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Come essere una Chiesa sinodale in missione? Il 4 marzo a Faenza incontro in Seminario

Il Cammino Sinodale sta proseguendo. Dopo i primi due anni di ascolto (fase narrativa), in questo anno della fase sapienziale, in Diocesi ci viene chiesto di operare un vero e proprio discernimento comunitario per indicare passi possibili rispetto alle questioni emerse nei due anni precedenti (fase narrativa del Sinodo). Per aiutare i gruppi sinodali (parrocchiali e non) in questa fase, è stato preparato un documento Temi per il discernimento che è stato presentato a moderatori e segretari a novembre scorso, al termine del percorso di preparazione di tre incontri. Il documento (reperibile anche sul sito diocesano, nell’apposita sezione), vuole aiutare il lavoro dei gruppi di questo anno: una volta individuato un tema sul quale si vuole fare discernimento, si dovranno elaborare proposte.

I 4 temi emersi dalla Diocesi di Faenza-Modigliana

I temi sono quelli emersi dall’ascolto della nostra Diocesi dai primi due anni e sono quattro:

I Missione e prossimità,
II Linguaggio e liturgia,
III Formazioni vita,
IV Corresponsabilità e ministeri
.

Questo anno, riuniti nei gruppi, illuminati dalla Parola e dalla preghiera, si sta tuttora lavorando per mettere a fuoco proposte concrete, da inviare entro il 15 marzo all’équipe sinodale diocesana (sinodo@diocesifaenza.it): abbiamo ancora un mese scarso per raccogliere proposte e confidiamo che tanti gruppi stiano cogliendo tuttora questa preziosa opportunità!

Una serata aperta a tutti

Per dare ulteriore occasione di discernimento, proponiamo una serata di incontro, per aiutarci nella riflessione e attraverso il discernimento elaborare insieme proposte rispetto ai diversi temi: lunedì 4 marzo alle 20.30 in Seminario a Faenza (via degli Insorti 56, Sala “don Bosco”). La serata è aperta a tutti: moderatori, segretari, persone interessate e specie a chi non avrà occasione di portare il proprio contributo di questa fase all’interno di altri gruppi.

È necessaria l’iscrizione a questo link in cui andrà indicato anche il tema prescelto, in modo da fornire materiale su cui prepararsi e poter organizzare i diversi gruppi di discernimento della serata. Siamo grati del percorso fatto insieme fino a qui e ringraziamo quanti stanno impegnandosi sul cammino della Chiesa. Come essere Chiesa sinodale in missione? È il tempo del discernimento: aspettiamo le vostre proposte!

 


Visita ad limina: il Vescovo Mario in udienza da papa Francesco. Il dialogo sul ruolo importante del laicato

Quando come vescovi dell’Emilia-Romagna siamo arrivati per incontrare papa Francesco era già al lavoro. Mentre attendevamo di entrare da lui uscivano alcuni gruppi che lo avevano salutato. Ci ha accolti con un breve saluto personale. Seduti attorno a lui ci ha spiegato brevemente come dovevamo procedere nei nostri interventi dopo le parole di inizio.

Papa Francesco è parso paterno, famigliare, lucido e preciso in ciò che intendeva proporre a noi vescovi provenienti da una grande Regione in cui si è chiamati a proseguire con una grande passione evangelizzatrice. Mi ha colpito in particolare il suo riferimento al ruolo importante del laicato nella Chiesa e nel mondo. I laici, talvolta, non si sentono identificati con la loro missione evangelizzatrice (cf Evangelii gaudium, n. 79). Finiscono per soffocare la gioia della missione in una specie di ossessione per essere come tutti gli altri, perdendo incisività nel loro compito di evangelizzatori nei vari ambiti della vita. Questo depotenzia il loro ruolo sia nella costruzione della Chiesa sia nel dialogo sociale ove è indispensabile che tutti gli interlocutori mantengano la loro identità mentre rispettano il punto di vista dell’altro, per non scadere in monologhi che non trovano nessun punto di incontro (cf Fratelli tutti n. 203) nella ricerca comune della verità.

Il sottoscritto ha avuto la possibilità di offrire al pontefice l’ultimo volume Chiesa e democrazia (Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024) scritto in vista della prossima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (Trieste 3-7 luglio), avente come titolo Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro.

                                                           + Mario Toso

Chiesa e democrazia: il nuovo libro del vescovo mons. Mario Toso

Un nuovo volume di S. Ecc. Mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, per avvicinarsi e arrivare preparati alla prossima Settimana sociale dei cattolici in Italia. Si tratta di Chiesa e democrazia, edito dalla Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024, pp. 272.

