Inaugura martedì 18 dicembre alle ore 11 la mostra di disegni e manufatti ceramici realizzati degli alunni della scuola di ceramica Ballardini sul tema del presepe.
Presepi in mostra al Liceo Torricelli
Inaugura martedì 18 dicembre alle ore 11 la mostra di disegni e manufatti ceramici realizzati degli alunni della scuola di ceramica Ballardini sul tema del presepe.
Cari fratelli e sorelle, la Parola di Dio, tratta dal libro della Genesi (Gen 3, 9-15.20), ci parla del peccato che si è introdotto nella storia dell’umanità. Avvenne agli inizi, con Adamo ed Eva, ma continua ancora oggi. Si tratta di un inganno macchinato dal nemico di Dio, da Satana, raffigurato dal serpente che parla alla donna ed induce a disobbedire al comando del Creatore. Ecco il punto nodale. L’umanità, nell’unità duale di uomo e donna, creata da Dio per amore, per vivere in piena armonia con Lui, si allontana dal Padre e flirta con chi porta divisione in essa, nonché confusione e perdita di coscienza della propria identità, quella di figli di Dio. Ma distaccandosi da Dio non si sa più chi si è, per chi si è. Viene meno il senso profondo della vita.
La solennità dell’Immacolata è per la Chiesa intera l’occasione per festeggiare in Maria di Nazareth l’umanità che finalmente risponde all’amore di Dio e non delude alle sue attese. Celebrare l’Immacolata è onorare ed amare la Madre del Redentore, di una nuova umanità. È comprendere che, come Lei, ognuno di noi, uomo o donna, giovane o anziano, siamo chiamati a metterci a disposizione di Dio, per consentire a suo Figlio Gesù, di diventare cuore del mondo, amore incarnato del Padre.
Come Maria immacolata, accogliamo, dunque, con fede Gesù e con amore doniamolo al mondo, perché ogni persona possa amare e servire Dio col cuore di Cristo.
Ma, chiediamoci, davvero noi oggi desideriamo donare al mondo un’umanità nuova, davvero lavoriamo per un nuovo rinascimento, per una nuova primavera, come la Madre di Gesù?
Non è, forse, che spesso ci mimetizziamo dietro proposte culturali e politiche che nulla hanno da spartire con i valori umani ed evangelici e che, anzi, sono in aperta contraddizione con l’insegnamento di Gesù Cristo? E, poi, non è vero che spesso siamo persone timorose, che rinunciano ad un annuncio gioioso e coraggioso di Gesù agli altri per paura di essere tacciati come retrogradi, portatori di una perniciosa superstizione? Così, già nei primi secoli veniva bollato il cristianesimo. Alle volte, poi, non sembriamo, a fronte delle sfide odierne, quali l’individualismo libertario e la cultura fluida del mondo digitale che ostacola la percezione della propria identità,truppe in ritirata che non sanno affrontare i problemi, senza credere di avere un proprio apporto originale da offrire, proponendo una visione di persona ad immagine di Dio, fatta per il dono? Non raramente i credenti generano la sensazione di essere un popolo di rassegnati, incapaci di reagire all’emarginazione prodotta da parte di culture materialistiche, tecnocratiche, chiuse alla trascendenza. Essi danno l’impressione di essere incapaci di portare la speranza ad un mondo in balia del non senso.
