre di più.

Papa Leone XIV, in un discorso alle Équipe sinodali, ha ricordato:

«Credo che sia molto importante capire che il Giubileo è un invito alla conversione, alla riconciliazione e alla vita nuova che abbiamo ricevuto da Gesù Cristo. Vivere lo spirito della sinodalità è vivere la spiritualità del Vangelo, della comunione, del voler essere Chiesa. Questi sono aspetti che possono veramente ispirarci a continuare a essere Chiesa e a costruire cammini di inclusione, invitando tutti ad accompagnarci, a camminare con noi. Credo che sia fondamentale un’autentica conversione e che scopriamo nel nostro cuore le radici di un’autentica spiritualità che inizia con l’ascolto della Parola di Dio e continua con il disce1nimento della presenza dello Spirito, proprio laddove ci sta chiamando. Questa esperienza può accendere nei nostri cuori il desiderio di essere insieme discepoli, discepoli missionari fedeli nel cammino» (LEONE XIV, Discorso, 24 ottobre 2025).

La conversione, il voler essere Chiesa, i cammini di inclusione, l’ascolto della Scrittura e il discernimento dello Spirito, l’impegno coraggioso nel bene: è questo il cammino che non si interrompe mai e che ci chiede continuamente di rinnovare il carisma battesimale che ci rende fratelli in Cristo, Figli di Dio. Pertanto, domenica 28 dicembre p.v. alle ore 18.00 in Cattedrale, tutta la Diocesi in ogni sua componente e le comunità sono convocate per la celebrazione giubilare a conclusione dell’Anno Santo. Per permettere la più ampia partecipazione del clero e dei laici, dispongo la sospensione di tutte le S. Messe di domenica 28 dicembre 2025 dalle ore 13 .00 alle ore 24.00.

Allego un volantino per diffondere e incentivare la più ampia partecipazione.

Con il mio fraterno saluto.
Faenza, 24 novembre 2025

+ Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana

 

 

 

→ Invito del Vescovo in pdf


Gli auguri di Natale del Vescovo Mario: “Gesù Bambino tra di noi, occasione di vera rinascita”

Care comunità parrocchiali, cari fratelli e sorelle, associazioni, aggregazioni, movimenti, ancora una volta ho l’opportunità di rivolgermi alle famiglie, ai piccoli e ai grandi, perché siamo chiamati a rivivere il mistero del Natale o, meglio, l’evento della nascita di Gesù Bambino tra di noi. Noi viviamo in un mondo che non è più lo stesso dopo la terza guerra mondiale a pezzi, le ferite non ancora rimarginate delle alluvioni, il continuo calo demografico, lo spopolamento delle aree interne, giovani che migrano per motivi di lavoro e tanti altri fattori di cambiamento culturale e sociale. Gesù che propone a noi il progetto d’amore del Padre non trova più lo scenario degli anni passati, segnati dalla pandemia, dalla vistosa erosione dello Stato sociale. In un tempo di disillusioni, di promesse allettanti, ma anche cruciali, dell’intelligenza artificiale, il Natale di Gesù, del Figlio di Dio, potrebbe essere sempre l’occasione di una rinascita, del ritorno in noi stessi, per uno sguardo disincantato sulle nostre reali condizioni storiche, dal punto di vista culturale, civile, economico, politico, ecologico. Il Natale potrebbe essere l’occasione per un bilancio più ponderato sui risultati dei mancati traguardi nelle alleanze con altri Paesi in vista della pace tanto invocata, della democrazia partecipativa e deliberativa, dell’Unione Europea, del suo ruolo nel mondo.

Ma a fronte di tanti problemi, rispetto ai quali due miliardi di cristiani saranno chiamati inevitabilmente a misurarsi, e che non è il momento di considerare, per ovvie ragioni, mi permetto di fare gli auguri natalizi a tutti, sollecitando a riflettere sul farsi «piccolo» del Figlio di Dio per avvicinarsi a noi, per non lasciarci soli, per sostenere chi vacilla, per rialzare chi cade sotto pesi troppo grandi per le nostre semplici forze umane.

Dio, nel Natale, si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell’Amore. Giunge in mezzo a noi, affinché possiamo comprenderLo, accoglierLo, amarLo. Ci invita a diventare simili a Lui. Vuole darci un cuore di carne. Viene, affinché ciascuno di noi possa dire, senza finzioni, con verità: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (cf Gal 2,20).

In questo tempo di disincanto, di inizio dell’attuazione degli orientamenti pastorali del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, di necessario abbandono di vuoti sentimentalismi e di sterili fughe dalla comunione ecclesiale, caratterizzate dall’illusione di realizzare un rinnovamento per conto proprio, desidererei richiamare a voi una sollecitazione che ci proviene dalla recente esortazione apostolica Dilexi te di Leone XIV, un testo che abbiamo presentato alla Diocesi lo scorso 4 dicembre in cattedrale. Nell’esortazione il nuovo pontefice ci invita a non enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio. Bisogna andare verso la carne di Cristo che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata, emarginata, emigrata, sfruttata, discriminata, povera di pensiero pensante.

Dalla fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la sollecitudine per lo sviluppo integrale dei più abbandonati delle società.[1] Deriva, cioè, l’impegno nel rimuovere le cause della povertà, le strutture di ingiustizia e di peccato.