La democrazia non è mai una conquista definitiva

La democrazia cresce con l’uso della partecipazione. Impoverisce se diventa un insieme di processi formali, burocratici, procedure senza anima. In essa non ci può essere una sistematica frustrazione del sogno e della profezia. La democrazia non può ridursi ad un insieme di processi incapaci di ascoltare tante realtà associative. La democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività. Lascia fuori il popolo, i poveri, nella costruzione del bene comune, nella lotta quotidiana per la dignità, nell’approvazione delle leggi.

In una prospettiva di una democrazia sostanziale, partecipativa, deliberativa, inclusiva, ci si chiede nel DOCUMENTO PREPARATORIO DELLA 50ASETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI IN ITALIA. Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo, Trieste (3-7 luglio 2024), quale coinvolgimento, oltre alla gente comune, è dato agli immigrati? Questi sono, oltre che accolti, promossi ed integrati?

Nonostante tante frustrazioni, delusioni rispetto ad una democrazia con luci ma con non poche ombre, nella società italiana si legge il desiderio di una ripartenza, verso una nuova cittadinanza fondata sul contributo di tutti. Rispetto a ciò sollecita la stessa enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. Il Documento preparatorio della prossima Settimana sociale definisce una tale enciclica un abecedario, ove i cristiani possono trovare le prime lettere dell’alfabeto politico, in un contesto socioculturale in cui siamo tutti un po’ «analfabeti funzionali» (cf p. 24).

Ma se si ha a cuore la partecipazione come dinamica della rivitalizzazione della democrazia bisognerà generare reali occasioni in cui prendere la parola, proporre, ascoltarsi, condividere, immaginare con riferimento alle grandi questioni: il potere, l’educazione, la dimensione pratica della carità, la responsabilità della cura dei luoghi e dell’ambiente, l’immaginazione politica.

Al termine dell’elenco si pone nel Documento preparatorio una finestra, a p. 28, con alcune domande. Tra queste la prima mi pare di particolare rilevanza per la partecipazione nella democrazia e per la nostra riflessione. È bene evidenziarla, per non perdersi in un discorso vago. Ecco la prima domanda: «Ci siamo ritirati nel sociale, nell’impegno civile e di volontariato abbandonando la presenza in politica. Come recuperare questo spazio di presenza e di impegno?».

Si tratta di una domanda per nulla banale che, però, espressa com’è, lascia in ombra il problema della partecipazione politica attraverso i partiti. La partecipazione attraverso i partiti sembra essere divenuta, in non pochi ambiti, quasi un tema tabù, per la sua delicatezza, per le questioni che implica. E, tuttavia, è un tema che non può essere evaso, allorché, come appare nel Documento preparatorio, ci si ripropone di andare al cuore della democrazia mediante la partecipazione. Questa si articola in diversi modi e su più piani.

Può essere di aiuto, per farsi una visione più completa della questione della partecipazione in democrazia un rapido excursus sulla stessa Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa come si può reperire nel recente volume M. TOSO, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024, pp. 272.


Il messaggio del vescovo Mario per la Quaresima: “Camminiamo insieme”

Carissimi, accogliamo l’invito che papa Francesco ci ha fatto nel suo Messaggio per la Quaresima 2024 Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertàCamminiamo insieme – come comunità, famiglie, associazioni, aggregazioni, movimenti – verso la Pasqua.

Liberiamoci da tutto ciò che ci tiene ancorati a vecchie abitudini: una catechesi che non tocca i cuori, una frequenza abitudinaria ai sacramenti, una presenza fugace, mordi e fuggi nelle nostre comunità; la separazione tra fede e vita. Muoviamoci tutti verso una condizione di più grande amore degli uni verso gli altri, di maggior condivisione delle sollecitudini pastorali delle nostre parrocchie.

Operiamo insieme per rendere le nostre comunità sorgenti di acqua viva per tutti, credenti o non credenti, italiani o stranieri. Rilanciamo l’impegno per la vita, per la pastorale famigliare. Seguiamo le iniziative di preparazione alla prossima Settimana sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio 2024). Accompagniamo spiritualmente e culturalmente le categorie dei lavoratori. Prepariamo di più i laici ad essere annunciatori di Gesù perché siano genitori che lo comunicano con amorevolezza ai figli, perché siano sale nelle molte attività che vivono. Coltiviamo la gioia e la libertà che ci dona la conversione, sperimentata mediante il sacramento della Riconciliazione, la preghiera, il digiunoSogniamo insieme il futuro delle nostre comunità! Rinasciamo con speranza come territorio, devastato da alluvioni e terremoto.