Ma chiediamoci anche: siamo, davvero, membra vive della comunità ecclesiale? Perché questa domanda? Perché emerge che in non poche occasioni, adulti e giovani, abbracciamo la nostra fede in maniera quasi consumistica, tenendola per noi, ripiegandoci nella coltivazione della nostra serenità interiore, pensando solo al nostro benessere spirituale, senza preoccuparci della salvezza integrale degli altri? Non è vero, forse, che ponendoci di fronte all’Immacolata preghiamo solo per la nostra famiglia, per noi stessi e non pensiamo che dobbiamo pregarla e supplicarla per il mondo intero? Ricordiamoci che non ci salviamo da soli. È importante che anche le nostre comunità ed associazioni siano redente e trasfigurate. Dobbiamo, poi, vigilare per non essere soprafatti dalla psicologia della tomba, che poco a poco ci trasforma in portatori di un pessimismo sterile, capaci di vedere solo rovine e guai attorno a noi. Il Figlio di Dio, regalatoci dal Padre e dalla Vergine Maria Immacolata, ci sollecita a superare la sfiducia permanente nelle persone, la paura dell’altro, gli atteggiamenti meramente difensivi, per diventare umanità sempre più capace di accoglienza, di convivialità, di servizio al bene comune. Maria Immacolata ci mostra un’umanità che ricerca gli interessi di Dio, desidera innalzare la civiltà dell’amore. Si presenta a noi come un persona umile, ma non per nulla rassegnata di fronte al male, all’idolatria e alla ingiustizia. Appare determinata nel collaborare con Dio, nel costruire il nuovo popolo di Dio, che è la Chiesa. Mentre avanziamo incontro a Dio che viene, guardiamo a Maria che «brilla come segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino» (Lumen gentium, n. 68). La Vergine dell’ascolto e della contemplazione, la Madre dell’Amore, la serva del Signore (cf Lc 1, 26-38), interceda per tutti noi, per la sua Chiesa, perché non sia popolo delle catacombe e non si fermi mai nell’instaurare il Regno di Dio.
In questa Eucaristia preghiamo per coloro che questa notte sono morti nella discoteca di Corigliano in provincia di Ancona. Preghiamo perché i nostri giovani non solo possano andare in discoteche sicure ma anche nelle loro comunità religiose per onorare Maria Immacolata, «Vergine Madre, Figlia di suo Figlio, umile ed alta più che creatura» (Dante, Paradiso XXXIII, 1-3).
+ Mario Toso
Il 6 dicembre 2018 Mons. Vescovo ha nominato il Rev.do Don Verdiano Foschini Assistente religioso ospedaliero presso il Presidio ospedaliero di Faenza e Cappellano della Parrocchia di S. Pier Damiano in S. Maria ad nives (conosciuta a Faenza come “S. Maria vecchia”).
In quanto cappellano, don Foschini si dedicherà in modo stabile alla cura spirituale e pastorale dei fedeli, senza occuparsi della gestione amministrativa della parrocchia. I parrocchiani avranno nuovamente un prete di riferimento, dopo che la morte di mons. Roberto Brunato li aveva privati del loro pastore.
Il 7 dicembre 2018 Mons. Vescovo ha nominato il fedele laico Cesare Missiroli Vice Incaricato del Settore Catechesi per le persone con disabilità. In questo modo, all’interno del settore pastorale diocesano che si occupa della catechesi e della trasmissione della fede a bambini, ragazzi, adulti, sarà presente anche una persona espressamente dedicata alle persone con disabilità.
Cesare Missiroli ha conseguito il diploma di Massaggiatore-MassoFisioTerapista e Titolo Equivalente alla Laurea in Fisioterapista; è iscritto all’Albo della Federazione Nazionale dei Collegi dei MassoFisioTerapisti. È membro della Commissione per la catechesi della disabilità presso l’Ufficio catechistico nazionale CEI e presidente dell’associazione Autismo Faenza ONLUS.
Intervengono:
Partecipazione straordinaria di Giona Dapporto.
Presso Faventia Sales – Aula 4 (Via S. Giovanni Bosco 1, Faenza).
Serata a cura di Caritas diocesana e Pastorale missionaria.
+ Mario Toso
Cari fratelli e sorelle, ieri nella solennità di tutti i santi abbiamo riflettuto su quello che siamo: siamo una grande e sconfinata comunione. Formiamo la comunione dei santi del cielo e della terra. E ciò grazie a Cristo, del quale facciamo parte, formando il Corpo mistico che è la Chiesa. Venendo a celebrare l’Eucaristia qui, nel cimitero, come Chiesa viviamo l’affetto delle comunità cristiane per i defunti, per coloro che dormono il sonno della pace, in attesa della risurrezione del corpo.