Talvolta – ricorda ancora papa Leone XIV – si riscontra in alcuni movimenti o gruppi cristiani la carenza o addirittura l’assenza dell’impegno per il bene comune della società e, in particolare, per la difesa e la promozione dei più deboli e svantaggiati. A tale proposito, occorre ricordare che la religione, specialmente quella cristiana, non può essere limitata all’ambito privato, come se i fedeli non dovessero avere a cuore anche problemi che riguardano la società civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini.  In realtà, qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi.[2]

Se si è detto – aggiunge Leone XIV – che la fede ha una dimensione pubblica, va pure ricordato che la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale ed intimo con il Signore in sé.  La proposta è più ampia. È relativa al Regno di Dio (cf Lc 4,43). Si tratta di amare Dio il cui Figlio si è incarnato nell’umanità e nel cosmo per ricapitolare in sé tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo (cf Col 1, 12-20). Nella misura in cui l’amore di Cristo, che si dona in maniera incondizionata e in piena libertà, regnerà in noi e tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti.[3]

Le strutture d’ingiustizia vanno rimosse, pertanto, attraverso il cambiamento della mentalità ma anche con l’aiuto delle scienze e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società.

I credenti per il loro battesimo sono chiamati non solo a contemplare la regalità di Cristo, ma a partecipare ad essa, ad estenderla. Sono chiamati a servire Cristo Re, a testimoniare con la vita e con la parola la sua Signoria. Sono chiamati ad essere autentici araldi della regalità di Cristo nel mondo contemporaneo. Innanzitutto, vivendo nelle nostre comunità la pace che Cristo dona a tutti i suoi discepoli. In secondo luogo, vivendo non una spiritualità disincarnata ma incarnata, contribuendo a realizzare con Lui il Regno di Dio. Come? Con un amore pieno di verità, amando Dio sopra ogni cosa: nelle relazioni, nelle istituzioni, nella famiglia, nell’educazione, nel mondo del lavoro, nell’amministrazione pubblica, nella ricerca del bene comune e dei beni collettivi (acqua, terra e cibo,[4] clima, energia rinnovabile), nei social, nell’impiego dell’intelligenza artificiale. Ciò facendo noi vivremo le attività umane, le relazioni interpersonali, gli ambienti sociali con il cuore di Cristo, ordinandoli al loro compimento in Dio.[5] Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui (cf Col 1, 12-20). In tal modo, le membra del Corpo di Cristo, uomini e donne, singoli, associazioni, aggregazioni e movimenti, agiscono, riconciliano e trasformano la città terrena in cui si prepara la Città di Dio.

In breve, il compito dei cristiani non è solo quello di pregare e di insegnare la vera dottrina. I discepoli non sono semplici spettatori dell’impasto di Gesù, che si paragona ad una massaia che mescola il lievito (il Regno) alla pasta,[6] ma vi collaborano. Come?  Assumendo lo stile del Regno, vivendo in particolare le beatitudini (cf Mt 5,1-12). Essi partecipano alla costruzione del Regno di Dio e, con ciò stesso, alla promozione integrale dei poveri.[7]

 

Viviamo il Natale di Gesù con queste parole nella mente e nel cuore. Auguri a tutti, alle famiglie, ai nonni e ai bambini.

 

 

                                                          + Mario Toso

 

[1] Cf DT n. 111.

[2] Cf DT nn. 111-112.

[3] Cf DT n. 97.

[4] Cf DT n. 12.

[5] Cf M. Toso, Gioia e speranza. Evangelizzazione, catechesi e insegnamento sociale, Edizioni delle Grazie, Faenza 20252, capitolo I.

[6] Gesù stesso disse: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Mt 13,33; cfr. Lc 13,20-21). Qui il Signore sembra paragonarsi a una massaia, che mescola il lievito alla pasta, seguendo il giusto dosaggio, e sa attendere il risultato. Il lievito, di per sé, è il Regno, che la donna mescola alla farina.

[7] Cf DT n. 114.


Solennità del Natale: le celebrazioni in Cattedrale

Dal 17 dicembre all’11 gennaio la Basilica Cattedrale di Faenza sarà il centro delle celebrazioni liturgiche del tempo di Natale, con un calendario articolato che accompagnerà i fedeli fino alla festa del Battesimo del Signore. Si comincia con la Novena di Natale, dal 17 al 24 dicembre alla messa delle 8. Domenica 21, IV domenica di Avvento, messe alle ore 8, 10.30, 12 e 18; alle 17 adorazione eucaristica e vespri (confessioni: 9-12.30 e 16-19). Lunedì 22 e martedì 23 messe alle 8 e alle 18 (confessioni: 8.30-12 e 16-19).

La Vigilia di Natale, mercoledì 24, prevede la messa del mattino alle 8 (confessioni: 8.30-12 e 16-19). Alle 23.30 Veglia di Natale con la lettura della Kalenda, seguita a mezzanotte dalla messa nella notte del Natale del Signore, presieduta dal vescovo mons. Mario Toso. Giovedì 25, Solennità del Natale del Signore, saranno celebrate messe alle 8 e alle 12; la celebrazione solenne delle 10.30 sarà presieduta dal Vescovo. Alle 17.30 vespri solenni presieduti da mons. Michele Morandi, seguiti alle 18 dalla messa (confessioni: 8-13 e 16-19).

Venerdì 26, festa di Santo Stefano martire, messe alle 8 e alle18. Domenica 28, Festa della santa famiglia, messe alle 8, 10.30 e 12; alle 17 adorazione eucaristica e vespri; alle 18 monsignor Toso celebrerà la chiusura dell’Anno Santo del Giubileo.

Mercoledì 31 messa alle 8 e alle 18 Te Deum di ringraziamento presieduto dal Vescovo. Giovedì 1° gennaio 2026, Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e Giornata Mondiale della Pace, messe alle 8, 10.30, 12 e 18, quest’ultima celebrata da mons. Toso.

