Premessa: farsi vicini ai poveri, vero cammino di santificazione
In continuità con l’Enciclica Dilexit nos, papa Francesco stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te (= DT),[1] immaginando che Cristo si rivolga ad ognuno di loro dicendo: «Hai poca forza, poco potere, ma “io ti ho amato”» (Ap 3,9). Leone XIV ha ricevuto come in eredità il progetto. L’ha fatto suo, aggiungendo alcune riflessioni e lo ha proposto all’inizio del suo pontificato. In tal modo, ha condiviso il desiderio dell’amato Predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri. Leone XIV ha ritenuto necessario insistere su questo cammino di santificazione. Infatti, nel «richiamo a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi».[2]

1. Non tanto e solo una priorità sociologica quanto, piuttosto, una priorità teologica
È importante evidenziare, sin dall’inizio, come la nuova esortazione apostolica DT, rispetto all’amore verso i poveri, evidenzi un approccio primariamente teologico. Se è indubitabile che i poveri rappresentano ancora, anche nei Paesi ricchi, una questione sociale rilevante,[3] i credenti non possono dimenticare che ciò ha nella loro missione e nella loro attenzione una precedenza teologica. Perché? Esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri.[4] I poveri sono un luogo teologico per eccellenza, perché Cristo ha assunto la povertà per essere in mezzo agli uomini. Ha condiviso, in particolare, la nostra radicale povertà, che è la morte. Egli è Messia povero. È Messia dei poveri e per i poveri.[5]
Il mistero di Cristo nella Chiesa, come è stato eloquentemente affermato nel Concilio vaticano II dall’allora card. Giacomo Lercaro, è sempre stato ed è il mistero di Cristo nei poveri.[6]
Proprio per questo, l’esortazione apostolica DT rimarca che la Chiesa, affrontando il problema dei poveri, non si pone innanzitutto «nell’orizzonte della beneficenza, ma della Rivelazione: il contatto con chi non ha potere e grandezza è un modo fondamentale di incontro con il Signore della storia».[7]
L’incontro con i poveri, per la Chiesa, ha una natura cristocentrica. È un evento anzitutto di fede, non solo sociale. In esso la Chiesa vive il mistero di Cristo nel povero.
L’affetto per il Signore si unisce naturalmente a quello per i poveri. La spiritualità del cristiano comprende l’affetto per il Signore vivente nei poveri, riconosciuto ed incontrato in essi.
2. Nell’incontro con i poveri si verifica l’autenticità della fede e del culto cristiano
Per quanto detto, si capisce che l’attenzione ininterrotta della Chiesa verso i poveri e il suo camminare con essi sono parte essenziale della sua storia bimillenaria. «La cura dei poveri fa parte della grande Tradizione della Chiesa, come un faro di luce che, dal Vangelo in poi, ha illuminato i cuori e i passi dei cristiani di ogni tempo. Pertanto, dobbiamo sentire l’urgenza di invitare tutti a immettersi in questo fiume di luce e di vita che proviene dal riconoscimento di Cristo nel volto dei bisognosi e dei sofferenti. L’amore per i poveri è un elemento essenziale della storia di Dio con noi e, dal cuore stesso della Chiesa, prorompe come un continuo appello ai cuori dei credenti, sia delle comunità che dei singoli fedeli. In quanto è Corpo di Cristo, la Chiesa sente come propria “carne” la vita dei poveri, i quali sono parte privilegiata del popolo in cammino. Per questo l’amore a coloro che sono poveri – in qualunque forma si manifesti tale povertà – è la garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio. Infatti, ogni rinnovamento ecclesiale ha sempre avuto fra le sue priorità questa attenzione preferenziale ai poveri, che si differenzia, sia nelle motivazioni sia nello stile, dall’attività di qualunque altra organizzazione umanitaria».[8]
L’amore per il prossimo rappresenta la prova tangibile dell’autenticità dell’amore per Dio. Nella prima comunità cristiana il programma di carità non derivava da analisi o da progetti sociali, ma direttamente dall’esempio di Gesù, dalle parole stesse del Vangelo. La carità verso i bisognosi non era intesa come una semplice virtù morale, ma come espressione concreta della fede nel Verbo incarnato. L’amore verso il povero è il criterio del vero culto.[9] La fede, scriveva san Giacomo, se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta (cf Gc 2, 14-17).
