[lug 31] Intervento – Profezia e dono: presentazione del libro “Gioia e speranza” ad Olbia

gioia e speranza per social
31-07-2025

PROFEZIA E DONO

 

Olbia, 31 luglio 2025.

 

Premessa: aspetti problematici nei confronti della DSC

Il volume Evangelizzazione, catechesi e insegnamento sociale,[1] è stato scritto per varie ragioni.

Nelle nostre comunità ed associazioni del mondo cattolico il nesso tra i tre elementi, che costituiscono il titolo del volume, non appare sempre evidente. E, quindi, non è ben curato, con la conseguenza che si coltiva di fatto una visione riduttiva, depotenziata, della missione, dell’evangelizzazione, dell’educazione alla fede e della stessa organizzazione della Pastorale sociale. Questo, in breve. Ma è bene considerare questo stato di cose in maniera più dettagliata, per cercare di trovare le cause e porre in campo alcune soluzioni pastorali, mettendo in movimento le nostre comunità parrocchiali e le nostre associazioni, aggregazioni e movimenti ecclesiali (AC, CL, AGESCI, Rinnovamento nello Spirito, Coldiretti, ecc.), affinché non perdano incisività nell’annuncio, nella testimonianza, nell’inculturazione della fede, come richiede l’Incarnazione, morte e risurrezione di Cristo.

 

  1. Un’evangelizzazione diminuita di volume, indebolita dal punto di vista sociale e culturale

Fermiamoci, dunque, a considerare l’evangelizzazione, il primo elemento dei tre che compongono il titolo, così come viene intesa e vissuta nella comunità cristiana e nell’associazionismo cattolico. Ad un primo sguardo sommario, va rimarcato che essa non è sempre focalizzata bene rispetto alla sua dimensione sociale, quasi che questa non ne sia una dimensione costitutiva.

In particolare, non è considerato o valorizzato a sufficienza il fatto che la DSC è elemento essenziale – quindi, non facoltativo! – dell’evangelizzazione, come ha esplicitamente dichiarato san Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus (cf n. 5). In questo, il pontefice polacco era stato preceduto da san Giovanni XXIII, che aveva scritto che la DSC è parte integrante della concezione cristiana della vita.[2]

Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, documento programmatico del suo pontificato, ha evidenziato incisivamente che, se la dimensione sociale della fede «non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice» (n. 176).

Il Kerigma – spiegava – possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri.  Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale nella virtù teologale della carità.

La redenzione del Signore Gesù ha una intrinseca dimensione sociale, perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini» (n. 178). Ignorare la dimensione sociale della redenzione equivarrebbe a pregiudicare o a ridimensionare arbitrariamente il volume totaledel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, quasi che la redenzione di Cristo concernesse solo una parte della persona, non tutta la persona, comprese le sue relazioni interpersonali, sociali e con il creato.

Cristo redime ogni uomo e donna, tutto l’uomo e la donna, il cosmo stesso (cf Laudato sì’). Quando si celebra l’Eucaristia, il mistero intero della redenzione, si celebra una liturgia cosmica, soleva ripetere san Josemaría Escrivà. Non a caso, il nuovo Direttorio per la catechesi,[3] insiste sull’urgenza di connettere la vita di fede con diverse tematiche che spesso sono trascurate o dimenticate. È necessario che la vita d’amore di Cristo permei tutti gli aspetti dell’esistenza umana, rafforzando in essa l’impulso verso il compimento umano in Dio.

  1. Le ragioni del depotenziamento umano della redenzione integrale di Cristo

Il fatto che non si dia adeguata importanza nelle comunità e nell’associazionismo cattolico o di ispirazione cristiana all’intrinseca dimensione sociale dell’evangelizzazione impedisce alla forza trasfiguratrice della redenzione di Cristo di giungere come un fiume, umanizzante e liberante – perché divinizzante -, negli ambiti del sociale (inteso in senso ampio), della cultura, dei social, dell’intelligenza artificiale.

Quali sono le principali ragioni che ostano la circolazione vitale della DSC nelle coscienze, nei vari ambienti di vita, nelle realtà temporali, nella cultura?

Nel discernimento delle principali ragioni, che impediscono alla DSC di entrare nelle vene della vita delle comunità cristiane e delle associazioni cattoliche o di ispirazione cristiana, come discernimento e come energia costruttrice, ci viene in aiuto quanto ha recentemente detto l’arcivescovo Mario Delpini nell’incontro con il Movimento Cristiano Lavoratori, tenutosi a Milano il 10 luglio scorso 2025.