La comunità ecclesiale genera, mediante il battesimo e la Confermazione, e con tutti gli altri sacramenti, nuovi figli per la famiglia di Dio. Si tratta di una moltitudine sconfinata di credenti di ogni nazione, razza e lingua (cf Ap 7,9), che formano un unico popolo, composto: da coloro che sono già giunti, secondo anche l’immagine di sant’Agostino, nella città santa, la Gerusalemme celeste, ove esultano alla presenza di Dio Padre e del Figlio Risorto e Glorioso; da quelli che attendono di entrare in essa dopo la purificazione dei peccati; e da tutti noi, pellegrini sulla terra. Una grande teoria di persone che attraversano i tempi e gli spazi per stabilizzarsi nella esultante comunità dell’Amore della famiglia di Dio, la Trinità.
La Chiesa, che è madre, coi suoi figli pellegrini su questa terra, si reca in questi giorni, in maniera comunitaria, presso i cimiteri o i dormitori, ove sono custodite e venerate le spoglie mortali di tanti fratelli e sorelle che sono vissuti e vivono in comunione con noi e le cui anime – come dice la Scrittura – «già sono nelle mani di Dio» (cf Sap 3,1).
In questa Chiesa e in questo cimitero, cari fratelli e sorelle, siamo venuti per onorare e ricordare i nostri defunti con una preghiera collettiva. Qui compiamo ed offriamo atti di fede, di speranza e di carità. Qui professiamo la nostra fede: «il terzo giorno Gesù è risuscitato, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine». Qui pronunciamo: «aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Qui viviamo l’amore di Cristo che è venuto per essere nostro cibo e viatico nel cammino verso la intramontabile luce di Dio, per aiutarci a trasfigurare la terra che attraversiamo, per sconfiggere la morte, e per trasferirci, resi immortali, nel suo Regno di amore.
Con una partecipazione corale al sacrificio eucaristico, possiamo intercedere per la loro salvezza eterna e, ancora una volta, sperimentare la più profonda comunione tra noi, che siamo in questo mondo e coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede, in attesa di ritrovarci insieme. Saremo ancora, sia pure in maniera diversa, chiesa domestica unita alla grande famiglia di Dio. Grazie a Gesù Cristo, il pontefice massimo che unisce la sponda della mortalità con quella dell’immortalità – Egli è Uomo-Dio – le nostre suppliche e preghiere possono giungere ai nostri cari. Nella santa Messa, in cui facciamo memoria della morte e risurrezione di Cristo, assumendo la medicina di immortalità che è Cristo stesso, viviamo nei confronti dei nostri defunti non solo una tenerezza individuale, personale. Grazie a Cristo, che ci unisce nel suo Corpo, viviamo una tenerezza comunitaria: ossia la tenerezza di un popolo; una tenerezza ampliata, senza confini, perché vissuta in quella di Dio Padre, Figlio e Spirito santo. Mediante l’Eucaristia viviamo un amore non semplicemente umano ma divino.
Celebrando il sacrificio eucaristico non onoriamo da soli i defunti. Tutta la Chiesa, assieme a noi, fa giungere ai defunti il suo affetto e la sua solidarietà. Che mistero! Che consolazione! Che fortuna per noi cristiani. Anche se noi ci dimenticassimo dei nostri defunti, la Madre, che è la Chiesa, che a differenza dei suoi figli terreni non diviene arteriosclerotica, continuerà, sino alla fine dei tempi, a pregare per i defunti, senza fine. In un mondo in cui le persone sono diminuite nella loro dignità, sono scartate e quasi rimosse da prepotenti gesti di autoaffermazione solitaria, è davvero rasserenante pensare che continueremo ad essere ricordati e, in un certo senso, tenuti sulle ginocchia di quel popolo che Dio ha costituito come comunione, famiglia.
L’Eucaristia è un momento unico, che ci fa sperimentare nei confronti dei nostri parenti defunti una commozione e un’empatia collettive e senza pari. Tutti ricordiamo non solo i defunti della nostra singola famiglia, bensì tutti i defunti. Siamo riconoscenti a tutti i defunti, perché grazie ad essi siamo stati resi partecipi della comunità cristiana, la comunità che comprende tutti i popoli della terra, e in cui ognuno di noi è stato accolto e cresce. Lo sappiamo: non possiamo crescere da soli nella fede. La nostra fede cresce nella comunità, con la comunità, ossia grazie al dono di una comunione più ampia di quella semplicemente famigliare. Noi cresciamo come credenti in una comunione di persone, che è tale grazie alla nostra comunione con Cristo.