Partiamo dalla preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose. Per rendere più sentiti questi momenti facciamo precedere momenti di incontro sulla situazione delle vocazioni nella nostra Diocesi e nella Romagna. Invitiamo i sacerdoti più giovani a comunicare il loro fuoco di amore per Gesù che continua la sua passione tra noi, per portarci alla pienezza del suo Amore. Buon cammino quaresimale.

Mario Toso, vescovo


Domenica 18 febbraio la Giornata diocesana del Seminario. “Accompagnare i giovani a trovare un senso nella vita”

Domenica 18 febbraio la nostra Diocesi festeggia la Giornata del Seminario. Di seguito un testo del rettore, don Michele Morandi.

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì Signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?” Dicono: “L’ultimo” E Gesù disse loro: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno dei cieli» (Mt. 21,28-32).

Il primo figlio accoglie subito senza alcuna incertezza e con obbedienza. In verità, come racconta il seguito, non è affatto così. È un “sì” teorico e troppo veloce, sembra che questo “sì” non costi nulla e, di fatto, non è passato attraverso il percorso naturale della lotta, per essere maturo. Ci possono dunque essere dei “sì” mostrati con estremo coraggio che poi crollano. Sono le persone di fronte alle quali nutriamo le più entusiaste speranze. Il secondo oppone un bel “no” che non lascia spazio a equivoci portando una motivazione molto attuale: “non ne ho voglia”. È sincero e con questo “no” dice una cosa importantissima: la proposta del Signore non è necessariamente corrispondente ai nostri gusti, anzi spesso li contraria, apre prospettive nuove che subito provocano paura, sembrano esagerate o incomprensibili.

Questo è ciò che accade nell’incontro tra due libertà, quella di Dio e quella dell’uomo. Senza lotta è difficile che ci sia una adesione sincera e duratura. Non è forse in questo punto che tutti un po’ ci disorientiamo e non sappiamo che pesci pigliare? Non è forse a questo punto che ci rassegniamo e lasciamo perdere? Non è forse nel momento dell’incomprensione e della lotta che dobbiamo stare a fianco e forse lottare anche con noi stessi? Non è quello forse il momento vero della fede/fiducia da riporre nel Dio della salvezza?

Mi viene da pensare a quanti ragazzi e ragazze potrebbero essere aiutati a leggere quel disagio che provano di fronte all’appello del Signore, non come segno di non-vocazione o ancor peggio di non-fede, ma come una tappa necessaria e per di più feconda. Il “no” diventa un “sì” perché nel confronto serrato con il Signore si sperimenta che se la nostra vita non si apre a Dio, nell’amore del prossimo, piomba nel vuoto del non senso. Dedichiamo tempo ai giovani e a chiunque cerchi Dio, perché la ricerca della vocazione possa incontrare adulti disponibili e attenti, testimoni di un Vangelo vero, senza sconti, perché non è avaro Colui che chiama a una vita piena.

Sono sicuramente tanti quelli che dicono: “no, non ne ho voglia!” Tra questi, che sicuramente sono chiamati al discepolato, io non so quanti siano quelli chiamati al ministero ordinato. Penso valga la pena stare dentro ogni “no” per vedere se, per caso, ci sia un “sì” ad andare a lavorare nella vigna.

don Michele Morandi, rettore


In centinaia alla Marcia della pace di Faenza, un cammino da vivere ogni giorno (photogallery)

Camminare insieme verso un unico obiettivo: costruire la pace. Ed è un cammino da fare non solo in determinate occasioni, ma sempre, nella vita di tutti i giorni. Sinodalità vuol dire anche questo: uno stile, prima ancora che un’azione. Lo ha ribadito il vescovo, monsignor Mario Toso, nel suo intervento conclusivo alla Marcia della Pace di Faenza del 4 febbraio scorso che ha visto centinaia di partecipanti, di tutte le età, e tante associazioni e movimenti rappresentanti: dall’Azione cattolica agli scout, da Acli ad Anspi, passando per comunità Papa Giovanni, Ami e Caritas.

Partita dal Seminario, la marcia ha toccato varie tappe come il complesso di via Castellani che cent’anni fa vide l’assalto dei militanti fascisti alla casa del Popolo, fino all’ingresso del liceo Scientifico, luogo di educazione e cittadinanza. Il corteo è poi terminato di fronte alla Cattedrale, dove il grande striscione “Uniti per la pace” è stato firmato tra gli altri dal vescovo Mario, dall’imam di Faenza e dall’assessore Davide Agresti.