Una prima ragione, che ne impedisce la diffusione, e che scoraggia coloro stessi che vi credono – non paiono, però, moltissimi, purtroppo – è che la DSC è circondata da un’ampia e silenziosa complicità nel disinteresse. Ciò è stato dimostrato clamorosamente anche in occasione dell’ultima Settimana sociale dei cattolici in Italia, celebratasi a Trieste nel luglio scorso 2024, nonostante la presenza di circa mille persone, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di papa Francesco, che sono entrambi intervenuti con parole ben ponderate e sapienti circa il tema relativo alla democrazia e alla partecipazione.[4] Detto diversamente, in un momento di caduta o di tramonto dell’Occidente,[5] ossia in un contesto di crisi socioculturale in cui ci sarebbe stato, e ancora c’è, un estremo bisogno di rinascita spirituale, di fraternità e di solidarietà, la proposta significativa e profetica, carica di positività e di visione nuova, della DSC, non ha suscitato interesse. Anzi, è stata snobbata, considerata insignificante, inutile.

Una seconda ragione è data, secondo l’arcivescovo Delpini, dal fatto che il contesto culturale, che circonda la DSC, è a tal punto indottrinato e pervaso da un accentuato individualismo libertario ed utilitarista, da far apparire la sua proposta socioculturale come inattuale, fuori dal tempo, in quanto improntata in termini di fraternità, di solidarietà, di servizio al bene comune, di trascendenza.

Una terza ragione sarebbe data – ragione simile alla seconda, quasi una conseguenza della precedente -, dal sospetto dell’irrilevanza della DSC o, meglio, della sua improponibilità odierna. Parlare di pace, di giustizia sociale, in un contesto di invasioni di eserciti, della cresciuta possibilità di una terza guerra mondiale, di aggressività inusitata da parte delle stesse multinazionali tecnologiche, sarebbe peccare di ingenuità. Nel mondo vi sono 32 guerre in atto. L’economia vive in termini di concorrenza spregiudicata, di vera e propria lotta – si pensi all’imposizione di dazi da parte degli USA -, di contrapposizione di interessi, come anche di discriminazione dei soggetti più deboli, come i più poveri, gli stessi giovani e le donne.[6]

Ma vi sono altre ragioni, sempre secondo sua Ecc. mons. Mario Delpini, che non manifestano la significatività e la capacità umanizzante della DSC. Si tratta di ragioni legate non tanto alla DSC in sé o alla percezione che ne ha la società indifferente nei confronti del Vangelo, quanto piuttosto al comportamento dello stesso associazionismo cattolico. Ossia, in primo luogo, al modo affaticato ed incolore di vivere la DSC, al punto da renderla poco attrattiva a parte dello stesso mondo cattolico e all’associazionismo laico; in secondo luogo, a causa di una stucchevole retorica sul Vangelo, sull’ispirazione cristiana,  che si esaurisce in un’incessante celebrazione di un passato glorioso, a cui però corrisponde un’operosità quotidiana reticente che, in ultima analisi, si adegua ai criteri che seguono tutti, e che non  evidenzia la propositività, la visione di futuro del Magistero sociale; e, in terzo luogo, soprattutto, le divisioni tra le stesse associazioni cattoliche, più intente ai distinguo e all’affermazione puntigliosa dei propri punti di vista, senza però giungere alla condivisione e alla coltivazione di mete comuni da raggiungere insieme. Tutto questo finisce per ostacolare l’immissione dei principi, dei criteri, degli orientamenti pratici, degli stili di vita, proposti dalla DSC, nelle arterie della società, dell’economia, della politica, della cultura, sia sul piano nazionale sia sul piano internazionale.

Ma, oltre alle ragioni rilevate magistralmente dall’arcivescovo Mario Delpini, chi scrive ne vorrebbe elencare qualche altra. Basti pensare, come già sottolineava anni fa Giuseppe Lazzati, docente di letteratura cristiana antica e Rettore dell’Università Cattolica   del Sacro Cuore di Milano, che i cattolici, benché posseggano il grande tesoro della DSC non sempre sono in grado di tradurlo nella vita, in termini politici. Non raramente, poi, non pochi cattolici, che militano in diversi partiti, si servono della DSC come se fosse un self-service, ossia come un supermercato in cui si entra e si seleziona alcuni prodotti, giudicati più conformi ai propri punti di vista, mentre se ne rifiutano altri, considerati meno validi o utili. Ciò è anche avvenuto all’interno di gruppi che, durante e dopo la Settimana sociale dei cattolici in Italia, svoltasi a Trieste, si sono riproposti di formare  nuove cordate per un rinnovato impegno politico, appellandosi sì alla DSC, ma utilizzandola parzialmente, valorizzando solo alcuni  temi (migranti, loro inserimento sociale, scolastico; pace, sicurezza sociale, sanità, calo demografico, carenza di lavoratori, formazione professionale, politica in senso alto, dimensione europea, tutela ambientale, cambiamenti climatici, partecipazione e democrazia: tutte cose sacrosante, ma non sufficienti rispetto alla proposta complessiva ed unitaria della stessa DSC), tralasciando il tema fondamentale della vita (dalla nascita sino alla sua fine naturale: diritto al suicidio? Stato etico?), della famiglia secondo la proposta di Cristo – intesa non solo in senso sociologico -,[7] della libertà religiosa, della scuola cattolica (scuola paritaria, secondo la legge Luigi Berlinguer), dell’educazione all’integrazione socioculturale per i migranti, della formazione sociale e politica dei cittadini, anche dal punto di vista dell’Intelligenza artificiale.