Davanti ai resti mortali dei nostri parenti è naturale che ci invada, con le lacrime, un mondo di emozioni, sentimenti d’affetto. Ricordiamo il loro amore per noi, le cure di cui ci hanno circondato, il bene che ci hanno voluto per farci crescere capaci di vero, di dono e di Dio. In un modo simile, le nostre comunità qui rappresentate, davanti a tutti i defunti si inteneriscono, provano riconoscenza per coloro che hanno piantato il Vangelo nelle nostre vite e nelle nostre comunità. Siamo grati a tutti i nostri fratelli defunti per averci aiutati a crescere come popolo ove la vocazione di servire le persone e Dio è un distintivo divino. Le preghiere per i nostri defunti rivolte a Cristo ci facciano crescere sempre di più nella comunione dei santi. Il ricordo dei nostri defunti ci restituisca alle nostre famiglie e alle nostre comunità cristiane orgogliosi e rinfrancati per aver sperimentato, ancora una volta, la forza potente della comunione dei santi, comunione tra noi e con Cristo. Tramite tale comunione possiamo beneficare i nostri defunti ed essere, a nostra volta, beneficati da loro. Maria, Madre della Chiesa, della comunione tra noi e con Cristo, ci protegga e ci accompagni nel nostro cammino verso la città santa, la nuova Gerusalemme.
+ Mario Toso
Celebriamo oggi con grande gioia la solennità di Tutti i Santi. La Chiesa ci appare come un «giardino», in cui lo Spirito di Dio, con mirabile fantasia, ha suscitato una moltitudine di santi e sante di ogni lingua, popolo e cultura, di ogni età e condizione sociale. Ognuno è diverso dall’altro, con l’unica e irripetibile singolarità della propria personalità umana e del proprio carisma spirituale. Tutti, però, recano impresso il «sigillo» di Gesù (cf Ap 7,3), che è l’impronta del suo amore, testimoniato attraverso la Croce. Il sigillo comune ci fa intravedere l’unità che li collega tra di loro.
Oggi, infatti, celebriamo la festa dei molti santi, non tanto considerandoli come mere individualità, come atomi impreziositi da Dio. Facciamo la festa della Chiesa intera, Chiesa come insieme di credenti: di quelli che sono già nella città santa, la Gerusalemme celeste; di quelli che attendono di entrarvi mediante la purificazione; di quelli che, come noi, sono ancora pellegrini sulla terra. Oggi è la festa della Chiesa come unica famiglia, soprattutto come comunione di persone, perché parte di Cristo, del suo Corpo mistico, che le unisce in un unico popolo.
È festa della riconoscenza. Siamo in festa non tanto per i nostri meriti, bensì grazie all’amore che Dio nutre per noi. E, quindi, non è una festa di autocompiacimento. È, bensì, momento di rendimento di grazie, di gioia esultante, perché abbiamo Dio come Padre. Un Dio che ci ama perdutamente, che ci associa alla pienezza della sua eterna felicità, destinandoci a partecipare alla sua vita senza fine.
In definitiva, non si tratta di fare festa perché siamo persone diligenti e buone. Anche per questo, certamente. Ma siamo gioiosi e festanti, soprattutto perché persone amate, perché unite da una relazionalità profonda, perché costituite comunione di popolo: un popolo nuovo nel mondo, che cammina verso il futuro, che è l’Amore della Comunità trinitaria.
Il ricordo di tutti i santi, infine, lo celebriamo sperimentando un grande desiderio di bene, di vita immacolata nell’amore. I santi contemplati suscitano il desiderio intenso di essere simili a loro, persone totalmente pervase dalla luce di Dio. Ci spronano ad essere dinamici.
La festa odierna non è, dunque, semplice fruizione, di gioia fine a se stessa, per persone che si fermano nella beatitudine di un momento. È festa che mette in cammino, sospinge ad accelerare il passo nella costruzione di un mondo migliore, ad essere attivi contemplando, guardando in profondità e in avanti. Essere santi significa, certamente, vivere nella vicinanza di Dio, nella sua luce, vivere nella sua famiglia, ascoltare il Signore Gesù, ma significa in particolare seguirlo, camminare dietro a Lui, con Lui, senza perdersi d’animo di fronte alle difficoltà, alla Croce. È imboccare la strada delle beatitudini (cf Mt 5, 3-10). È percorrere la via che è Cristo. È Lui, infatti, il vero povero in spirito, l’afflitto, il mite, l’affamato ed assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l’operatore di pace. È Lui il perseguitato a causa della giustizia.
