AUGURI DI NATALE
ALLA SCUOLA DI FORMAZIONE TEOLOGICA
VESPRI 16 DICEMBRE 2025
È definitivamente morta la cristianità?
Cari professori, studenti, volontari, amici
della Scuola di formazione teologica “San Pier Damiani”,
celebrando i Vespri, invochiamo il Signore e gli chiediamo di venire a liberarci (Responsorio) mentre siamo avvolti da oscurità e da più di qualche disorientamento. Ma sappiamo che la notte non vincerà. La nascita di Gesù segna la vittoria della luce, di un Amore pieno di verità, per ogni persona e popolo. Infatti, Dio ci ha tanto amato da mandare il suo Figlio per noi, l’unica novità che può portare gioia, pace e giustizia al nostro mondo. Abbiamo ascoltato nella lettura breve l’insistente ripetizione del suo nome: Gesù Cristo. In Lui dobbiamo rimanere irreprensibili, poiché Dio ci chiama ad entrare nell’eterna comunione di amore che è Lui stesso, la Trinità.
Fare gli auguri di Natale alla Scuola di formazione teologica, a coloro che vi insegnano e la frequentano è porsi di fronte a un’Istituzione unica in una Diocesi, a protagonisti qualificati, a destinatari che intendono rendersi maggiormente capaci nella missionarietà e nella testimonianza cristiane, vivendo la Comunione con Cristo e nella Chiesa. Tutti i soggetti che compongono la Scuola di formazione teologica, specie in occasione dell’Avvento e dell’approssimarsi della celebrazione dell’evento dell’Incarnazione del Verbo di Dio, Colui che viene a iniziare una nuova creazione, si sentono chiamati a partecipare, con rinnovato ardore e più intenso desiderio di immedesimazione col Missionario per eccellenza, nel grande mistero della Redenzione, percorrendo il Cammino sinodale.
È questo un periodo particolare dell’esperienza della Chiesa universale e locale, in un mondo che cambia,[1] che comprende notevoli trasformazioni sia per la vita dei credenti sia per le comunità civili e per l’umanità intera.
È stato affermato che «la cristianità è finita».[2] Sarebbe stato meglio dire che unacristianità è finita. Infatti, il cristianesimo, finché Cristo vive nella nostra storia, continua, come seme o lievito, a fermentarla, ad animarla, per far crescere in essa il Regno di Dio, il Regno dei cieli, e così, fermentando relazioni ed istituzioni, dar luogo a nuove incarnazioni del Vangelo, a nuovi tentativi di umanizzazione e divinizzazione della vita terrena. Alla cristianità medievale è succeduta quella del Rinascimento e poi quella dell’epoca moderna, in cui l’ordine temporale ha progressivamente conquistato la propria autonomia nei confronti del sacro. Ad una civiltà profana, che tendeva progressivamente a separarsi dall’Incarnazione, si è gradualmente sostituita una civiltà che si è rivolta al culto dell’umanità, del puro uomo.[3] Ultimamente, con l’avvento dell’intelligenza artificiale,[4]si è affacciato il progetto transumanista, altro contesto storico e culturale. Si presume che la macchina (intelligenza artificiale) possa sostituire completamente l’umano, andando oltre l’umano. Non solo. Si insegna nella Università della Singolarità, nata in California, che ormai il prossimo stadio sarà quello della coscienza artificiale (nel 2050). Il progetto transumanista pone in discussione lo stesso concetto di natura, finendo per minare gli stessi fondamenti della fede.
Ecco, allora, che in questi nuovi contesti storici, l’evangelizzazione, l’opera di un rinnovamento vitalmente «evangelico» dell’ordine temporale dovrà condurre a salvaguardare e a promuovere la dignità, la libertà umana, assegnando il primato a Dio, allo spirituale. A detta degli esperti, stanti i passi compiuti, il problema non sarà più solo l’algoretica, ossia il buon uso della tecnologia ex-post, porre dei limiti al suo uso, sarà invece l’algor-ontologia, cioè il controllo della tecnologia ex-ante. Bisognerà imporre ai produttori degli algoritmi dei limiti ontologici e morali prima che le macchine prendano decisioni autonome. Se ciò non avverrà l’uomo diventerà irrilevante, come anche Dio. Egli sarà considerato perfettamente sostituibile dalle macchine, quanto alla guarigione dalle malattie e all’acquisizione di una vita eterna.