È chiaro che l’utilizzo in toto della DSC, specie nei suoi aspetti contingenti e superati, non è praticabile o raccomandabile.

Ciò che, tuttavia, vanifica la ricchezza ispiratrice e progettuale della DSC è il fatto di posporla al partito in cui si è scelto di militare, in una posizione subalterna, assegnando di fatto il primato non all’esperienza credente in Cristo, ma alla propria appartenenza partitica. Qualcosa di simile sembra essersi verificato nell’incontro di un gruppo di cattolici a Milano, dopo Trieste. Lì, a detta degli stessi partecipanti, afferenti al PD o del PD, la DSC sembra sia stata piuttosto lasciata da parte per concentrarsi, invece, sul tema, ritenuto più urgente, del riposizionamento dei cattolici rispetto alla linea politica espressa dalla Segretaria Elly Schlein. Con ciò è stata probabilmente persa un’importante occasione, quella dell’analisi e della riformulazione dei contenuti politici del partito alla luce della DSC, specie in vista di poter offrire un apporto significativo da parte dei cattolici in quanto cristiani, rispetto ai grandi problemi della società contemporanea, sia sul piano europeo sia sul piano mondiale.[8]

Ciò, invece, ha dato l’impressione, presso i credenti che, per i cattolici, impegnati in politica, non si diano congiunzioni con la loro vita in Cristo, con le radici della loro esperienza credente del mistero di Cristo. Diventa, allora, inevitabile porsi l’interrogativo: davvero il nesso tra la loro fede e la vita politica non suscita l’impulso incomprimibile ad una rivoluzione d’amore rispetto all’esistente, peraltro bisognoso di profonde trasformazioni e riforme?

Ecco un punto cruciale per i credenti rispetto alla DSC. Questa diviene strumento di una nuova società, di una nuova politica e di una nuova democraziase suscita un discernimento continuo che coinvolge, con il riferimento al Verbo che si fa carne, i vari soggetti ecclesiali, anche i credenti impegnati in politica. L’esperienza credente del mistero totale della redenzione di Cristo sostiene le coscienze dei battezzati, dei cresimati e degli eucaristizzati con un Amore pieno di verità. Non solo le inquieta ma, simultaneamente, le rende capaci di quella profezia che declina nella cultura contemporanea ciò che è specifico del cristianesimo, in modo che si presenti ragionevole e praticabile anche per chi non crede.

A questo punto, diviene più chiara una delle ragioni per cui è stato scritto il volume che qui si presenta. Si tratta di una motivazione, evidentemente, propedeutica ad una lettura intera di esso, non a morsi e a bocconi. Essa, inoltre, è fondamentale nel ribadire che per i credenti la loro vita quotidiana non può essere separata dalla fede, quasi che ci possa essere un’esistenza non unitaria, profondamente lacerata.

Il presente volume, nei suoi vari capitoli, si ripromette di mostrare, in particolare, la via che, percorrendola, consente sia di superare l’esiziale frattura tra fede e vita, condannata dai vari pontefici, sia di comprendere che la DSC non è una realtà esterna rispetto alla fede vissuta, ossia ad una fede incarnata, bensì un discernimento sociale, un sapere sapienziale, una progettualità – bisognosa di varie incarnazioni culturali e sociali – che erompono da una esistenza che vive Cristo, come diceva san Paolo. E, quindi, plasmata dallo Spirito d’amore del Verbo, che si fa carne per redimere, divinizzare l’umanità, le sue relazioni con il creato.

In breve, la DSC è espressione innanzitutto di un’esperienza credente, ricca di fede e di amore. Mentre viene accolta, celebrata e sperimentata, essa è sorretta, in quanto scienza, da un’ampia cultura teologica ed umanista, da sintesi culturali che sempre si rinnovano.

Frutto dell’esperienza dell’evento che è Gesù Cristo, che si incarna e redime l’umanità nella sua integralità, mediante la sua morte e risurrezione, infonde in tutte le attività umane il suo Amore redimente e trasfigurante.