La nostra gioia di essere popolo di Dio, pertanto, sarà più grande se ci percepiremo come credenti attivi e responsabili, lievito nel nostro territorio, gente di fede che incide nei rapporti, nelle famiglie, nelle istituzioni, perché capaci di incarnare l’umanità nuova portataci da Cristo, il Beato per eccellenza.
Rispetto al compito di trasfigurare la vita sociale, di rendere più fraterne e giuste le relazioni, ciascuno di noi dovrebbe rattristarsi se non vi riuscissimo. Il divenire insignificanti e irrilevanti rispetto al bene comune dovrebbe farci arrossire, non perché punti nell’orgoglio, ma perché, in definitiva, non saremmo degni di essere membra vive del Corpo di Cristo. Dovrebbe allora inquietarci la parola di Cristo stesso, il quale stigmatizzò il sale insipido, che non insaporisce e a null’altro serve se non ad essere gettato via.
È, dunque, nella coincidenza con la solennità di tutti i santi, che si è deciso di rendere noti gli Orientamenti pastorali per l’anno 2018-2019, non a caso aventi per titolo: Popolo in cammino verso Dio. Nei brevi orientamenti, stilati dal vescovo e che i vostri parroci vi illustreranno, si sollecita la nostra Diocesi a fissare lo sguardo su Cristo incarnato, oltre che su Cristo Risorto. Egli è il Signore che vive in noi, nelle nostre comunità, e le sottopone al parto di una nuova umanità, alla nascita di una nuova tradizione di santità nella letizia.
Il popolo pellegrino, che noi siamo, è allora chiamato a trasfigurare la terra che attraversa, mentre si incammina verso Dio. Come anche cercano di far capire gli Orientamenti, la santità non dev’essere solo delle singole persone. Per diffondere il Regno di Dio in maniera efficace, è necessario essere soprattutto un popolo santo, che avanza nell’insieme delle sue componenti, con un cuore solo ed un’anima sola, per una stessa missione. Per servire meglio il mondo, dobbiamo vivere la gioia di sentirci popolo, popolo che immette nelle vene dell’umanità la linfa vivificante e divinizzante delle beatitudini. La santità, che siamo chiamati a vivere, è santità collettiva e comunitaria, ossia di popolo interamente missionario, inclusivo dei giovani.
È proprio per questo che stiamo celebrando il Sinodo dei giovani.
Vivendo e testimoniando una santità comunitaria, sarà più facile affrontare le sfide che ci attendono. Saremo maggiormente in grado di esprimere una formazione permanente sia dei presbiteri sia dei fedeli laici, al fine di poter disporre di validi catechisti e catechiste, di docenti di religione preparati dal punto di vista non solo professionale, ma anche relazionale e didattico. Saremo anche più capaci di rinnovare la pastorale vocazionale e giovanile, nonché quella familiare. Ricordiamo che papa Francesco, nell’udienza del mercoledì in cui ha ricevuto anche i nostri cresimati, ha sollecitato ad istituire un catecumenato per i fidanzati. Ed, inoltre, saremo più impegnati nella pastorale sociale, scolastica, della comunicazione. I nostri credenti, diventando adulti, potranno così testimoniare una fede viva, pensata, generante una cultura cristiana, che li aiuterà ad essere luce splendente, a rendere efficacemente ragione della speranza che vive in loro.
Lungo il cammino, il vigore sarà dato dal Pane che viene dal cielo e che Gesù stesso ha spezzato nella sosta di Emmaus. Lo spezzare il pane è il gesto liturgico originale, che ci fa riconoscere come comunità che, mentre fa memoria della Pasqua, è costituita nel mondo fonte di una profonda rivoluzione morale e spirituale.