Rispetto a simili prospettive, occorre impegnarsi sul piano culturale, perché non siano vanificati sia l’ordine della creazione (ove si colloca «naturalmente» l’intelligenza artificiale) sia l’ordine dell’Incarnazione, ossia la presenza trasfigurante del Figlio di Dio nell’umanità, nel sociale, nell’economico, nella politica, nel cosmo, ove prende forma una nuova creazione: quella iniziata con l’Incarnazione del Figlio di Dio e che ricomprende la prima creazione, redimendola dal peccato. La teologia non potrà limitarsi a ripetere un pensiero tradizionale, ma è chiamata ad aggiornarlo, a prospettare un pensiero nuovo e profondo, per offrire linee guida nel discernimento e nell’operatività, con un riferimento preciso all’uso sapienziale dell’IA. Tramite una cultura sapienziale si è sollecitati a riconoscere il primato a Dio e non all’intelligenza artificiale o ad altre cose. L’opera incessante dell’evangelizzazione della cultura impone al cristianesimo di deporre continuamente i vecchi involucri storici, i vecchi vestiti del passato e di attenersi alla regola aurea che «il successo di ieri non può contare per domani». Il fine primario del cristianesimo, essenzialmente spirituale e sovrannaturale, trascende il fine della vita terrena. Il cristianesimo, che si distingue dalle cristianità, è incessantemente impegnato a penetrare e a impiantarsi nel mondo temporale delle varie epoche storiche, senza tuttavia mai legarsi ed incrostarsi definitivamente ad esso, per evangelizzarlo, umanizzarlo e civilizzarlo. Dando così luogo a nuove figure della seminagione del cristianesimo, a nuove figure della cristianità, nei vari tornanti della vita temporale e delle sue istituzioni.
Ritengo importante segnalarvi, a questo proposito, un’indicazione di papa Leone XIV. Rispondendo ad alcune domande poste dalle Equipe sinodali, ha detto: «bisogna parlare di come la Chiesa possa essere una forza per la conversione, la trasformazione delle culture, secondo i valori del Vangelo. Purtroppo, molte volte la forma in cui viviamo la fede è più determinata dalla nostra cultura e meno dai nostri valori evangelici! È lì che noi tutti possiamo essere una forza, un’ispirazione, un invito per le nostre nazioni, le nostre comunità, le nostre culture»[5]. Il servizio proprio di una Scuola di formazione teologica dovrebbe rispondere a questa necessità di fondo: dare forma alla cultura odierna attraverso il Vangelo, e non accontentarci del contrario. Molte volte, invece, l’annuncio del Vangelo viene annacquato, viene distorto perché non urti le sensibilità della nostra cultura. Spesso «Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto»[6]. E «se un tempo i credenti potevano essere considerati imbarazzati di fronte alla sfida del pensiero, oggi si propongono come interlocutori fieri di poter affrontare le questioni fondamentali, senza complessi, se non quello di essere impopolari perché “non politicamente corretti”. Infatti, la domanda sul perché delle cose, sul senso ultimo della vita e sulla verità è per i cristiani intrinsecamente legata alla speranza, alla preghiera, alla lode»[7].
Usando le parole di papa Francesco, noi crediamo che «il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno. […] Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, il messaggio che non può manipolare né illudere. È una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare»[8].