Nell’Eucaristia che celebrano, i credenti si uniscono a Cristo, come scrive papa Francesco nell’enciclica Dilexit nos (=DN), che «è il cuore del mondo»! «La sua Pasqua di morte e risurrezione è il centro della storia, che grazie a Lui è storia di salvezza». Tutte le persone, tutte le creature del mondo che attraverso le persone partecipano – mediante i sacramenti, specie mediante l’Eucaristia -, all’Incarnazione, morte e risurrezione del Verbo che si fa umanità, avanzano «verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto» (DN n. 31).

Vivendo l’esperienza credente del mistero eucaristico, memoriale dell’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, che ricapitola in sé tutte le cose, i credenti scorgono nella sua redenzione integrale le radici più profonde dell’evangelizzazione del sociale, dell’umanizzazione più piena delle persone, delle relazioni interpersonali e comunitarie, non escluse quelle della vita politica e democratica. L’evangelizzazione e la DSC che essi mutuano, in certa maniera, dalla partecipazione al mistero della salvezza integrale di Cristo, sono realtà che derivano dall’esperienza di fede dell’Amore di Cristo, che li sollecita a prolungare la sua opera di trasfigurazione e ricapitolazione di tutte le cose nell’Uomo celeste (cf 1 Cor15, 45-49), sia quelle della terra sia quelle del cielo.

In conclusione, se la DSC fosse considerata come un qualcosa di aprioristico, come una dottrina che è calata da un iperuranio platonico e a sé stante, e che dovrebbe essere ricevuta passivamente è evidente che sarebbe preclusa la via della sua ricezione da parte di persone libere e responsabili. Se la DSC fosse realmente una dottrina tutta precostituita, tutta preconfezionata, e non un sapere teorico pratico, composto con l’approfondimento razionale dei dati di fede (depositum fidei), e inoltre con l’aiuto di più apporti del sapere umano, avrebbero ragione coloro che la rifiutano perché non lascerebbe libera la ricerca della verità.

A coloro che reputano la DSC, come si è detto sopra, ha cercato di rispondere qualche tempo fa lo stesso Papa Leone XIV. Egli ha già provvidenzialmente avuto modo di parlare sulla DSC e di prendere posizione verso sue talune visioni distorte o di quasi indifferenza in uno dei suoi primi pronunciamenti, ovvero nel Discorso ai Membri della Fondazione Centesimus annus Pro Pontifice del 17 maggio 2025.[9]

In un contesto di relativismo gnoseologico ed etico, la DSC è chiamata, secondo Leone XIV, ad offrire il suo apporto specifico in quanto disciplina, ossia in quanto sapere teorico-pratico sapienziale, che appartiene all’ambito della teologia morale sociale e che si caratterizza, tra le altre scienze, per una propria ministerialità, a servizio del Regno di Dio, implicante la rigenerazione del discorso antropologico ed etico sul piano socioculturale. Essa, in particolare, con l’ausilio di varie scienze teologiche ed umane, offre quelle indicazioni che sono necessarie alla costruzione di una vita sociale effettivamente ordinata a Cristo, al compimento umano in Dio, senza nulla togliere alla sua sana autonomia terrena, anzi potenziandola, rendendola più sé stessa nel suo ordine naturale, ossia anche in quell’ordine che è pensato e voluto da Dio stesso creatore.[10]

A detta di Leone XIV, la DSC rappresenterebbe una scienza che fornisce chiavi interpretative che pongono in dialogo varie scienze, molteplici saperi, e la coscienza cristiana, la quale non esclude, anzi include, la coscienza umana, perfezionandola.[11] A quale fine?

Al fine di dare – entro un contesto culturale caratterizzato da linguaggi ambigui e ambivalenti, virtuali –[12] un contributo fondamentale alla conoscenza, alla speranza, alla pace e, in definitiva, come già accennato, alla realizzazione del Regno di Dio.

Da queste prospettive, evocate da Leone XIV, viene a noi la conferma che la DSC non è un sapere dedotto da premesse astratte e, quindi, non è imposto dall’alto, come non pochi oggi pensano. Nemmeno è una dottrina elaborata attenendosi unicamente ad una mera ripetizione del revelatum, su ciò che di fatto è stato rivelato, senza che la ragione possa studiare, illuminare la parola di Dio – non in sé stessa, perché la parola di Dio è autosufficiente, ma nello spirito degli uomini -, per disporli ad accogliere la fede.  La DSC essendo appartenente alla teologia morale sociale, è una scienza religiosa fondata soprattutto sulla parola di Dio, ma non solo. Essa si avvale, come sopra accennato, dell’apporto di altre scienze teologiche, di altre scienze umane. Si avvale dell’apporto della ragione teologica e della ragione umana, nei suoi vari gradi di sapere, e quindi si avvale anche dei risultati di quella ricerca comune che pongono in atto gli uomini quanto alla verità, al bene, a Dio.

