[nov 09] Omelia – Domenica 9 novembre

09-11-2025

Faenza, cattedrale 9 novembre 2025.

Nella prima Lettura di Ezechiele si parla del Tempio di Dio da cui esce un’acqua o, meglio, una vita che irriga e risana tutto. Dove giungerà l’acqua che esce dalla Casa di Dio farà rivivere tutto. Sull’una e l’altra riva crescerà ogni sorta di alberi da frutto. I frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina (Ez 47, 1-2. 8-9. 12).

San Paolo ci dice che noi battezzati siamo in mezzo al mondo il tempio di Dio, il suo edificio, il santuario da cui escono acque benefiche, che tutto ravvivano. Ma come è possibile che i credenti possano diffondere nella storia, nel mondo, nelle famiglie, nelle istituzioni, nei social, una vita nuova, capace di far germogliare frutti di bene e di giustizia, di pace?  Solo ad una condizione. Ossia che crescano come edificio di Dio, come tempio in cui abita lo Spirito di Dio, uno Spirito di amore, pieno di verità. È importante e decisivo che ciò che rende i credenti edificio di Dio non venga sostituito con altro fondamento rispetto a Gesù Cristo. Se nella nostra vita Cristo viene sostituito, ossia non rimane il fondamento, la pietra angolare su cui poggiamo, finiremo per autodistruggerci, per non portare più frutti buoni, per divenire irrilevanti. Detto diversamente, se nei credenti non vivrà lo Spirito d’amore di Cristo, amore trinitario, essi diventeranno sterili. Non saranno più sale che potrà dare sapore. Non saranno più lievito che fermenta tutta la massa. Non saranno più capaci di vedere la realtà con gli occhi di Gesù Cristo. Non saranno più capaci di amare con il suo cuore. Non saranno più capaci di servire.

Spesso capita ai credenti di dirsi cristiani ma non di esserlo, perché anziché di porre al centro della loro vita Cristo, pongono il proprio io al di sopra di tutto, oppure teorie che distorcono la verità sulla libertà e sulla persona.  È questo il modo peggiore per vivere la propria professione di fede. Con un simile modo di fare Cristo non è più centrale. Diviene secondario, al punto da essere ininfluente. Egli non anima più le nostre scelte, la nostra azione. Non ci si conforma più a lui. Non lo si riconosce più nel povero. Per chi vive Cristo, i poveri non sono solo una categoria sociologica ma sono la stessa carne di Cristo. Cristo, che diventa uno di noi, si fa carne nel povero, in chi ha fame e sete di giustizia, nel discriminato per la sua fede, nel carcerato, in chi subisce la tratta, nel malato.

In questo tempo di rinnovamento del nostro impegno missionario, di maggiore unità sinodale nella nostra vita comunitaria, apriamoci sinceramente e coraggiosamente al soffio dello Spirito santo. Solo lo Spirito di Amore e di Verità del Signore Gesù ci costituisce lievito di pace e di speranza. Ci rafforza come credenti che operano tutti insieme in un’umile corresponsabilità, trovando un punto di sintesi superiore in Cristo che effonde su tutti il suo Amore. Il Signore che siamo chiamati ad imitare sembra paragonarsi a una massaia, che mescola il lievito alla pasta, seguendo il giusto dosaggio, e sa attendere il risultato. I discepoli di Cristo non sono semplici spettatori dell’impasto di Dio, ma sono chiamati a collaborare. Essi collaborano a lievitare il mondo, vivendo le beatitudini (cf Mt 5,1-12). È così che costruiscono il Regno di Dio e immettono nella società e nelle istituzioni energie nuove. Solo così, il Cammino sinodale delle Chiese in Italia troverà la via giusta per sciogliere i nodi e trovare nuove soluzioni per una Chiesa sempre più piccolo gregge, impaurito, incapace di proporre con gioia e coraggio la bellezza del Vangelo. Una tale bellezza non richiede di giustificare le debolezze umane, sino a omologarle o «canonizzarle», ma sollecita a vivere uniformandosi sempre più all’umanità nuova che si è mostrata a tutti nel Figlio di Dio diventato uno di noi. Operiamo, dunque, affinché Cristo sia tutto in tutti.

                                                 + Mario Toso