Il calendario prosegue con la II domenica di Natale, 4 gennaio, con messe alle 8, 10.30, 12 e 18 e Vespri alle 17. Negli stessi orari saranno celebrate anche le messe in occasione dell’Epifania del Signore e il Vescovo presiederà la funzione delle 18. Le celebrazioni natalizie si concluderanno domenica 11 con la Festa del Battesimo del Signore: messe alle 8, 10.30, 12 e 18, adorazione eucaristica e vespri alle 17.

 


Passi positivi per la libertà di educazione

LEGGE DI BILANCIO 2026 – PASSI POSITIVI PER LA LIBERTA’ DI EDUCAZIONE 

Le Associazioni di gestori e genitori di scuole paritarie cattoliche e d’ispirazione cristiana, AGeSC, Cdo Opere Educative-FOE, CIOFS scuola, FAES, FIDAE, FISM, Fondazione GESUITI EDUCAZIONE, Salesiani Don Bosco Italia-CNOS Scuola Italia, facenti parte di Agorà della parità, registrano con favore i passi avanti che la Legge di bilancio 2026 segna verso l’obiettivo della libertà di scelta educativa e del crescente riconoscimento della scuola paritaria come servizio pubblico indispensabile per il Paese. 

In particolare evidenziamo i seguenti provvedimenti: 

– l’incremento e stabilizzazione dei fondi a favore delle scuole paritarie; 

– la disposizione approvata in commissione bilancio del Senato che regola in modo definitivo il regime di esenzione dall’IMU per le scuole paritarie attraverso l’articolo 134-bis, fornendo un’interpretazione autentica della normativa vigente e stabilendo che le attività didattiche svolte dalle scuole paritarie sono da considerarsi non commerciali, ai sensi della Legge n. 62 del 2000, quando il corrispettivo medio percepito risulta inferiore al Costo Medio per Studente (CMS), determinato annualmente dal Ministero dell’Istruzione e del Merito; 

– l’approvazione in commissione bilancio del Senato dell’emendamento alla Legge di bilancio 2026, che introduce un buono scuola nazionale fino ad euro 1.500 a studenti (con un indicatore ISEE non superiore ad euro 30.000) frequentanti una scuola paritaria secondaria di I grado o il primo biennio di una scuola paritaria di II grado. 

A 25 anni dalla Legge di parità 62/2000 le scriventi associazioni, pur consapevoli che la strada da fare per il pieno compimento della libertà di scelta educativa sia ancora lunga, esprimono soddisfazione per il riconoscimento che il Governo ed il Parlamento hanno dimostrato verso i sacrifici che tante famiglie compiono per affermare il diritto di scegliere la scuola per i propri figli e per gli enti gestori che in mezzo a tante difficoltà portano avanti un’ipotesi educativa da offrire ai ragazzi. 

Un grazie in particolare al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e al Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti alle quali le scriventi associazioni avevano rivolto le istanze più urgenti. Esprimiamo inoltre gratitudine al Viceministro per l’Economia Maurizio Leo che ha individuato una soluzione ad un annoso problema per gli enti gestori delle scuole paritarie in riferimento all’IMU e ai tanti parlamentari, in particolare Mariastella Gelmini, Claudio Lotito e Maurizio Lupi, che hanno presentato e sostenuto l’emendamento sull’introduzione del buono scuola nazionale; senza dimenticare, infine, il lavoro di tante associazioni della società civile che da anni sostengono il diritto alla libertà di educazione. 

Le associazioni firmatarie ribadiscono la disponibilità ad un dialogo proficuo con le Istituzioni per il bene di tutta la scuola italiana. 

 

19 dicembre 2025 

 

Umberto Palaia, Presidente nazionale AGeSC 

Massimiliano Tonarini, Presidente nazionale Cdo Opere Educative-FOE 

Carolina Monaca, Presidente nazionale CIOFS scuola ETS Figlie di Maria Ausiliatrice 

Stefano Mascazzini, Presidente nazionale Salesiani per la Scuola-CNOS Scuola Italia 

Giovanni Sanfilippo, Delegato nazionale per le Relazioni Istituzionali FAES 

Virginia Kaladich, Presidente nazionale FIDAE ETS 

Luca Iemmi, Presidente nazionale FISM 

Vitangelo Denora, Delegato Fondazione GESUITI EDUCAZIONE 

 

COMUNICATO STAMPA AGORA’ Legge bilancio 2026.pdf


Gli auguri del Vescovo Mario alla Scuola di formazione teologica

 

AUGURI DI NATALE
ALLA SCUOLA DI FORMAZIONE TEOLOGICA
VESPRI 16 DICEMBRE 2025

 

È definitivamente morta la cristianità?

Cari professori, studenti, volontari, amici

della Scuola di formazione teologica “San Pier Damiani”,

celebrando i Vespri, invochiamo il Signore e gli chiediamo di venire a liberarci (Responsorio) mentre siamo avvolti da oscurità e da più di qualche disorientamento. Ma sappiamo che la notte non vincerà. La nascita di Gesù segna la vittoria della luce, di un Amore pieno di verità, per ogni persona e popolo. Infatti, Dio ci ha tanto amato da mandare il suo Figlio per noi, l’unica novità che può portare gioia, pace e giustizia al nostro mondo. Abbiamo ascoltato nella lettura breve l’insistente ripetizione del suo nome: Gesù Cristo. In Lui dobbiamo rimanere irreprensibili, poiché Dio ci chiama ad entrare nell’eterna comunione di amore che è Lui stesso, la Trinità.

