Faenza, 1° novembre 2025.
Fratelli e sorelle, in questa santa Messa, che ci ricorda il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra, siamo invitati a guardare alla grande famiglia dei figli di Dio, a festeggiarla. I santi sono una folla senza numero. In tale moltitudine non vi sono solo i santi ufficialmente riconosciuti, ma anche i battezzati di ogni epoca e nazione, che hanno cercato di vivere secondo la chiamata del Signore. Il popolo che festeggiamo comprende i santi dell’Antico Testamento, a partire dal giusto Abele e dal fedele patriarca Abramo, quelli del Nuovo Testamento, i numerosi martiri dell’inizio del cristianesimo e i beati e i santi dei secoli successivi, come i martiri odierni che sono molti di più di quelli dei primi tempi. Fanno parte della grande moltitudine dei santi anche coloro che sono stati canonizzati ultimamente come Carlo Acutis, Pier Giorgio Frassati, Bartolo Longo, Suor Maria Troncatti. Nella Scrittura tutti i battezzati sono chiamati santi perché viventi in Gesù Cristo, il Santo.
Possiamo immaginare la famiglia dei figli di Dio come un popolo immenso che cammina nella storia, pellegrino verso la patria celeste. Una parte di esso, come ha scritto sant’Agostino è qui sulla terra e siamo noi. Un’altra, che rappresenta coloro che sono già morti, ma non vivono ancora la piena comunione con Dio, sosta davanti al grande tempio di luce, che ospita coloro che, invece, sono giunti al termine del percorso e sono nella gioia più piena. Quest’ultimi non hanno bisogno di purificazione come coloro che sono nel portico anteriore del tempio e attendono di entrarvi.
La festa di tutti i santi, si diceva, è festa di popolo. È festa della comunione dei santi, ossia di coloro che vivono in Cristo, incarnato, morto e risorto, sempre veniente nella storia. I santi sono coloro che vivono l’amore di Cristo, ossia una vita che serve Dio e il prossimo. Essi vivono non solo un rapporto individuale ed intimo col Signore. Partecipano ad un amore più ampio. Essi amano il Signore Gesù che realizza il Regno di Dio, ricapitolando in sé tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra.[1]
Come diventare e vivere più concretamente da santi? La risposta ce la fornisce il brano di Vangelo che abbiamo sentito proclamare (cf Mt 5, 3-10). Diventiamo e cresciamo santi vivendo le beatitudini. Dice Gesù: beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, beati i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per causa della giustizia. In verità, il Beato per eccellenza è solo Lui, Gesù. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l’afflitto, il mite, l’affamato e l’assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l’operatore di pace; è Lui il perseguitato a causa della giustizia.
Le Beatitudini ci mostrano la via della santità percorsa da Gesù nella realizzazione del Regno di Dio. La santità è un cammino di vita che dura nel tempo e si compie configurandoci a Cristo, divinizzandoci. È, in definitiva, vivere Cristo: povero in spirito, mite, afflitto, affamato e assetato di giustizia, misericordioso, puro di cuore, operatore di pace, perseguitato a causa della giustizia.
La vita del credente è essere con Cristo, in Lui, per Lui. In tal modo, noi siamo suoi annunciatori, suoi missionari. Siamo suoi discepoli-missionari. La nostra santità è per essenza missionaria, dinamica. È essere in movimento entro un popolo in comunione con l’Inviato, Cristo, venuto per costruire il Regno di Dio, fatto di fraternità, di relazioni e di istituzioni, animate e trasfigurate dalla sua Carità. È camminare insieme con amore, tra le persone, per portare Cristo, il suo Amore, affinché ognuna di esse possa incontrarlo e viverlo e così essere redenta.
In questa celebrazione eucaristica, che rende presente Cristo, il ponte che unisce la sponda della mortalità con quella dell’immortalità, viviamo la comunicazione tra noi che siamo quaggiù e coloro che, invece, sono già con il Risorto o attendono la purificazione. Preghiamo per i nostri cari defunti: vescovi, presbiteri, famigliari. È la riconoscenza nei loro confronti che ci rende solleciti a pregare per loro, che ci hanno generati alla fede, alla vita di Cristo. Come dimenticare coloro che ci hanno fatto incontrare Gesù, nostra Via, Verità e Vita? Grazie a lui possiamo vivere un’esistenza fatta di dono e di servizio continui, ossia possiamo portare a termine la nostra corsa, conservare la fede, pur tra mille sfide e difficoltà. Che cosa di più bello e confortante di questo? Sfociare nell’immensità di gioia e di pace dell’Amore di Dio, essere portati in salvo nei cieli, nel suo Regno di pace, grazie al Pastore dagli occhi grandi. Il nostro conforto e la nostra consolazione è l’essere liberati da ogni male, dalla morte, portare a compimento, per quanto ci è possibile, l’annuncio del Vangelo a tutti, perché tutti possano essere liberati dalla bocca dei leoni di questo mondo (cf 2Tm 4,6-8, 16-18).
L’Evangelii gaudium, su cui abbiamo riflettuto negli anni scorsi, e lo stesso Sinodo dei giovani, che abbiamo celebrato qualche anno fa e che stiamo attuando, e da ultimo il Documento di sintesi del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, ci hanno sollecitati a vivere una santità missionaria, insieme, sinodalmente, come più volte abbiamo sentito dapprima da papa Francesco, e anche da papa Leone XIV, ossia non andando ognuno in ordine sparso. Per fare ciò è fondamentale un più alto livello di spiritualità, un’umile corresponsabilità. Occorre impegnarsi di più nella conversione, nella formazione interiore, nell’accompagnamento spirituale. È imprescindibile la santificazione di tutti i collaboratori nella pastorale. Solo discepoli santi potranno trasformare la Chiesa in senso missionario e vivere con coraggio l’annuncio di Cristo in ogni ambiente di vita, costruendo il Regno di Dio. Non bastano diagnosi accurate dei problemi, non sono sufficienti riforme o nuovi piani o progetti pastorali. Occorre che vescovi, presbiteri, diaconi, catechisti, animatori siano autentici missionari, a partire dal loro animo convertito. Occorre essere incendiati dall’amore di Cristo, occorre consegnare il nostro io a Lui, affinché lo trasformi e lo colmi della sua carità. I processi di cambiamento si avviano mediante persone convertite, capaci di rimanere in Gesù Cristo, capaci di edificare l’edificio della loro esistenza poggiando su di Lui.
In questa celebrazione eucaristica chiediamo a Gesù Cristo, il missionario per eccellenza, di riempire il nostro cuore di gioiosa missionarietà. Non viviamo una fede stanca, sbiadita, demotivata, bensì viva, tonica, luminosa.
+ Mario Toso
vescovo
[1] Cf Leone xiv, Dilexi te, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2025, n. 97.
