Faenza, cattedrale 14 novembre 2025.
Cari fratelli e sorelle, viviamo questa sera la IX Giornata mondiale dei poveri. In occasione di tale Giornata papa Leone ha inviato un Messaggio così intitolato: «Sei tu, mio Signore, la mia speranza» (Sal 71, 5).
Cristo, incarnato, morto e risorto, è la speranza che non delude. In particolare, perché ci dona una vita imperitura, perché il suo Amore o Carità, redime la nostra vita, donandole pienezza.
Come ci ha detto la recente esortazione apostolica Dilexi te (=DT), sempre di Leone XIV, la Chiesa fondata da Gesù Cristo ha, sul suo esempio, una particolare cura per i poveri, che richiede di camminare con loro.
Esiste un nesso stretto tra l’amore di Cristo e la sua chiamata a farci prossimi ai poveri. Cristo, ci propone un cammino di santificazione incoraggiandoci a riconoscerlo presente nei poveri e nei sofferenti, per amarlo e servirlo in essi (cf DT n. 3). Tutto ciò che faremo al povero, ai sofferenti, ai carcerati, agli emarginati, a coloro che sono nella solitudine, sarà fatto a Lui (cf Mt 25,40). Nessun gesto di amore, di servizio, compiuto con affetto, sarà dimenticato. Ciò che si fa per i bisognosi, riconoscendo in essi Gesù stesso, rende più vero ed autentico il nostro amore per Lui. La fede non è vera se non è dimostrata dalle opere.
Non va dimenticato, ricorda la stessa esortazione apostolica DT, che ci sono più povertà. Non esiste solo la povertà materiale, economica, quale quella delle famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese. La povertà si declina in molteplici forme. Basti pensare alle crescenti diseguaglianze, alle donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento, violenza, a coloro che sono privati dei loro diritti sociali, religiosi e culturali. Lo stesso papa Leone nel suo Messaggio sottolinea che la più grande povertà è non conoscere e non amare Dio. Analogamente, papa Francesco nell’Evangelii gaudium (=EN), si era espresso in questa maniera: «La peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri – soggiungeva il pontefice – possiede una speciale apertura alla fede. Hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede» (EN n. 200).
I beni di questa terra, le realtà materiali, il bene-essere economico e sociale, seppur importanti, non bastano per rendere felice il cuore delle persone. Abbiamo bisogno di Dio, del suo Amore. Solo Lui può colmare il nostro spirito. Orbene, Dio donato e vissuto, impegna tutti a rendere migliore la città degli uomini, a custodire e a coltivare il creato. L’amore di Dio, ricevuto nei nostri cuori, sospinge a trasformare le società. Singoli individui, famiglie, gruppi di persone vanno inclusi in un tenore di vita minimo accettabile.
Lo Spirito d’amore di Dio fa sì che non abbassiamo mai la guardia nei confronti della necessaria rimozione delle cause sociali e strutturali della povertà. Le strutture d’ingiustizia vanno riconosciute e distrutte con la forza del bene, attraverso il cambiamento e la conversione della mentalità ma anche con l’aiuto della scienza e della tecnica, attraverso lo sviluppo di politiche efficaci nella trasformazione della società.
Per rendere più compiuto il suo ragionamento e perché la comunità cristiana eviti di ridursi ad agenzia sociale, papa Leone ricorda che i discepoli di Gesù si adoperano nell’aiuto ai poveri non solo per ragioni umanitarie, considerando i poveri un semplice problema sociale. I credenti considerano i poveri persone nelle quali vive Cristo stesso. Essi sono fratelli in Cristo e, quindi, sono, piuttosto, una «questione familiare». I poveri sono «dei nostri». Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o ad un ufficio della Chiesa (cf DT n. 104). Cristo è venuto su questa terra per farci suoi, incarnandosi in ciascuno di noi e per donarci il suo cuore.
Nella misura in cui Dio regnerà nel nostro cuore, tra noi, la vita sociale sarà, sempre di più, uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. L’annuncio di Cristo, l’esperienza della nostra partecipazione alla sua opera di redenzione, di umanizzazione, non può non avere conseguenze sociali (cf DT n. 97). L’incarnazione di Cristo in noi, nella storia degli uomini, non è qualcosa di teorico o astratto. È qualcosa di molto concreto. Al punto che il Signore si fa carne nei singoli uomini e ha fame, ha sete, è malato e carcerato, è emarginato, è sfruttato. Se non andiamo verso la carne di Cristo – carne che soffre nei poveri, nelle persone sole, nei bisognosi, negli esclusi e negli emarginati – non capiamo molto della sua incarnazione.
Equivarrebbe a pensare che Lui non si sia fatto uno di noi,
Accorgersi che Cristo è nelle persone, specie in coloro che sono poveri, ci sollecita all’impegno per il bene comune della società e, in particolare, per la difesa e la promozione dei più deboli e svantaggiati (cf DT n. 122). Quella comunità che pretende di stare tranquilla, senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia, affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, finisce per correre il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali e critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla «mondanità spirituale», dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti (cf DT n. 113).
Partecipando all’Eucaristia ricordiamo la nostra fraternità coi poveri. Siamo nei loro confronti come il buon samaritano che è Gesù.
+ Mario Toso