Fare gli auguri di Natale alla Scuola di formazione teologica, a coloro che vi insegnano e la frequentano è porsi di fronte a un’Istituzione unica in una Diocesi, a protagonisti qualificati, a destinatari che intendono rendersi maggiormente capaci nella missionarietà e nella testimonianza cristiane, vivendo la Comunione con Cristo e nella Chiesa. Tutti i soggetti che compongono la Scuola di formazione teologica, specie in occasione dell’Avvento e dell’approssimarsi della celebrazione dell’evento dell’Incarnazione del Verbo di Dio, Colui che viene a iniziare una nuova creazione, si sentono chiamati a partecipare, con rinnovato ardore e più intenso desiderio di immedesimazione col Missionario per eccellenza, nel grande mistero della Redenzione, percorrendo il Cammino sinodale.

 È questo un periodo particolare dell’esperienza della Chiesa universale e locale, in un mondo che cambia,[1] che comprende notevoli trasformazioni sia per la vita dei credenti sia per le comunità civili e per l’umanità intera.

È stato affermato che «la cristianità è finita».[2] Sarebbe stato meglio dire che unacristianità è finita. Infatti, il cristianesimo, finché Cristo vive nella nostra storia, continua, come seme o lievito, a fermentarla, ad animarla, per far crescere in essa il Regno di Dio, il Regno dei cieli, e così, fermentando relazioni ed istituzioni, dar luogo a nuove incarnazioni del Vangelo, a nuovi tentativi di umanizzazione e divinizzazione della vita terrena. Alla cristianità medievale è succeduta quella del Rinascimento e poi quella dell’epoca moderna, in cui l’ordine temporale ha progressivamente conquistato la propria autonomia nei confronti del sacro. Ad una civiltà profana, che tendeva progressivamente a separarsi dall’Incarnazione, si è gradualmente sostituita una civiltà che si è rivolta al culto dell’umanità, del puro uomo.[3] Ultimamente, con l’avvento dell’intelligenza artificiale,[4]si è affacciato il progetto transumanista, altro contesto storico e culturale. Si presume che la macchina (intelligenza artificiale) possa sostituire completamente l’umano, andando oltre l’umano. Non solo. Si insegna nella Università della Singolarità, nata in California, che ormai il prossimo stadio sarà quello della coscienza artificiale (nel 2050). Il progetto transumanista pone in discussione lo stesso concetto di natura, finendo per minare gli stessi fondamenti della fede.

Ecco, allora, che in questi nuovi contesti storici, l’evangelizzazione, l’opera di un rinnovamento vitalmente «evangelico» dell’ordine temporale dovrà condurre a salvaguardare e a promuovere la dignità, la libertà umana, assegnando il primato a Dio, allo spirituale. A detta degli esperti, stanti i passi compiuti, il problema non sarà più solo l’algoretica, ossia il buon uso della tecnologia ex-post, porre dei limiti al suo uso, sarà invece l’algor-ontologia, cioè il controllo della tecnologia ex-ante. Bisognerà imporre ai produttori degli algoritmi dei limiti ontologici e morali prima che le macchine prendano decisioni autonome. Se ciò non avverrà l’uomo diventerà irrilevante, come anche Dio. Egli sarà considerato perfettamente sostituibile dalle macchine, quanto alla guarigione dalle malattie e all’acquisizione di una vita eterna.

Rispetto a simili prospettive, occorre impegnarsi sul piano culturale, perché non siano vanificati sia l’ordine della creazione (ove si colloca «naturalmente» l’intelligenza artificiale) sia l’ordine dell’Incarnazione, ossia la presenza trasfigurante del Figlio di Dio nell’umanità, nel sociale, nell’economico, nella politica, nel cosmo, ove prende forma una nuova creazione: quella iniziata con l’Incarnazione del Figlio di Dio e che ricomprende la prima creazione, redimendola dal peccato. La teologia non potrà limitarsi a ripetere un pensiero tradizionale, ma è chiamata ad aggiornarlo, a prospettare un pensiero nuovo e profondo, per offrire linee guida nel discernimento e nell’operatività, con un riferimento preciso all’uso sapienziale dell’IA. Tramite una cultura sapienziale si è sollecitati a riconoscere il primato a Dio e non all’intelligenza artificiale o ad altre cose. L’opera incessante dell’evangelizzazione della cultura impone al cristianesimo di deporre continuamente i vecchi involucri storici, i vecchi vestiti del passato e di attenersi alla regola aurea che «il successo di ieri non può contare per domani». Il fine primario del cristianesimo, essenzialmente spirituale e sovrannaturale, trascende il fine della vita terrena. Il cristianesimo, che si distingue dalle cristianità, è incessantemente impegnato a penetrare e a impiantarsi nel mondo temporale delle varie epoche storiche, senza tuttavia mai legarsi ed incrostarsi definitivamente ad esso, per evangelizzarlo, umanizzarlo e civilizzarlo. Dando così luogo a nuove figure della seminagione del cristianesimo, a nuove figure della cristianità, nei vari tornanti della vita temporale e delle sue istituzioni.

