Modigliana, Suore agostiniane 28 agosto 2025.
Care suore agostiniane, cari fratelli e sorelle, gioiamo nel Signore perché egli ha donato, e continua a dare alla sua Chiesa, santi meravigliosi, pastori esemplari, come sant’Agostino, vescovo. Pensando a questo grande testimone, la cui freschezza spirituale papa Leone XIV ci sta facendo rivivere con continui riferimenti ai suoi scritti, ricchi di sapienza e di intelligenza, non possiamo che apprezzarne la viva attualità. Inquieto, appassionato, non ha temuto di porsi le domande più radicali sul male, sull’identità, sulla libertà, sulla morte. Oltre che maestro di vita interiore è da considerare un valido compagno di viaggio. Pensare a sant’Agostino equivale ad incontrare una persona affascinata da Gesù Cristo, che la madre Monica gli fece conoscere fin da piccolo. Nonostante il suo itinerario spirituale tortuoso, Agostino confessa di aver sempre amato Gesù, ma di essersi allontanato sempre più dalla fede ecclesiale, dalla pratica ecclesiale, come succede anche oggi per molti giovani. Tuttavia, nel profondo del suo cuore, rimase sempre la convinzione che non poteva vivere senza Dio. Così, seguendo i manichei del suo tempo, si costruì una religione per conto suo, ossia una religione totalmente razionale, a misura d’uomo, che componeva amore di Gesù Cristo e razionalismo. La conoscenza di personalità influenti del mondo manicheo gli consentì, fra l’altro, di fare carriera e di giungere a Milano, dove risiedeva la corte imperiale. A Milano prese l’abitudine di ascoltare le bellissime prediche del vescovo Ambrogio che l’affascinò non solo con la sua retorica ma soprattutto con la sua rilettura dell’Antico Testamento, quale cammino che prepara a Gesù Cristo. La conversione al cristianesimo, in età adulta, si collocò al culmine di un tormentato itinerario interiore, dopo la rilettura della sacra Scrittura, che prima disprezzava. Dopo il Battesimo, ricevuto da Ambrogio, decise di rientrare in Africa e si stabilì ad Ippona, dove fondò un monastero. Con alcuni compagni condivise la vita monastica, dividendo il suo tempo tra la preghiera, lo studio e la predicazione. Fu ordinato presbitero nel 391 e quattro anni dopo fu consacrato vescovo, giungendo a circa 35 anni di episcopato.
Agostino che, come già accennato, aveva abbandonato la fede cattolica appresa dalla mamma, perché non riusciva a vederne la ragionevolezza e non voleva una religione che non fosse anche per lui espressione della ragione, cioè della verità, nel tempo della vita monastica giunse a trovare tra fede e ragione un equilibrio tale da non elidere nessuno dei due poli. Fede e ragione, secondo il santo di Ippona, sono due dimensioni che non si devono separare né contrapporre. Esse, piuttosto, devono sempre andare insieme. Sono le due forze che ci portano a conoscere meglio Gesù Cristo: una giova all’altra, e viceversa. Il credere apre la strada per varcare la porta della verità: credi per comprendere, crede ut intelligas; inseparabilmente, intellige ut credas, comprendi per credere, ossia scruta la verità per poter trovare Dio e credere.
Su queste premesse Agostino praticò la sua riflessione teologica, avente un metodo assunto successivamente anche da san Domenico di Guzmán, da san Tommaso d’Aquino. Quest’ultimo prese la definizione della teologia proprio da sant’Agostino. Che cos’è per sant’Agostino la teologia? Non è una domanda inutile per noi che ci riteniamo missionari e siamo chiamati ad esserlo.
È una scienza interamente consacrata a studiare, illuminare, confermare la Parola di Dio, non in sé stessa, perché la Parola di Dio è autosufficiente, ma nello spirito degli uomini, per disporli ad accogliere la fede. La teologia tomista non ha dunque inteso far altro che riprendere l’opera di sant’Agostino. E, in definitiva, sia Agostino sia Tommaso d’Aquino intendevano far comprendere ai loro contemporanei, come dobbiamo farlo noi ai nostri, che la fede non è qualcosa di irrazionale, di contrario alla ragione. Non è una realtà che coarta la nostra ragione, la nostra libertà. Quello che la fede ci propone a credere è accessibile alle nostre facoltà intellettuali, spirituali. È ragionevole. E ciò perché Dio con la sua rivelazione si rivolge esattamente alla persona umana in quanto soggetto capace di cogliere quanto Dio stesso le propone. Se nella rivelazione vi sono contenuti, come ad esempio l’esistenza della Trinità, che non sono del tutto a noi accessibili, ciò non è perché sono irrazionali, ma semmai sovrarazionali. Alle persone è data la capacità di conoscere Dio perché Dio stesso creandole le ha dotate di una tale attitudine. È guardando dentro a noi stessi, nel nostro intimo, le nostre facoltà intellettive e volitive, che scopriamo la presenza di Dio in noi. Per questo Agostino sollecitava a non uscire da noi stessi, bensì ad entrare nel nostro mondo interiore ove abita la verità. Il Signore ci ha fatti per Lui e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Lui. La lontananza di Dio equivale alla lontananza da se stessi. Tu, riconosce Agostino, eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta. Tu eri davanti a me – aggiunge in un altro passo ricordando il tempo antecedente la conversione – tu eri davanti a me, e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo. E ancora meno ritrovavo te (Confessioni V, 2,2).
Verso la fine della vita, anche se vecchio e stanco, restò sulla breccia con la preghiera e la meditazione. Parlava della «vecchiaia del mondo» e si riferiva alla decadenza del mondo romano. Nella vecchiaia, diceva, i malanni abbondano: tosse, catarro, cisposità, ansietà, sfinimento. Ma se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane. E allora il suo invito: «Non rifiutare di ringiovanire unito a Cristo, anche nel mondo vecchio. Egli ti dice: Non temere, la tua gioventù si rinnoverà come quella dell’aquila» (Sermoni 81,8).
+ Mario Toso