Ecco perché si può dire che la DSC è un sapere interdisciplinare, in un contesto di transdisciplinarità, che è quello della teologia morale sociale, di un sapere più propriamente teorico-pratico-pratico.

  1. La catechesi secondo elemento del titolo

 Sappiamo che la Catechesi è espressione ed approfondimento dell’evangelizzazione, la quale, come già detto, è anche evangelizzazione del sociale.  Proprio perché la Catechesi è tale – espressione ed approfondimento di una evangelizzazione comprensiva della dimensione sociale della fede -, essa è educazione ad una fede non solo conosciuta ma anche vissuta, incarnata, ossia educazione ad una fede, si dice, adulta. In vista di ciò, la catechesi è chiamata a connettersi con la DSC. Questa la aiuta a educare i credenti, piccoli e grandi che siano, ad una fede che non si limita a nutrire l’intelligenza, a coltivare lo spirito, ma che aiuta a vivere concretamente l’amore di Cristo nelle varie situazioni della vita quotidiana, mediante una spiritualità incarnata.

Questo vuol dire che la catechesi delle nostre comunità e dell’associazionismo cattolico è chiamata, mentre educa alla fede, a educare anche alla DSC.

 Non è sufficiente far conoscere la DSC, elemento essenziale di una evangelizzazione piena.

Occorre educare ad essa, avviare ad un practicum di vita, perché solo così si può essere cristiani più adulti nella fede, uomini più completi, capaci di collaborare alla realizzazione della nuova creazione posta in atto da Gesù Cristo con la sua incarnazione e la redenzione. Previe a tutto ciò, ovviamente, sono l’alfabetizzazione, l’istruzione e la formazione.

Da ricerche non recenti, ma che riferiscono di una situazione non lontana da quella attuale, risulta che la DSC non è abitualmente valorizzata, se non in piccola parte, o in maniera saltuaria, dai catechisti.[13] Questi erano stati invitati a farlo già nel Catechismo della Chiesa Cattolica.[14] Il nuovo Direttorio per la catechesi,[15] sollecita i catechisti a prendere coscienza circa il rapporto fede e scienza, fede e ragione, a educare al discernimento relativamente all’intelligenza artificiale e alle neuroscienze che pongono domande filosofiche ed etiche rilevanti; a tenere presente che il digitale si sta imponendo come una nuova cultura. Se internet e le reti sociali creano una straordinaria opportunità di comunicazione, dialogo, incontro e scambio tra le persone, di estensione ed arricchimento delle capacità cognitive dell’uomo, bisogna, tuttavia, riconoscere che l’«ambiente digitale» è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza.[16] I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, di essere esposti alla diffusione di informazioni e notizie false. L’effetto della esponenziale digitalizzazione della comunicazione e della società porta ad una vera trasformazione antropologica,[17] a questioni educative che hanno a che fare con una cultura segnata spesso dall’immediatezza, dall’istante e dalla debolezza della memoria, suscitando una mancanza di prospettive e di un quadro d’insieme. I catechisti, pertanto, devono tener conto che le nuove generazioni non sempre sono formate e culturalmente attrezzate per affrontare le sfide che la società digitale presenta. Diventa urgente l’educazione ai media.

Ma qual è la situazione del rapporto Catechesi e DSC nelle nostre comunità ed associazioni in questi ultimi anni? Bisogna riconoscere che generalmente parlando, negli ultimi tempi, specie dopo le encicliche Laudato sì e Fratelli tuttidi papa Francesco, sembrano cresciute di più la sensibilità e l’impegno nei confronti della DSC da parte dell’associazionismo cattolico. A ciò ha dato un qualche impulso anche l’urgenza di dover affrontare le sfide globali come: l’accentuarsi dell’ascesa di nuove potenze globali al crescente ruolo economico-politico delle multinazionali tecnologiche, le minacce del riscaldamento globale, le problematiche poste dai flussi migratori, come anche il minaccioso profilarsi di una terza guerra mondiale a pezzi, concretizzatasi con l’invasione russa in Ucraina e la guerra tra Israele ed Hamas. Ulteriori incentivi sono venuti sia dall’indizione dell’anno giubilare 2025 con la bolla di papa Francesco Spes non confundit, che ha sollecitato alla conversione, alla remissione dei debiti economici ed ecologici, alla costruzione della pace mediante istituzioni di pace sia dalla sensibilizzazione prodotta dalla partecipazione delle comunità e delle associazioni laicali al cammino sinodale, specie a livello nazionale.