Le tappe del corteo, che ha visto laboratori, è stato scandito anche dal messaggio per la 57esima Giornata Mondiale della Pace, dove papa Francesco ha posto alcune domande: «quali saranno le conseguenze, a medio e lungo termine, delle nuove tecnologie digitali? E quale impatto avranno sulla vita degli individui e della società, sulla stabilità internazionale e sulla pace?”. Proprio per questo la marcia, in seminario, è stata aperta dal monaco camaldolese e bibliotecario padre Claudio Uberto Cortoni: «Spesso confondiamo i dati e le informazioni a nostra disposizione con la conoscenza, ma non basta avere un’informazione per formare il sapere. Le intelligenze artificiali sono un mezzo che non darà mai all’uomo la sua umanità e le sue aspirazioni. Non ci si pone mai la domanda: tutti questi programmi e banche dati che stiamo costruendo per quali finalità li stiamo sviluppando? E al tempo stesso ci siamo dimenticati di abbinare alla tecnica l’educazione. Nessuno di noi ha una vera formazione su questi strumenti, pur utilizzandoli tutti i giorni. E quando c’è ignoranza c’è sospetto, mentre dobbiamo essere noi a guidare verso dove farli tendere».


Domenica 11 febbraio in ospedale a Faenza la messa per la Giornata del malato

«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria.

Così inizia il messaggio di papa Francesco per la XXXII Giornata Mondiale del Malato. Le sue parole portano alla luce tante domande, che si concentrano in un grande perché: perché, se siamo stati creati per la comunione, non siamo capaci di realizzare quello che è il nostro bene, perché la solitudine fa sempre più parte della vita, perché c’è un aumento costante di persone sole? Papa Francesco lo spiega: «Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita». «Il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono».

La solitudine degli anziani è da tempo studiata, i numeri sono noti: le persone oltre i 75 anni di età che vivono sole sono, nel nostro paese, circa 2,5 milioni. Vivere soli non significa sempre essere o sentirsi soli. Tanti vivono soli, ma hanno familiari, amici, vicini, hanno una vita piena di relazioni. Man mano però che aumenta la fragilità, che si limitano i movimenti, la situazione si complica. Sono noti anche i danni psicologici e fisici che la solitudine porta: l’esperienza del Covid li ha evidenziati, non solo negli anziani soli a casa, ma anche in tutti coloro che, ricoverati in ospedale o ospiti di case di riposo, non hanno potuto avere accanto a sè persone care per lungo tempo. La solitudine non riguarda, infatti, solo che vive a casa, ma anche tanti anziani che nelle strutture, pur non essendo mai soli, soffrono la mancanza di parenti, amici. “Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano, alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.” Mi colpisce il messaggio di quest’anno del Papa, così semplice, così «scontato». Non dice niente di nuovo, niente che non sappiamo, che non abbiamo ascoltato o detto tante volte, niente che possa suscitare contrapposizioni tra favorevoli e contrari, tra tradizionalisti e progressisti, niente che lo abbia fatto nominare nei giornali. D’altronde i malati, gli anziani fanno notizia solo se vogliono morire prima del tempo, non se desiderano vivere con accanto qualcuno che li accompagni, li ascolti, li consoli. Ma, quanto la Giornata del Malato fa notizia nelle nostre parrocchie, quanto è sentita, pensata? In quanti Consigli pastorali è messa all’ordine del giorno? In quanti Consigli pastorali sono qualche volta all’ordine del giorno i malati, gli anziani soli? Da vari anni noi, impegnati nella pastorale della salute diocesana, cerchiamo con la Caritas di affrontare il tema della solitudine degli anziani, con progetti che vorrebbero, innanzitutto, conoscere il territorio, mappare le situazioni di maggior fragilità, per suscitare nelle comunità un’attenzione diffusa, affinchè nessuno sia solo. Progetti difficili da condividere, da portare avanti, perché sopraggiungono sempre temi più urgenti. Eppure parlare di malattia, di fragilità, di solitudine vuol dire parlare anche di noi, perchè tutti incontriamo la malattia di persone care e nostra, anche se non vorremmo; tutti speriamo di arrivare alla vecchiaia (anche se la parola non si può più pronunciare) e non vorremmo viverla soli. “A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri”. Grazie, papa Francesco, perchè non ci chiedi di vivere in maniera eroica la malattia, di farci “bastare” la vicinanza di Dio, ma ci autorizzi a manifestare il nostro bisogno di vicinanza e tenerezza, a chiedere un po’ di carezze e di abbracci, a sperare di non vivere l’ultimo pezzo della vita in solitudine e ci inviti come singoli e come comunità ad essere vicini a chi è solo, perchè “Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali.”