Per questo, è importante sviluppare una seria capacità di approfondimento. È importante promuovere e sviluppare, afferma Leone XIV, «la scientificità (ossia un sapere e una ricerca scientifici). […] Si riscontra a volte l’idea che la ricerca e lo studio non servano ai fini della vita reale, che ciò che conta nella Chiesa sia la pratica pastorale più che la preparazione teologica, biblica o giuridica. Il rischio è quello di scivolare nella tentazione di semplificare le questioni complesse per evitare la fatica del pensiero, col pericolo che, anche nell’agire pastorale e nei suoi linguaggi, si scada nella banalità, nell’approssimazione o nella rigidità. L’indagine scientifica e la fatica della ricerca sono necessarie. Abbiamo bisogno di laici e preti preparati e competenti. Perciò, vi esorto a non abbassare la guardia sulla scientificità, portando avanti una appassionata ricerca della verità e un serrato confronto con le altre scienze, con la realtà, con i problemi e i travagli della società»[9].
Da ultimo, ritengo importante sottolineare che la Scuola di formazione è chiamata a rispondere in maniera rinnovata alla sfida educativa presente. Intrecciandosi con gli orientamenti emersi nel cammino sinodale, essa si impegna a illustrare che «la formazione avviene nella comunità e come comunità, nei diversi livelli e luoghi in cui la Chiesa vive (dalla casa alla parrocchia, dalla Diocesi alle comunità religiose, dalle associazioni e movimenti agli ambiti di impegno sociale); si educa nelle relazioni e ci si educa insieme alla fede e alla vita cristiana, tutti, in ogni fase della vita e qualsiasi sia il ministero a noi affidato dalla Chiesa»[10]. Per questo incoraggio e ringrazio il nuovo Direttore e la Segreteria per l’impegno e le energie investite in questo servizio importante per la nostra Diocesi. Ringrazio anche i professori e voi tutti qui presenti per il vostro tempo, per la passione e la curiosità che vi ha spinto ad approfondire la vostra fede: sono contento di questo momento in cui poterci riunire insieme, per vederci, per sentirci uniti nella sfida che è la formazione. Penso sia importante incentivare questi momenti comuni per far crescere «la reciprocità e la fraternità»[11].
Infine, non dimentichiamo l’orizzonte del bene comune. «Il fine del processo educativo e accademico, infatti, dev’essere formare persone che, nella logica della gratuità e nella passione per la verità e la giustizia, possano essere costruttori di un mondo nuovo, solidale e fraterno. [La Scuola di formazione teologica diocesana] può e deve diffondere questa cultura, diventando segno ed espressione di questo mondo nuovo e della ricerca del bene comune»[12].
Carissimi, auguro a tutti buon Natale, che la luce del Verbo incarnato possa risplendere nei nostri cuori ed accenderli del suo amore. Amen.
+ Mario Toso
[1] Si leggano, ad esempio, D. Bendicenti, Al centro della tempesta. L’Europa tra ordine mondiale e disordine globale, prefazione di A. Tajani, Rai Libri-Luiss University Press, Roma 2025; S. Rizzo, 2027. Fuga dalla democrazia, Edizioni Solferino, Milano 2025; F. Fornaro, Una democrazia senza popolo, Bollati Boringhieri, Torino 2025.
[2] Ecco quanto più precisamente ha scritto il Card. Matteo Zuppi: «Affermando che “la cristianità è finita” si intende che la nostra società non è naturalmente più cristiana. Ma questo non deve spaventarci! Come osserva Charles Taylor, “il cambiamento che desidero definire e descrivere è quello che ci porta da una società in cui era praticamente impossibile non credere in Dio a una in cui la fede, anche per il credente più convinto, è una possibilità umana tra le altre”. La fine della cristianità non segna affatto la scomparsa della fede, ma il passaggio a un tempo in cui la fede non è più data per scontata dal contesto sociale, bensì è adesione personale e consapevole al Vangelo. Pensiamo alla società di Antiochia, al tempo della Chiesa nascente: i credenti si sono impegnati di persona a portare e comunicare la loro esperienza di fede. Se quindi la cristianità è finita, non lo è affatto il cristianesimo: ciò che tramonta è un ordine di potere e di