Ma la cosa che va rilevata, e che, purtroppo, ci offre una descrizione meno confortante della situazione nel rapporto tra Catechesi e DSC, è la pochezza della catechesi degli adulti nelle comunità cristiane. Le parrocchie investono ancora, rispetto alla catechesi rivolta agli adulti, nella catechesi dei fanciulli, dei ragazzi e, sia pure di meno, dei giovani. È senz’altro encomiabile il fatto che vari ragazzi del post-cresima accedono, assieme specialmente a mamme generose, al servizio della catechesi. Non è, però, difficile comprendere come essendo piuttosto carente la presenza di persone adulte nella Catechesi, e adeguatamente preparate nella DSC, la Chiesa si trovi con un laicato docente – sia anche nei corsi di religione nella scuola pubblica e privata, sia nello stesso associazionismo chiamato a collaborare sempre più spesso con enti laicisti – non sempre debitamente preparato. E ciò con conseguenze inevitabilmente non soddisfacenti nell’ambito della Pastorale sociale. Questa, come si può constatare in diverse Diocesi, si è impoverita sia quanto agli incaricati, sia all’articolazione dei suoi settori, sia ai momenti di formazione e di animazione spirituale e culturale

 

  1. La scarsità della presenza nella catechesi dell’insegnamento sociale – terzo elemento del titolo -, impoverisce la Pastorale sociale

Come già affermato, la evangelizzazione delle comunità ecclesiali, giacché non è coltivata adeguatamente la dimensione sociale della fede, può non essere realizzata come evangelizzazione plenaria. Un riflesso analogo si è registrato nei documenti del cammino sinodale, nei quali si è lamentata di vari capitoli della DSC.[18] La scarsa attenzione alla dimensione sociale della fede ha via via provocato l’esiguità e il rimpicciolimento della Pastorale sociale,[19] rispetto, peraltro, alla crescita della dimensione e della complessità dei problemi culturali e sciali contemporanei, sia per la sempre crescente carenza di presbiteri disponibili per la relativa pastorale sia per la diminuzione di un laicato formato.

In una fase di scristianizzazione avanzata, in cui i credenti appaiono, rispetto al passato, un «piccolo gregge», sempre più sproporzionato all’irrinunciabile compito dell’evangelizzazione della cultura, la rivitalizzazione del trinomio Catechesi, DSC, PS potrebbe riportare verso il recupero di valori civili e sociali che aiuterebbero a guardare in avanti, verso un futuro di speranza.[20] Se per un verso va vinta l’ansia di contare e di contarsi, per i credenti non può venire meno la passione di innestare lo stile di Gesù nel quotidiano, prima di tutto con la testimonianza della vita, e poi «pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza» (cf 1 Pt 3,15), che è la Pasqua del Signore Gesù.

L’affermazione di S. Ireneo che «l’uomo vivente è la gloria di Dio» e la profonda verità che l’esistenza del cristiano è insieme liturgia della vita e vita nella liturgia presentano, con inci­siva efficacia, un’ulteriore ragione dell’incontro fra Catechesi, DSC, PS.  Senza l’interazione tra Cate­chesi, DSC e PS la vita della comunità cristiana, chiamata a vivere il servizio sociale dell’incarnazione dell’Amore e a farne un’offerta gradi­ta al Padre, risulterebbe svigorita e depauperata. La «ricapitolazione» dell’ordine temporale in Cristo avverrebbe con minor slancio e competenza etico-religiosa. La vita sacramentale dei credenti rischierebbe, in molti casi, il mero ritualismo.

Come il servizio dell’evangelizzazione è compito di tutta la Chiesa, così la PS è compito di tutta la Chiesa, secondo modalità, funzioni e competenze diverse. L’eredità preziosa lasciata dal Concilio Vati­cano II, messa in luce dal Sinodo dei vescovi del 1985, è anche questa: la Chiesa è ascolto e accoglienza della Parola di Dio, è comunione (koinonia), è annuncio (kerigma), è liturgia, è tutto questo per essere servizio (diakonia), per essere – si può aggiungere, esplicitando ulteriormente il discorso -, PS.[21]

La PS è, quindi, frutto ed espressione della Chiesa-comunione, della sua missione. È «mediazione» della salvezza di Cristo per tutte le realtà umane. È servizio della Chiesa al socia­le. Per questo, obiettivo principale della PS è l’esercizio, efficace ed efficiente, è la testimonianza del servizio ecclesiale nelle e per le realtà sociali, in vista della loro trasfigurazione, ossia della loro umanizzazione mediante un’esistenza vissuta in comunione con Dio. Obiettivo intermedio, invece, è la formazione del cristiano maturo, capace di scoprire e vivere la propria vocazione al servizio, armonizzando fede e impegno nelle realtà sociali.