Nella celebrazione eucaristica che stiamo vivendo, accresceremo la gioia di essere popolo in comunione. Rinfrancati dalla comunione con Cristo e tra di noi, domani commemoreremo tutti i fedeli defunti. La comunione nel Corpo mistico di Cristo ci consente di far giungere il nostro suffragio a coloro che ci hanno generati alla vita e alla fede con tanto amore.
+ Mario Toso

Siamo giunti ad un momento importante per la nostra Diocesi di Faenza-Modigliana: la riapertura della Biblioteca del Seminario Card. Gaetano Cicognani, che è la Biblioteca non pubblica più grande della Regione Emilia-Romagna. Per un’istituzione culturale e formativa quale è il Seminario della Diocesi, la Biblioteca è un polo imprescindibile. Il polo principale è costituito dalla Cappella ove è offerto il cibo spirituale, il pane celeste. La biblioteca offre alle persone un cibo prettamente culturale.La riapertura della Biblioteca, che è stata e sarà anche al servizio del territorio, rappresenta il ripristino di uno dei pilastri della formazione e dell’educazione cristiane programmate normalmente nella Diocesi, nelle parrocchie, nelle associazioni. La Biblioteca non è solo un patrimonio librario che conserva insigni testimonianze culturali e sociali della tradizione cristiana – tradizione religiosa e sociale -, di altre tradizioni, della letteratura in genere, della riflessione teologica, filosofica, sociologica, della sapienza umana, ma è luogo in cui, mediante ricerca, conoscenza approfondita e critica delle fonti, si entra in relazione, per quanto a noi possibile, con lo spirito e l’ethos di varie civiltà. Entrando nel cuore della storia di diverse generazioni si ha l’opportunità di arricchire il proprio pensiero, le nostre informazioni, l’umanesimo che ci appartiene e che vuole essere espressione di un impegno costante di crescita morale, spirituale e culturale, procedendo in avanti.
Ci saranno, però, altre occasioni per parlare sull’incidenza e sulla rilevanza di una Biblioteca rispetto al popolo di Dio e alla sua missione, al territorio.
Qui mi limito a ringraziare tutti coloro che, a cominciare da don Michele Morandi, Rettore di questo Seminario, don Ugo Facchini bibliotecario, Giovanni Gardini vicebibliotecario, hanno creduto nel progetto della riapertura. Un tale progetto ha importato dedizione su più fronti, quello della sicurezza, delle risorse economiche, della catalogazione, del reperimento del personale, per tenerla aperta non solo ai Seminaristi ma anche al pubblico, non solo di giorno, ma fino ad ora tarda per facilitare gli studenti che in città non possono usufruire di altri luoghi di studio. E, inoltre, auspico che la nostra Biblioteca non solo sia sempre più aggiornata per l’acquisizione di nuovi studi, collane, ma anche sia sempre più inserita nella rete delle biblioteche ecclesiastiche e civili, sul piano nazionale ed internazionale. L’obiettivo dev’essere quello di sviluppare un’istituzione moderna, rispondente alle esigenze attuali, concretizzando una felice sintesi tra la biblioteca tradizionale – concepita come luogo di consultazione e conservazione di testi a stampa – e la biblioteca elettronica, che non è ubicata fisicamente in un solo luogo, ma è un insieme di risorse dislocate in diverse istituzioni ed organizzazioni, disponibili in rete ventiquattro ore su ventiquattro.
La costituzione di una biblioteca che armonizza le prestazioni usuali con quelle più aggiornate, come l’organizzazione di eventi culturali, di circoli-laboratori di nuovo pensiero e di nuove esperienze di vita, facilita lo studio e la promozione dello spessore culturale delle persone; consente una migliore distribuzione e diffusione di beni culturali che prima erano meno accessibili; potenzia la collaborazione e lo scambio con altre biblioteche, con i centri culturali e le università del mondo. Un’«utopia» potrebbe essere, rimanendo però su un piano locale, in modo analogo alla rete che si va istituendo tra Curia e parrocchie, l’istituzione di una rete tra la Biblioteca del Seminario e le bibliotechine delle parrocchie e delle associazioni con sede nelle varie unità pastorali, nei centri delle varie istituzioni culturali. Naturalmente tutto ciò significa – ecco un altro impegno – coinvolgimento e preparazione di persone interessate a questo progetto.
+ Mario Toso