Ritengo importante segnalarvi, a questo proposito, un’indicazione di papa Leone XIV. Rispondendo ad alcune domande poste dalle Equipe sinodali, ha detto: «bisogna parlare di come la Chiesa possa essere una forza per la conversione, la trasformazione delle culture, secondo i valori del Vangelo. Purtroppo, molte volte la forma in cui viviamo la fede è più determinata dalla nostra cultura e meno dai nostri valori evangelici! È lì che noi tutti possiamo essere una forza, un’ispirazione, un invito per le nostre nazioni, le nostre comunità, le nostre culture»[5]. Il servizio proprio di una Scuola di formazione teologica dovrebbe rispondere a questa necessità di fondo: dare forma alla cultura odierna attraverso il Vangelo, e non accontentarci del contrario. Molte volte, invece, l’annuncio del Vangelo viene annacquato, viene distorto perché non urti le sensibilità della nostra cultura. Spesso «Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto»[6]. E «se un tempo i credenti potevano essere considerati imbarazzati di fronte alla sfida del pensiero, oggi si propongono come interlocutori fieri di poter affrontare le questioni fondamentali, senza complessi, se non quello di essere impopolari perché “non politicamente corretti”. Infatti, la domanda sul perché delle cose, sul senso ultimo della vita e sulla verità è per i cristiani intrinsecamente legata alla speranza, alla preghiera, alla lode»[7].

Usando le parole di papa Francesco, noi crediamo che «il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno. […] Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, il messaggio che non può manipolare né illudere. È una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare»[8].

Per questo, è importante sviluppare una seria capacità di approfondimento. È importante promuovere e sviluppare, afferma Leone XIV, «la scientificità (ossia un sapere e una ricerca scientifici). […] Si riscontra a volte l’idea che la ricerca e lo studio non servano ai fini della vita reale, che ciò che conta nella Chiesa sia la pratica pastorale più che la preparazione teologica, biblica o giuridica. Il rischio è quello di scivolare nella tentazione di semplificare le questioni complesse per evitare la fatica del pensiero, col pericolo che, anche nell’agire pastorale e nei suoi linguaggi, si scada nella banalità, nell’approssimazione o nella rigidità. L’indagine scientifica e la fatica della ricerca sono necessarie. Abbiamo bisogno di laici e preti preparati e competenti. Perciò, vi esorto a non abbassare la guardia sulla scientificità, portando avanti una appassionata ricerca della verità e un serrato confronto con le altre scienze, con la realtà, con i problemi e i travagli della società»[9].

Da ultimo, ritengo importante sottolineare che la Scuola di formazione è chiamata a rispondere in maniera rinnovata alla sfida educativa presente. Intrecciandosi con gli orientamenti emersi nel cammino sinodale, essa si impegna a illustrare che «la formazione avviene nella comunità e come comunità, nei diversi livelli e luoghi in cui la Chiesa vive (dalla casa alla parrocchia, dalla Diocesi alle comunità religiose, dalle associazioni e movimenti agli ambiti di impegno sociale); si educa nelle relazioni e ci si educa insieme alla fede e alla vita cristiana, tutti, in ogni fase della vita e qualsiasi sia il ministero a noi affidato dalla Chiesa»[10]. Per questo incoraggio e ringrazio il nuovo Direttore e la Segreteria per l’impegno e le energie investite in questo servizio importante per la nostra Diocesi. Ringrazio anche i professori e voi tutti qui presenti per il vostro tempo, per la passione e la curiosità che vi ha spinto ad approfondire la vostra fede: sono contento di questo momento in cui poterci riunire insieme, per vederci, per sentirci uniti nella sfida che è la formazione. Penso sia importante incentivare questi momenti comuni per far crescere «la reciprocità e la fraternità»[11].

Infine, non dimentichiamo l’orizzonte del bene comune. «Il fine del processo educativo e accademico, infatti, dev’essere formare persone che, nella logica della gratuità e nella passione per la verità e la giustizia, possano essere costruttori di un mondo nuovo, solidale e fraterno. [La Scuola di formazione teologica diocesana] può e deve diffondere questa cultura, diventando segno ed espressione di questo mondo nuovo e della ricerca del bene comune»[12].

Carissimi, auguro a tutti buon Natale, che la luce del Verbo incarnato possa risplendere nei nostri cuori ed accenderli del suo amore. Amen.

+ Mario Toso

 

 

[1] Si leggano, ad esempio, D. Bendicenti, Al centro della tempesta. L’Europa tra ordine mondiale e disordine globale, prefazione di A. Tajani, Rai Libri-Luiss University Press, Roma 2025; S. Rizzo, 2027. Fuga dalla democrazia, Edizioni Solferino, Milano 2025; F. Fornaro, Una democrazia senza popolo, Bollati Boringhieri, Torino 2025.