La PS, servizio ecclesiale per il sociale, è dovere-diritto della Chiesa: dei laici, dei vescovi, dei sacerdoti e dei religiosi.[22] Ebbene, proprio come esercizio della carità di Cristo nell’ambito del sociale, la PS non può rinunciare alla DSC e alla Catechesi, al loro abbraccio, al loro agire sinergico all’interno dell’evangelizzazione, perché esse sono, secondo la loro specifici­tà, finalisticamente orientate a favorire e a porre in atto il servizio della Chiesa al mondo, al sociale.

Tutto questo significa investire sull’interazione ed integrazione delle varie pastorali. La PS non può vigoreggiare senza l’evangelizzazione del sociale, senza l’educazione alla fede adulta mediante la Catechesi, specie la catechesi degli adulti.

  1. Conclusione

Se si accresce la separazione tra la fede e la vita e non si coltiva l’esperienza di fede del mistero intero dell’Incarnazione, morte e risurrezione, si corre il rischio dell’irrilevanza del cristianesimo, di non credere davvero nell’Incarnazione di Cristo e sul suo essere presente nella storia mentre continua la sua nuova creazione, convocando tutti i battezzati. Tra le file dei cattolici finisce per serpeggiare lo scetticismo sulla loro vocazione al sociale e sulla loro stessa identità.

Vi sono in noi e nell’odierna cultura fluida numerosi ostacoli che impediscono di vivere cuore a cuore con Cristo, il grande Sogno di Dio sull’umanità. Serve umiltà, conversione dalle idolatrie, per riscoprirci popolo chiamato al servizio e alla solidarietà, alla fraternità. Serve una sana capacità di riflessione e di silenzio. Abbiamo bisogno di luoghi in cui rifugiarci dalla tirannia dell’urgente, dell’artefatto. Soprattutto abbiamo bisogno della vita sacramentale, in particolare l’Eucaristia, la preghiera, di ascoltare i suggerimenti dello Spirito; di coltivare il dialogo in una comunità accogliente, missionaria, che inviti a sognare. Solo così sapremo leggere i segni dei tempi e scegliere strade di speranza, di pace, per il bene di tutti.

+ Mario Toso

 

 

 

[1] Cf M. Toso, Gioia e speranza. Evangelizzazione, catechesi e insegnamento sociale, Edizioni delle Grazie, Faenza 2025.

[2] Cf GIovanni xxiii, Mater et magistra, n. 206.

[3]Cf Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Direttorio per la catechesi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020. Secondo il nuovo Direttorio il richiamo a una «nuova evangelizzazione non coincide tanto con una dimensione temporale, quanto con il rendere tutti i momenti del processo dell’evangelizzazione ancora più aperti all’azione rinnovatrice dello Spirito del Risorto. Le sfide che i nuovi tempi lanciano alla Chiesa si possono affrontare in un primo luogo con un dinamismo di rinnovamento; e, allo stesso modo, questo dinamismo è possibile mantenendo una decisa fiducia nello Spirito Santo: “Non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento”» (n. 39).

[4] Cf Documento preparatorio della 50a Settimana Sociale Dei Cattolici In Italia, Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo , Trieste 3-7 luglio 2024.

[5] Cf E. Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi Editore, Roma 2024; C. Rhodes, Il capitalismo Woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi Editore, Torino 2023; R. Prodi- M. Giannini, Il dovere della speranza: le guerre, il disordine mondiale, la crisi dell’Europa e i dilemmi dell’Italia, Rizzoli, Milano 2024; F. Fornaro, Una democrazia senza popolo, Bollati Boringhieri, Torino 2025; M. Toso, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 20252.

[6] Su questi scenari può essere utile leggere il saggio di C. COTTARELLI, La verità sulle sfide economiche e sociali del nostro futuro, Mondadori, Milano 2025.

[7] Vi sono studiosi o studiose che come la sociologa Chiara Saraceno, assolutizzando il metodo epistemologico della propria disciplina giungono ad affermare che la famiglia, contrariamente a quanto afferma la stessa Costituzione italiana, non è una società naturale (cf C. Saraceno, La famiglia naturale non esiste, Laterza, Bari-Roma 2025.

[8] In proposito basti leggere C. Cottarelli, All’inferno e ritorno. Per la nostra rinascita sociale ed economica, Feltrinelli, Milano 2022.

[9] Cf Leone xiv, Discorso ai Membri della Fondazione Centesimus annus Pro Pontifice, 17 maggio 2025.

[10] Cf M. Toso, La dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata della dottrina sociale della Chiesa, LAS, Roma 2023, p. 71.

[11] Cf Leone xiv, Discorso ai Membri della Fondazione Centesimus annus Pro Pontifice, 17 maggio 2025.

[12] Sull’intelligenza artificiale e l’intelligenza umana si legga Dicastero per la dottrina della fede-dicastero per la cultura e l’educazione, Antiqua et nova, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2025; P. Benanti, L’uomo è un algoritmo? Libri Castelvecchi 2025.

