SAN DOMENICO DI GUZMÁN
Faenza, Ara Crucis 8 agosto 2025
Care Suore domenicane dell’Ara crucis, cari fratelli e sorelle,
sono lieto di essere qui per celebrare con voi la solennità di san Domenico, fondatore dell’Ordine dei frati predicatori. Nato in Spagna, frequentò corsi regolari di arti liberali e teologia a Palencia, per dieci anni. Qui venne a contatto con le miserie causate dalle continue guerre e con le conseguenti carestie. Domenico, durante una di tali carestie vendette quanto in suo possesso, incluse le sue preziose pergamene, per dare da mangiare ai poveri, affermando: «Come posso studiare su pelli morte, mentre tanti miei fratelli muoiono di fame»?
Terminati gli studi, all’età di 24 anni, entrò tra i canonici regolari della cattedrale di Osma. Qui venne consacrato sacerdote dal vescovo Martino di Bazan, che stava riformando il capitolo secondo la regola agostiniana, con l’aiuto di Diego d’Acebo, che fu eletto vescovo nel 1201, e nominò Domenico sottopriore. In un viaggio a Roma (1206) chiesero Innocenzo III di potersi dedicare all’evangelizzazione dei pagani. Ma papa Innocenzo orientò il loro zelo missionario verso la predicazione nella Francia meridionale, la regione dove erano più attivi i Catari. Successivamente Domenico maturò l’idea di costituire un Ordine, avente come finalità la predicazione. Ma Innocenzo III non accettò il progetto, perché temeva che la moltiplicazione di nuovi Ordini creasse nella Chiesa una certa confusione. Non per questo Domenico desistette. Si adeguò al suggerimento del pontefice e sceglie per i suoi frati la regola di sant’Agostino. Con Onorio III, successore di Innocenzo III, Domenico ottenne un riconoscimento indiretto. Infatti, in un rescritto pontificio si riconobbe la vita comune dei frati predicatori come religio. In questo tempo, in cui Domenico disperde i suoi frati mandandoli a Parigi, in Spagna e a Bologna, comprese più chiaramente, rispetto all’inizio della sua vita, come la conversione degli eretici richiedesse, con la povertà, la preparazione culturale, lo studio. Dopo l’approvazione esplicita del suo Ordine, Domenico si dedica ad una predicazione intensa in Lombardia. Gradualmente la sua opera viene coronata dal sorgere di diverse comunità, tra le quali quella di Brescia, Piacenza, Parma e Faenza.
In questa celebrazione Eucaristica, poggiandomi sulla Parola di Dio che abbiamo ascoltato, mi preme sottolineare come nei luoghi di studio dei frati domenicani si è via via coltivato un metodo di approfondimento del mistero intero di Cristo – incarnato, morto e risorto -, che fu proprio di Agostino, e che è ancora oggi di estrema attualità. Non pochi reputano, infatti, che ciò che è rivelato sia relativo solo allo spirito o sia irrazionale, contrario alla ragione umana e alla libertà degli uomini. In realtà, si tratta di un metodo di riflessione, di una scienza, interamente consacrata a studiare, illuminare, confermare la parola di Dio – intesa nella sua pienezza -, non in sé stessa, perché la parola di Dio è autosufficiente, ma nello spirito degli uomini, per disporli ad accogliere la fede. Tale metodo di fare teologia, che fu di Agostino, fu anche di san Domenico e in specie di san Tommaso d’Aquino, anch’egli domenicano, uno dei più grandi teologi della Chiesa.
Cosa abbiamo sentito dal profeta Isaia e da san Paolo? Isaia afferma che il messaggero di buone notizie annuncia la salvezza. Il messaggero, i cui piedi sui monti sono belli, dice a Sion: «Regna il tuo Dio», il Signore consola il suo popolo, riscatta Gerusalemme ridotta in rovine, e fa vedere a tutti i confini della terra la sua rinascita (cf Is 52, 7-10).
Soprattutto san Paolo ci fa capire che il compito del missionario e del vero teologo non è quello di annunciare il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza umana. Il compito del missionario fonda la persuasività del suo discorso sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza. Il missionario usa sì la sapienza, ma non quella umana. Adopera la sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria (cf 1 Cor 2, 1-10). Chi segue Gesù e lo ascolta, dà il primato a Dio, rispetto a tutto il resto. Dà il primato al Regno di Dio: lo accoglie, lo vive. Lo antepone al padre e alla madre, ai propri morti, ai vari impegni e responsabilità. Il che non significa disprezzare il padre e la madre, il lavoro, l’educazione, ma vivere tutte queste realtà alla luce del primato di Dio, amando Dio sopra ogni cosa, con tutto il proprio cuore. «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro – dice il Signore Gesù – è adatto per il Regno di Dio» (Lc 9, 62). Nessuno annuncia, celebra, vive con verità ed autenticità il Regno di Dio, se non ama il Padre, il Figlio, lo Spirito santo come il proprio tutto, il proprio Bene Sommo.
Come ha scritto papa Leone al Maestro dell’Ordine dei Predicatori, mentre il Capitolo generale dei Priori Provinciali era riunito a Cracovia, dal 17 luglio sino ad oggi 8 agosto, i figli di san Domenico sono chiamati a vivere la loro vocazione sempre più pienamente come predicatori contemplativi. Solo così possono continuare a vivere la loro missione nel cuore della Chiesa. Solo così possono proclamare la Buona Novella in mezzo alle specifiche sfide di oggi, indirizzando meglio le varie forme di predicazione a quattro pubblici: coloro che non conoscono ancora Gesù, i fedeli cristiani, coloro che si sono allontanati dalla Chiesa, e i giovani che si trovano in queste rispettive situazioni. Studiare, dando il primato alla Parola di Dio, è un atto di amore e di speranza. Un tale studio non è solo addestramento della mente, ma è soprattutto trasformazione del cuore. È vivere, al più alto livello, un amore pieno di verità. È un allenarsi alla rivoluzione dell’amore di Dio, che non stabilizza le persone, le relazioni, le istituzioni sulla difensiva, ma le trasfigura, proiettandole verso un futuro di meravigliosa speranza, configurando gradualmente il Regno di Dio. Padre Domenico Galluzzi ci accompagni nel nostro gioioso pellegrinaggio.
+ Mario Toso