[2] Ecco quanto più precisamente ha scritto il Card. Matteo Zuppi: «Affermando che “la cristianità è finita” si intende che la nostra società non è naturalmente più cristiana. Ma questo non deve spaventarci! Come osserva Charles Taylor, “il cambiamento che desidero definire e descrivere è quello che ci porta da una società in cui era praticamente impossibile non credere in Dio a una in cui la fede, anche per il credente più convinto, è una possibilità umana tra le altre”. La fine della cristianità non segna affatto la scomparsa della fede, ma il passaggio a un tempo in cui la fede non è più data per scontata dal contesto sociale, bensì è adesione personale e consapevole al Vangelo. Pensiamo alla società di Antiochia, al tempo della Chiesa nascente: i credenti si sono impegnati di persona a portare e comunicare la loro esperienza di fede. Se quindi la cristianità è finita, non lo è affatto il cristianesimo: ciò che tramonta è un ordine di potere e di cultura, non la forza viva del Vangelo. Per questo, non dobbiamo avere paura ma rinnovare il nostro impegno a essere testimoni gioiosi del Risorto. Non dobbiamo diventare mediocri, spaventati, paurosi nella paternità e nell’assumerci responsabilità, ma più evangelici e cristiani! Ricordo volentieri ancora san Paolo VI nell’allocuzione pronunciata durante l’ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui a breve ricorrono i sessant’anni (7 dicembre 1965): “Un tempo, che ognuno riconosce come rivolto alla conquista del regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale e sembra, a torto, suggerita dal progresso scientifico; […] un tempo, inoltre, nel quale le espressioni dello spirito raggiungono vertici d’irrazionalità e di desolazione; un tempo, infine, che registra anche nelle grandi religioni etniche del mondo turbamenti e decadenze non prima sperimentate». Non temiamo, dunque, questo tempo, che sembra sottrarre spazio alla fede: forse è il contrario. È questo il momento in cui l’annuncio del Vangelo deve essere più luminoso, come la lampada che arde nella notte. Il credente di oggi non è più il custode di un mondo cristiano, ma il pellegrino di una speranza che continua a farsi strada nei cuori. In questo orizzonte, la fine della cristianità non è una sconfitta, ma un kairos: l’occasione di tornare all’essenziale, alla libertà degli inizi, a quel “sì” pronunciato per amore, senza paura e senza garanzie. Il Vangelo non ha bisogno di un mondo che lo protegga, ma di cuori che lo incarnino. È in questa situazione di “vulnerabilità” che la Chiesa riscopre la sua forza: non quella del potere, peraltro spesso presunto come le ricostruzioni sulla rilevanza della Chiesa, ma quella dell’amore che si dona senza paura. «Una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno” (Leone XIV, Dilexi te, 120). La priorità è certamente trasmettere la fede, renderla viva, attraente, farla scoprire nascosta nelle attese e nei desideri del cuore, aiutando a ritrovarne le parole e la prassi. Ecco il nostro orizzonte e la nostra passione. Guardando tanti “senza tetto spirituali” sentiamo la loro condizione, spesso piena di sofferenza, una domanda per costruire case di preghiera, di fraternità con Dio e con il prossimo, dove sperimentare la maternità della Chiesa e vivere l’ascolto della parola che diventa vita. Non abbiamo alcuna ambizione politica o di guadagnare posizioni di potere! Non dobbiamo compiacere alcuno né alcuna forza politica, né abbiamo alcun consenso da guadagnare. Possiamo solo chiedere tanto amore politico, specialmente a chi, si ispira alla bellissima e umanissima dottrina sociale della Chiesa. Ci anima, con tutti i nostri limiti personali, l’amore per il bene del popolo italiano, per il mondo tutto. La nostra unica ambizione – e Dio ci aiuti a realizzarla – è servire il Vangelo di Gesù tra questa gente. Questa è la nostra libertà: la dedizione al servizio della Chiesa e del popolo» (Card. M- Zuppi, Prolusione all’81.ma Assemblea Generale della CEI [Assisi, 17-20 novembre 2025]).

[3] Cf M. Toso, Fede, ragione e civiltà. Saggio sul pensiero di Étienne Gilson, LAS, Roma 1986, pp. 181-183.

[4]Cf Francesco, Intelligenza artificiale e pace, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023; Dicastero per la dottrina della fede-Dicastero per la cul­tura e l’educazione, Antiqua et nova, sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2025.Ma si legga anche: L. Floridi, La differenza fondamentale. Artificial Agency: una nuova filosofia dell’intelligenza artificiale, Mondadori, Milano 2025; C. Galli, Tecnica. Il fabbricare si intreccia sempre con rapporti di potere, che spesso consolida e talvolta sovverte, Il Mulino, Bologna 2025.

[5] Leone XIV, Discorso alle Equipe sinodali, 24 ottobre 2025.

[6] Leone XIV, Omelia, 9 maggio 2025.

[7] M. Delpini, Cattolico italiano, cosa pensi?

[8] Francesco, Evangelii gaudium, n. 265.

[9] Leone XIV, Discorso alla Pontificia Università Lateranense, 14 novembre 2025.

[10] Lievito di fraternità e di pace, n. 41.

[11] Leone XIV, Discorso alla Pontificia Università Lateranense, 14 novembre 2025.

[12] Ibidem.

 

 

 

 

 


Presentazione della nuova Esortazione apostolica “Dilexi te” di Papa Leone

Il Vescovo S.E. Mons. Mario Toso invita tutta la Diocesi alla presentazione della nuova Esortazione apostolica Dilexi te giovedì 4 dicembre, ore 20.30 in Cattedrale a Faenza.

 

 


 

Carissimi,

il 4 ottobre papa Leone XIV ha firmato Dilexi te, l’Esortazione apostolica dedicata all’amore verso i poveri preparata da papa Francesco come approfondimento dell’Enciclica Dilexit nos. Ora l’Esortazione rivista e approvata da papa Leone XIV viene donata a tutta la Chiesa perché «tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri» (Dilexi te, n. 3).

Dilexi te – Ti ho amato: in quel «tu» oggetto dell’amore di Dio, non riconosciamo solo l’individuo preso singolarmente, ma la Chiesa. Ci sentiamo tutti chiamati in causa come Popolo di Dio, Chiesa di Faenza-Modigliana. Infatti, in quest’anno giubilare il papa ci invita a comprendere sempre meglio che «la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale e intimo col Signore. La proposta è più ampia: “È il Regno di Dio” (cfr Le 4, 43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo», (Dilexi te, 97) ovvero, riguarda la dimensione pubblica della fede che ci chiama a realizzare un mondo di fraternità e pace.

«Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un ‘attività o a un ufficio della Chiesa» (Dilexi te, 104). Pertanto, per presentare adeguatamente questo importante documento del Magistero della Chiesa, desidero invitare ciascuno di voi e le realtà che rappresentate (Parrocchie, Settori pastorali, Associazioni e Movimenti ecclesiali) alla presentazione diocesana con il prof. Stefano Zamagni, giovedì 4 dicembre p.v. nella Cattedrale di Faenza, alle ore 20.30.

A questa presentazione diocesana dell’Esortazione apostolica, seguirà domenica 28 dicembre alle ore 18 la chiusura dell’Anno giubilare con una celebrazione in Cattedrale. Invito fin da subito ogni comunità a ritenere questi due momenti diocesani prioritari rispetto ad ogni altra iniziativa parrocchiale per testimoniare «una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato» (Leone XIV, Omelia per l’inizio del ministero petrino, 18 maggio 2025).

Vi saluto in Cristo,

+ Mario Toso

 

 

Invito Vescovo 4 dicembre pdf

 


Rito di ammissione al Catecumenato, in Cattedrale con il Vescovo

Domenica 30 novembre, in Cattedrale alle ore 18.00, nella celebrazione eucaristica della prima Domenica di Avvento,  il Vescovo S.E. Mons. Mario Toso ha accolto Valeria della parrocchia di Alfonsine, Alket, Nashifer e Sindi della parrocchia di Pieve Cesato fra i Catecumeni, ovvero le persone che sono in cammino verso i Sacramenti pasquali (Battesimo, Cresima, Eucaristia).

→ Omelia del Vescovo Mario

Il Settore Catecumenato, ha preparato un’intenzione per la preghiera dei fedeli perché tutta la Chiesa diocesana possa accompagnare questi nuovi figli nella preghiera:

Per Valeria, Alket, Nashifer, Sindi,
e per quanti si stanno preparando a celebrare i sacramenti pasquali:
perché possano camminare sempre alla luce del Signore
e sperimentare la sua presenza nella Chiesa.
Preghiamo.

Info e contatti:

I poveri luogo teologico prima che sociologico. Sulla “Dilexi te”

mario toso presentazione libro

Premessa: farsi vicini ai poveri, vero cammino di santificazione

In continuità con l’Enciclica Dilexit nos, papa Francesco stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te (= DT),[1] immaginando che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: «Hai poca forza, poco potere, ma “io ti ho amato”» (Ap 3,9). Leone XIV ha ricevuto come in eredità il progetto. L’ha fatto suo, aggiungendo alcune riflessioni e lo ha proposto all’inizio del suo pontificato. In tal modo, ha condiviso il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri. Leone XIV ha ritenuto necessario insistere su questo cammino di santificazione. Infatti, nel «richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi».[2]

1. Non tanto e solo una priorità sociologica quanto, piuttosto, una priorità teologica

È importante evidenziare, sin dall’inizio, come la nuova esortazione apostolica DT, rispetto all’amore verso i poveri, evidenzi un approccio primariamente teologico. Se è indubitabile che i poveri rappresentano ancora, anche nei Paesi ricchi, una questione sociale rilevante,[3] i credenti non possono dimenticare che ciò ha nella loro missione e nella loro attenzione una precedenza teologica. Perché? Esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri.[4] I poveri sono un luogo teologico per eccellenza, perché Cristo ha assunto la povertà per essere in mezzo agli uomini. Ha condiviso, in particolare, la nostra radicale povertà, che è la morte. Egli è Messia povero. È Messia dei poveri e per i poveri.[5]

Il mistero di Cristo nella Chiesa, come è stato eloquentemente affermato nel Concilio vaticano II dall’allora card. Giacomo Lercaro, è sempre stato ed è il mistero di Cristo nei poveri.[6]

Proprio per questo, l’esortazione apostolica DT rimarca che la Chiesa, affrontando il problema dei poveri, non si pone innanzitutto «nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia».[7]

L’incontro con i poveri, per la Chiesa, ha una natura cristocentrica. È un evento anzitutto di fede, non solo sociale. In esso la Chiesa vive il mistero di Cristo nel povero.

L’affetto per il Signore si unisce naturalmente a quello per i poveri. La spiritualità del cristiano comprende l’affetto per il Signore vivente nei poveri, riconosciuto ed incontrato in essi.

2. Nell’incontro con i poveri si verifica l’autenticità della fede e del culto cristiano

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Per quanto detto, si capisce che l’attenzione ininterrotta della Chiesa verso i poveri e il suo camminare con essi sono parte essenziale della sua storia bimillenaria. «La cura dei poveri fa parte della grande Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo. Pertanto, dobbiamo sentire l’urgenza di invitare tutti a immettersi in questo fiume di luce e di vita che proviene dal riconoscimento di Cristo nel volto dei bisognosi e dei sofferenti. L’amore per i poveri è un elemento essenziale della storia di Dio con noi e, dal cuore stesso della Chiesa, prorompe come un continuo appello ai cuori dei credenti, sia delle comunità che dei singoli fedeli. In quanto è Corpo di Cristo, la Chiesa sente come propria “carne” la vita dei poveri, i quali sono parte privilegiata del popolo in cammino. Per questo l’amore a coloro che sono poveri – in qualunque forma si manifesti tale povertà – è la garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio. Infatti, ogni rinnovamento ecclesiale ha sempre avuto fra le sue priorità questa attenzione preferenziale ai poveri, che si differenzia, sia nelle motivazioni sia nello stile, dall’attività di qualunque altra organizzazione umanitaria».[8]

L’amore per il prossimo rappresenta la prova tangibile dell’autenticità dell’amore per Dio. Nella prima comunità cristiana il programma di carità non derivava da analisi o da progetti sociali, ma direttamente dall’esempio di Gesù, dalle parole stesse del Vangelo. La carità verso i bisognosi non era intesa come una semplice virtù morale, ma come espressione concreta della fede nel Verbo incarnato. L’amore verso il povero è il criterio del vero culto.[9] La fede, scriveva san Giacomo, se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta (cf Gc 2, 14-17).