[13] Anche il Direttorio generale per la catechesi lamenta una scarsa rilevanza della DSC nei contenuti della catechesi (cf Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi n. 30, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 33). Sull’interscambio che, secondo l’appena citato Direttorio, dev’esserci tra catechesi e DSC, si legga R. Lazaro Recalde, Doctrina social de la Iglesia y catequesis in «Corintios XIII» 87 (Julio-Septiembre 1998) 289-298. Un interessante sussidio per la catechesi sociale è stato preparato congiuntamente dall’Ufficio Catechistico Nazionale e dall’Ufficio per i problemi sociale e il lavoro: Catechesi per l’impegno sociale. I capitoli 28-29-30 del Catechismo degli adulti «La verità vi farà liberi».

[14] Per un primo sguardo sulla presenza della DSC nel Catechismo della Chiesa Cattolica si veda J. Mejia, Il cate­chismo della Chiesa cattolica e l’insegnamento sociale in «La Società» 3 (1993) 483-490.

[15] Cf Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Direttorio per la catechesi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020. Secondo il nuovo Direttorio il richiamo a una «nuova evangelizzazione non coincide tanto con una dimensione temporale, quanto con il rendere tutti i momenti del processo dell’evangelizzazione ancora più aperti all’azione rinnovatrice dello Spirito del Risorto. Le sfide che i nuovi tempi lanciano alla Chiesa si possono affrontare in un primo luogo con un dinamismo di rinnovamento; e, allo stesso modo, questo dinamismo è possibile mantenendo una decisa fiducia nello Spirito Santo: “Non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento”» (n. 39).

[16] Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, La Chiesa e Internet. Etica in Internet, EDB, Bologna 2002.

[17] Su questo si legga: Dicastero per la dottrina della fede-dicastero per la cultura e l’educazione, Antiqua et nova, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2025; P. Benanti, L’uomo è un algoritmo? Libri Castelvecchi 2025; ID. Tecnologia per l’uomo. Cura e innovazione, Edizioni san Paolo, Milano 2021.

[18] All’interno del contesto del Cammino sinodale italiano, S. Ecc. Mons. Erio Castellucci, uno dei vicepresidenti della CEI, si è espresso con queste precise parole: «Considerando i documenti pervenuti in questi tre anni, è agevole notare sbilanciamenti e assenze tematiche. Non c’è quasi alcuna attenzione all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, ad esempio, così come mancano alcuni capitoli della dottrina sociale della Chiesa e interi ambiti della pastorale» (E. Castellucci, Verso la fase profetica del Cammino sinodale – 21.05.2024. Cf pure. ID., Sinodo italiano verso la fase profetica. Cammino di popolo in «Il Regno-Documenti», 11/2024, p. 365. Nel novembre seguente, nella Relazione introduttiva alla prima Assemblea del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, sempre sua Ecc. Mons. Erio Castellucci ha ricordato che «occorre gettare dei ponti tra le case e le aule, tra le strade e le biblioteche, tra la fede e la vita (15 novembre 2024)».

[19] Su questo si rinvia a M. Toso, Nuova evangelizzazione del sociale, Diocesi di Faenza-Modigliana, Faenza 2023.

[20] Rispetto ai suddetti valori sociali e civili, l’Europa vive oggi una profonda crisi che, a detta dello storico francese Emmanuel Todd, la sta conducendo alla deriva. L’Occidente – che è stato culla di una grande civiltà – appare indebolito, avviato all’autodistruzione, a causa del declinodemografico, delle strutture familiari, della scomparsa della religione e del trionfo del nichilismo in ogni aspetto della vita sociale. Dopo l’eventuale pace che sarà siglata tra Ucraina e Russia, l’Europa vedrà più lucidamente lo stato del proprio sfacelo, la sconfitta della propria civiltà in frantumi (cf La sconfitta dell’Occidente, Fazi Editore, Roma 2024). Tutto questo avverrà, a patto che non vi sia un sussulto dei popoli europei, una loro mobilitazione più convinta, più seria, e, quindi, più pensata, più preparata anche dal basso, con la partecipazione delle società civili, delle comunità religiose, della cultura, dei parlamenti. Non sarebbe inutile in ordine ad una rinascita spirituale, economica, politica e cultura una Camaldoli Europea.

[21] Dal titolo della relazione finale del Sinodo straordinario dei vescovi (1985), a vent’anni dal Concilio vaticano II, appare che la riflessione dei padri conciliari è stata, in certo modo, in funzione della Gaudium et spes: «La Chiesa nella Parola di Dio celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mondo» (cf Il Sinodo straordinario a vent’anni dal Concilio, EDB, Bologna 1985).

[22] Cf Formazione alla pastorale sociale degli aspiranti al sacerdozio, pp, 57-58.