3. I poveri, dunque, non sono solo un problema sociale, sono la stessa carne di Cristo
Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa. Come insegna la Conferenza di Aparecida, «ci viene chiesto di dedicare tempo ai poveri, di dare loro un’attenzione amorevole, di ascoltarli con interesse, di accompagnarli nei momenti difficili, scegliendoli per condividere ore, settimane o anni della nostra vita, e cercando, a partire da loro, la trasformazione della loro situazione. Non possiamo dimenticare che Gesù stesso lo ha proposto con il suo modo di agire e con le sue parole».[10]
Una Chiesa povera per i poveri va verso la stessa carne di Cristo. Non è sufficiente enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio. Bisogna andare verso la carne di Cristo che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata, emarginata, emigrata, sfruttata, discriminata. Dalla fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati delle società.[11]
4. La religione cristiana non si limita all’intimità e all’ambito privato
Talvolta si riscontra in alcuni movimenti o gruppi cristiani la carenza o addirittura l’assenza dell’impegno per il bene comune della società e, in particolare, per la difesa e la promozione dei più deboli e svantaggiati. A tale proposito, occorre ricordare che la religione, specialmente quella cristiana, non può essere limitata all’ambito privato, come se i fedeli non dovessero aver a cuore anche problemi che riguardano la società civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini. In realtà, qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi.[12]
5. Le cause sociali e strutturali della povertà, strutture d’ingiustizia, vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene, vivendo con l’amore di Cristo
Le strutture d’ingiustizia vanno rimosse attraverso il cambiamento della mentalità ma anche con l’aiuto delle scienze e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società. Se si è detto che la fede ha una dimensione pubblica, così va ricordato sempre che la proposta del Vangelo non è soltanto quella di un rapporto individuale ed intimo con il Signore in sé. La proposta è più ampia. È relativa al Regno di Dio (cf Lc 4,43). Si tratta di amare Dio il cui Figlio si è incarnato nell’umanità e nel cosmo per ricapitolare in sé tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo (cf Col 1, 12-20). Nella misura in cui l’amore di Cristo, che si dona in maniera incondizionata e in piena libertà, regnerà in noi e tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti.[13]
I credenti per il loro battesimo sono chiamati non solo a contemplare la regalità di Cristo, ma a partecipare ad essa, ad estenderla. Sono chiamati a servire Cristo Re, a testimoniare con la vita e con la parola la sua Signoria. Sono chiamati ad essere autentici araldi della regalità di Cristo nel mondo contemporaneo. Innanzitutto, vivendo nelle nostre comunità la pace che Cristo dona a tutti i suoi discepoli. In secondo luogo, vivendo non una spiritualità disincarnata ma incarnata, contribuendo a realizzare con Lui il Regno di Dio. Come? Amando Dio: nelle relazioni, nelle istituzioni, nella famiglia, nell’educazione, nel mondo del lavoro, nell’amministrazione pubblica, nella ricerca del bene comune e dei beni collettivi (acqua, terra e cibo,[14] clima, energia rinnovabile), nei social, nell’impiego dell’intelligenza artificiale. Ciò facendo noi vivremo le attività umane, le relazioni interpersonali, gli ambienti sociali con il cuore di Cristo, ordinandoli al loro compimento in Dio. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui.
Per quanto detto, il compito dei cristiani non è solo quello di pregare e di insegnare la vera dottrina. Esso include la promozione integrale dei poveri.[15]
Peraltro, in una visione di promozione integrale dei poveri, come conseguenza di essa, non si può ignorare che la peggiore discriminazione di cui possono soffrire i poveri è la mancanza di attenzione spirituale.[16]
6. Conclusione
La condizione dei poveri rappresenta un grido che, nella storia dell’umanità, interpella costantemente la nostra vita, le nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la Chiesa. Sul volto ferito dei poveri troviamo impressa la sofferenza degli innocenti e, perciò, la stessa sofferenza del Cristo. Allo stesso tempo, dovremmo parlare forse più correttamente dei numerosi volti dei poveri e della povertà, poiché si tratta di un fenomeno variegato; infatti, esistono molte forme di povertà: quella di chi non ha mezzi di sostentamento materiale, la povertà di chi è emarginato socialmente e non ha strumenti per dare voce alla propria dignità e alle proprie capacità, la povertà morale e spirituale, la povertà culturale, quella di chi si trova in una condizione di debolezza o fragilità personale o sociale, la povertà di chi non ha diritti, non ha spazio, non ha libertà.[17]
Una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno. Sia attraverso il lavoro, sia attraverso l’impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia attraverso un gesto di aiuto semplice, molto personale e ravvicinato, sarà possibile per ogni povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: «Io ti ho amato» (Ap 3,9).
Mario Toso, vescovo
[1] Cf LEONE XIV, Dilexi te, Dicastero per la Comunicazione-Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2025.
[2] DT n. 3.
[3] Cf DT nn. 9-12.
[4] Cf Francesco, Evangelii gaudium, n. 36.
[5] Cf DT n. 19.
[7] DT n. 5.
[9] Cf DT n. 42.
[12] Cf DT nn. 111-112.
[13] Cf DT n. 97.
[14] Cf DT n. 12.
[16] Ib.
[17] Cf DT n. 9.