cultura, non la forza viva del Vangelo. Per questo, non dobbiamo avere paura ma rinnovare il nostro impegno a essere testimoni gioiosi del Risorto. Non dobbiamo diventare mediocri, spaventati, paurosi nella paternità e nell’assumerci responsabilità, ma più evangelici e cristiani! Ricordo volentieri ancora san Paolo VI nell’allocuzione pronunciata durante l’ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui a breve ricorrono i sessant’anni (7 dicembre 1965): “Un tempo, che ognuno riconosce come rivolto alla conquista del regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale e sembra, a torto, suggerita dal progresso scientifico; […] un tempo, inoltre, nel quale le espressioni dello spirito raggiungono vertici d’irrazionalità e di desolazione; un tempo, infine, che registra anche nelle grandi religioni etniche del mondo turbamenti e decadenze non prima sperimentate». Non temiamo, dunque, questo tempo, che sembra sottrarre spazio alla fede: forse è il contrario. È questo il momento in cui l’annuncio del Vangelo deve essere più luminoso, come la lampada che arde nella notte. Il credente di oggi non è più il custode di un mondo cristiano, ma il pellegrino di una speranza che continua a farsi strada nei cuori. In questo orizzonte, la fine della cristianità non è una sconfitta, ma un kairos: l’occasione di tornare all’essenziale, alla libertà degli inizi, a quel “sì” pronunciato per amore, senza paura e senza garanzie. Il Vangelo non ha bisogno di un mondo che lo protegga, ma di cuori che lo incarnino. È in questa situazione di “vulnerabilità” che la Chiesa riscopre la sua forza: non quella del potere, peraltro spesso presunto come le ricostruzioni sulla rilevanza della Chiesa, ma quella dell’amore che si dona senza paura. «Una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno” (Leone XIV, Dilexi te, 120). La priorità è certamente trasmettere la fede, renderla viva, attraente, farla scoprire nascosta nelle attese e nei desideri del cuore, aiutando a ritrovarne le parole e la prassi. Ecco il nostro orizzonte e la nostra passione. Guardando tanti “senza tetto spirituali” sentiamo la loro condizione, spesso piena di sofferenza, una domanda per costruire case di preghiera, di fraternità con Dio e con il prossimo, dove sperimentare la maternità della Chiesa e vivere l’ascolto della parola che diventa vita. Non abbiamo alcuna ambizione politica o di guadagnare posizioni di potere! Non dobbiamo compiacere alcuno né alcuna forza politica, né abbiamo alcun consenso da guadagnare. Possiamo solo chiedere tanto amore politico, specialmente a chi, si ispira alla bellissima e umanissima dottrina sociale della Chiesa. Ci anima, con tutti i nostri limiti personali, l’amore per il bene del popolo italiano, per il mondo tutto. La nostra unica ambizione – e Dio ci aiuti a realizzarla – è servire il Vangelo di Gesù tra questa gente. Questa è la nostra libertà: la dedizione al servizio della Chiesa e del popolo» (Card. M- Zuppi, Prolusione all’81.ma Assemblea Generale della CEI [Assisi, 17-20 novembre 2025]).
[3] Cf M. Toso, Fede, ragione e civiltà. Saggio sul pensiero di Étienne Gilson, LAS, Roma 1986, pp. 181-183.
[4]Cf Francesco, Intelligenza artificiale e pace, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2023; Dicastero per la dottrina della fede-Dicastero per la cultura e l’educazione, Antiqua et nova, sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2025.Ma si legga anche: L. Floridi, La differenza fondamentale. Artificial Agency: una nuova filosofia dell’intelligenza artificiale, Mondadori, Milano 2025; C. Galli, Tecnica. Il fabbricare si intreccia sempre con rapporti di potere, che spesso consolida e talvolta sovverte, Il Mulino, Bologna 2025.
[5] Leone XIV, Discorso alle Equipe sinodali, 24 ottobre 2025.
[6] Leone XIV, Omelia, 9 maggio 2025.
[7] M. Delpini, Cattolico italiano, cosa pensi?
[8] Francesco, Evangelii gaudium, n. 265.
[9] Leone XIV, Discorso alla Pontificia Università Lateranense, 14 novembre 2025.
[10] Lievito di fraternità e di pace, n. 41.
[11] Leone XIV, Discorso alla Pontificia Università Lateranense, 14 novembre 2025.
[12] Ibidem.