Faenza, parrocchia san Giuseppe lavoratore, 1° maggio 2025
Carissimi fratelli e sorelle, cari giovani, anche quest’anno sono qui con voi per celebrare il vostro Patrono, san Giuseppe lavoratore.
Sappiamo che egli era un umile falegname (cf Mt 13,55). Promesso sposo di Maria, non esitò nell’assumere la paternità legale di Gesù. La grandezza di San Giuseppe consiste nel fatto che egli fu lo sposo di Maria e il padre di Gesù. In quanto tale, come affermò san Giovanni Crisostomo, si pose al servizio dell’intero disegno salvifico di Dio.
San Paolo VI spiegò che la paternità di Giuseppe si è concretizzata nel mettersi totalmente a disposizione della realizzazione del mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e della missione redentrice che vi è congiunta. Giuseppe usò l’autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per fare dono completo di sé, del suo lavoro, del suo cuore e di ogni capacità, al Messia germinato nella sua casa. Giuseppe è stato per Gesù Bambino ciò che è stato Dio per il popolo di Israele: gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano; «era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare» (Os 11,3-4).
Per questo suo ruolo nella storia della salvezza, San Giuseppe è un padre che è stato sempre amato dal popolo cristiano, come dimostra il fatto che in tutto il mondo gli sono state dedicate numerose chiese; che molti Istituti religiosi, Confraternite e gruppi ecclesiali sono ispirati alla sua spiritualità e ne portano il nome. Su questi aspetti ritornerò fra breve.
Mi fermo ora a parlare un po’ di Giuseppe patrono dei lavoratori. Questo aspetto è stato posto in evidenza sin dai tempi della prima Enciclica sociale, la Rerum novarum di Leone XIII. San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. Da lui Gesù ha imparato il valore, la dignità e la gioia di ciò che significa mangiare il pane frutto del proprio lavoro.
In questo nostro tempo, se il dato statistico sulla disoccupazione, in forte calo, potrebbe spingere all’ottimismo, sappiamo invece che dietro persone formalmente occupate c’è un lavoro povero. Va, inoltre, considerata la situazione delle donne, che in alcuni ambiti vengono penalizzate non solo con una minore retribuzione, ma anche con l’assenza di garanzie nei tempi della gravidanza e della maternità. Permangono i problemi di sicurezza sul lavoro, la cui mancanza fa ancora tante vittime. Con il disallineamento tra domanda e offerta, assistiamo contemporaneamente al fenomeno di posti di lavoro vacanti, che non trovano personale con le necessarie competenze, e giovani disoccupati che non hanno i requisiti adatti.
La tutela, la difesa e l’impegno per la creazione di un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale – afferma il Messaggio dei vescovi italiani per la Festa dei Lavoratori del 1° maggio 2025 – costituisce uno dei segni tangibili di speranza per i nostri fratelli, come lo stesso Papa Francesco ha indicato nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare (cf Francesco, Spes non confundit, 12).
Il lavoro, per noi credenti, è partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro è occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia. Come potremmo parlare della dignità umana senza impegnarci perché tutti e ciascuno abbiano la possibilità di un degno sostentamento?[1]
Vorrei, però, ritornare sul fatto che Giuseppe proteggendo il Bambino Gesù e sua Madre – basti ricordare anche solo come Giuseppe, per sfuggire ad Erode, si recò in Egitto – è stato riconosciuto protettore della Chiesa e della sua missione: annunciare Gesù, il bene più grande per ogni persona.
Chiediamoci: è forse finito il tempo in cui i nemici di Gesù cercano di eliminarlo da questo mondo? Noi, oggi, stiamo proteggendo con tutte le nostre forze Gesù e Maria, come ha fatto Giuseppe? Forse, noi non pensiamo con sufficiente attenzione al fatto che Gesù e Maria sono affidati alla nostra responsabilità, alla nostra cura, alla nostra custodia. E che, come ai tempi di Erode, ci sono anche oggi coloro che si oppongono alla presenza di Gesù e del suo insegnamento nel cuore delle persone, nei popoli, negli stili di vita e nelle culture. Le statistiche più aggiornate ci informano che nel mondo ben 380 milioni di cristiani sono perseguitati in vario modo. Ugualmente non è per noi un mistero che nella nostra stessa Europa ci sono forme subdole e ignobili di opposizione al Vangelo, allo stesso crocifisso nelle scuole e alla libertà religiosa dei cristiani. Parimenti, per noi cristiani si possono presentare occasioni in cui, al pari di Pietro e degli apostoli, ai quali era stato proibito di insegnare nel nome di Gesù, saremo chiamati a rispondere: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5, 30-33).
Quando nella mentalità dominante, ma anche nelle nostre famiglie, nelle nostre associazioni, notiamo che si diffonde l’indifferenza nei confronti di Gesù Cristo e della sua Chiesa, dovremmo chiederci: io che sono battezzato e cresimato percepisco, almeno, che la mia fede e che l’opera di Gesù Cristo, davvero decisive per la nostra redenzione, finiscono per essere trascurate o disprezzate, perché non sono in linea con le mode dominanti della cultura fluida, che assegna il primato al relativismo assoluto, all’individualismo libertario, al laicismo, al denaro, alla violenza delle armi, alla mentalità che considera «scarto» il povero o il debole? In altre parole, capisco che il senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa sta diminuendo in noi, nelle nostre stesse comunità e associazioni? Ma noi stessi siamo determinati a mantenere il suddetto senso di appartenenza? O è solo il nostro un appartenere abitudinario, di comodo? Crescono in me, o in noi, delle crepe o cesure rispetto al nostro essere tralci uniti alla vite che è il Risorto?
San Giuseppe ci aiuti a considerarci come lui persone che si prodigano a far crescere Gesù nel mondo e a proteggerlo da chi lo vorrebbe far sparire o dimenticare.
La Solennità del nostro Patrono ci renda più attenti nel vivere la nostra professione lavorativa con l’amore di Cristo, come un servizio alla famiglia e al bene comune, ma anche nella responsabilità gioiosa di annunciare la grandezza della sua redenzione, che ci consente di accedere a quella pienezza di umanità che Egli per primo vive in sé e dona a tutti.
A lui rivolgiamo la nostra preghiera con le parole di papa Francesco:
Salve, custode del Redentore,
e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affidò il suo Figlio;
in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo diventò uomo.
O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
e difendici da ogni male. Amen.
+ Mario Toso
[1] Cf Francesco, Lettera apostolica Patris corde, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, n. 6.