3. I poveri, dunque, non sono solo un problema sociale, sono la stessa carne di Cristo

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Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa. Come insegna la Conferenza di Aparecida, «ci viene chiesto di dedicare tempo ai poveri, di dare loro un’attenzione amorevole, di ascoltarli con interesse, di accompagnarli nei momenti difficili, scegliendoli per condividere ore, settimane o anni della nostra vita, e cercando, a partire da loro, la trasformazione della loro situazione. Non possiamo dimenticare che Gesù stesso lo ha proposto con il suo modo di agire e con le sue parole».[10]

Una Chiesa povera per i poveri va verso la stessa carne di Cristo. Non è sufficiente enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio. Bisogna andare verso la carne di Cristo che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata, emarginata, emigrata, sfruttata, discriminata. Dalla fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati delle società.[11]

4. La religione cristiana non si limita all’intimità e all’ambito privato

Talvolta si riscontra in alcuni movimenti o gruppi cristiani la carenza o addirittura l’assenza dell’impegno per il bene comune della società e, in particolare, per la difesa e la promozione dei più deboli e svantaggiati. A tale proposito, occorre ricordare che la religione, specialmente quella cristiana, non può essere limitata all’ambito privato, come se i fedeli non dovessero aver a cuore anche problemi che riguardano la società civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini.  In realtà, qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi.[12]

5. Le cause sociali e strutturali della povertà, strutture d’ingiustizia, vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene, vivendo con l’amore di Cristo

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Il vescovo Mario Toso lungo le strade di Traversara

Le strutture d’ingiustizia vanno rimosse attraverso il cambiamento della mentalità ma anche con l’aiuto delle scienze e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società. Se si è detto che la fede ha una dimensione pubblica, così va ricordato sempre che la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale ed intimo con il Signore in sé.  La proposta è più ampia. È relativa al Regno di Dio (cf Lc 4,43). Si tratta di amare Dio il cui Figlio si è incarnato nell’umanità e nel cosmo per ricapitolare in sé tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo (cf Col 1, 12-20). Nella misura in cui l’amore di Cristo, che si dona in maniera incondizionata e in piena libertà, regnerà in noi e tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti.[13]

I credenti per il loro battesimo sono chiamati non solo a contemplare la regalità di Cristo, ma a partecipare ad essa, ad estenderla. Sono chiamati a servire Cristo Re, a testimoniare con la vita e con la parola la sua Signoria. Sono chiamati ad essere autentici araldi della regalità di Cristo nel mondo contemporaneo. Innanzitutto, vivendo nelle nostre comunità la pace che Cristo dona a tutti i suoi discepoli. In secondo luogo, vivendo non una spiritualità disincarnata ma incarnata, contribuendo a realizzare con Lui il Regno di Dio. Come? Amando Dio: nelle relazioni, nelle istituzioni, nella famiglia, nell’educazione, nel mondo del lavoro, nell’amministrazione pubblica, nella ricerca del bene comune e dei beni collettivi (acqua, terra e cibo,[14] clima, energia rinnovabile), nei socialnell’impiego dell’intelligenza artificiale. Ciò facendo noi vivremo le attività umane, le relazioni interpersonali, gli ambienti sociali con il cuore di Cristo, ordinandoli al loro compimento in Dio. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui.

Per quanto detto, il compito dei cristiani non è solo quello di pregare e di insegnare la vera dottrina. Esso include la promozione integrale dei poveri.[15]

Peraltro, in una visione di promozione integrale dei poveri, come conseguenza di essa, non si può ignorare che la peggiore discriminazione di cui possono soffrire i poveri è la mancanza di attenzione spirituale.[16]

6. Conclusione

La condizione dei poveri rappresenta un grido che, nella storia dell’umanità, interpella costantemente la nostra vita, le nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la Chiesa. Sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo. Allo stesso tempo, dovremmo parlare forse più correttamente dei numerosi volti dei poveri e della povertà, poiché si tratta di un fenomeno variegato; infatti, esistono molte forme di povertà: quella di chi non ha mezzi di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà.[17]

Una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno. Sia attraverso il lavoro, sia attraverso l’impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia attraverso un gesto di aiuto semplice, molto personale e ravvicinato, sarà possibile per ogni povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: «Io ti ho amato» (Ap 3,9).

                                                Mario Toso, vescovo


[1] Cf LEONE XIV, Dilexi te, Dicastero per la Comunicazione-Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2025.

[2] DT n. 3.

[3] Cf DT nn. 9-12.

[4] Cf Francesco, Evangelii gaudium, n. 36.

[5] Cf DT n. 19.

[6] Cf DT n. 84.

[7] DT n. 5.

[8]DT n. 103.

[9] Cf DT n. 42.

[10] DT n. 104.

[11] Cf DT n. 111.

[12] Cf DT nn. 111-112.

[13] Cf DT n. 97.

[14] Cf DT n. 12.

[15] Cf DT n. 114.

[16] Ib.

[17] Cf DT n. 9.