Archivi della categoria: Ultime dalla diocesi

È morto don Antonio Taroni

Lutto nel presbiterio diocesano

Lunedì 4 marzo è deceduto mons. Antonio Taroni, canonico penitenziere della cattedrale di Faenza e incaricato diocesano per il settore catechesi. Le esequie saranno celebrate venerdì 8 marzo alle ore 9.30 in cattedrale (il giorno precedente sarà possibile visitare la salma nell’obitorio dell’ospedale civile di Faenza). Gli ultimi anni del suo ministero sono stati segnati da un intenso servizio come confessore e guida spirituale, nonostante i ricorrenti ricoveri ospedalieri.


Incontro di preghiera per animatori: profilo dell’animatore

Russi, 1 marzo 2019

  1. Premessa

Care giovani animatrici ed animatori, benvenuti in questa Chiesa dedicata alla Madonna dei sette dolori. Questa sera riceverete un mandato, come lo ricevettero i discepoli del brano evangelico che avete ascoltato (cf Mt 28, 16-20). Sentivi, pertanto, scelti per un  grande impegno: essere per gli altri, specie per i ragazzi e le ragazze che incontrerete la prossima estate nei campi dei Grest, dei Cre, ma non solo. Con essi, per essi vivrete un’esperienza di servizio. Sarete Chiesa giovane per i più piccoli, per farli divertire, pregare, rendendoli più capaci di fare il bene. Questa sera ci fermeremo a fare alcune riflessioni sulla figura dell’animatore. Dapprima tenteremo di dire cosa non è l’animatore, ossia lo definiremo per via negativa. In un secondo momento ne parleremo definendolo positivamente.

  1. Il profilo dell’animatore

 

  • Partiamo da cosa non è

L’animatore non è l’animatore di un villaggio turistico, con il compito di intrattenere e coinvolgere gli ospiti in attività di gioco, di divertimento, di ginnastica, semplicemente per rendere il soggiorno più piacevole.

L’animatore non è nemmeno colui che occupa il proprio tempo in attività del tempo libero con lo scopo di raggranellare dei soldini, per vivere più dignitosamente.

Non è uno alla ricerca della propria autorealizzazione, quanto piuttosto si sente impegnato a far crescere gli altri umanamente e cristianamente.

Non è una persona spenta, sbiadita, demotivata, cupa, semmai uno che è appassionato e amante della vita, colmo di gioia che contagia.

Non è una persona che accentra tutto su di sé e considera i ragazzi e le ragazze come persone da selezionare e legare a sé, rendendole quasi una sua proprietà, funzionali alla sua felicità.

  • Definizioni positive dell’animatore

L’animatore è:

  • una persona che desidera donarsi, impegnarsi, perché i più piccoli possano crescere gioiosi e divenire, a loro volta, capaci di dono, gioiosi. Pertanto, è uno che sa accogliere, coinvolgere, fa giocare, organizza varie attività, responsabilizza, crea un ambiente sereno, di amicizia, famigliare.
  • una persona che sa operare insieme ad altri, sa fare squadra con gli altri animatori. Tutti insieme gli animatori condividono sogni, un progetto, uno Spirito: vivono assieme il più possibile, organizzano le giornate, ne verificano lo svolgimento, si riservano momenti di preghiera e di riflessione, di incontro vero con Gesù il Signore, per offrirsi a Lui, per mettersi a sua disposizione con entusiasmo, sull’esempio di Colei che all’invito dell’angelo rispose con un «Eccomi!».
  • una persona che si coltiva, si prepara, vuole essere «professionale», anche nell’organizzare un gioco, nell’arbitrare, nel comunicare. È fedele alla parola data, sa relazionarsi con le famiglie, con la parrocchia. Non ama la mediocrità, non fa sconti immotivati sull’impegno. Sa correggere in bel modo, senza offendere, senza scoraggiare, bensì spronando.
  • una persona che sente di avere delle responsabilità È cosciente che gli sono affidate altre persone che devono crescere nella libertà, nella fraternità, nell’amicizia, nella fede.
  • Ha il senso dell’appartenenza alla propria comunità parrocchiale e civile. Sente il dovere di agire a nome e per conto di essa.
  • Sa essere persona di speranza, che ha sempre fiducia nei ragazzi, anche quelli che sembrano meno dotati per questa o quell’altra attività o disciplina. Sa scorgere le doti positive di ognuno e mette ciascuno in condizione di svilupparle.
  • Non perde il contatto con Colui che lo manda, e lo ama colmando ognuno del suo amore perché ne diventi annunciatore, dispensatore.
  • Coltiva il metodo educativo preventivo – si tratta di un metodo che non è repressivo, ossia che fa ricorso alle punizioni, bensì crea le condizioni affinché i ragazzi non siano attratti dal male ma dalla bellezza del bene -, come quello di don Bosco, stando in mezzo ai giovani, con simpatia, ascoltando quanto i ragazzi confidano, chiedono, impegnandoli intensamente. Non raramente i ragazzi e le ragazze che si ha l’opportunità di incontrare provengono da famiglie che non hanno sempre il tempo per l’ascolto, per dare quelle risposte che i ragazzi si attendono. L’animatore è colui che può darle, specie se è un educatore preparato.
  • Si impegna a comunicare il suo affetto, con amorevolezza, senza essere appiccicaticcio. Don Bosco soleva ripetere che non basta amare i giovani. Occorre che loro si accorgano di essere amati. Il suo metodo, non a caso, poggiava sul trinomio: ragione, religione, amorevolezza. Un tale trinomio va rivalutato e reinterpretato proprio nell’attuale contesto socio-culturale che tende ad emarginare la ragione pensante. Oggi domina, infatti, la ragione calcolante, strumentale, mentre dovrebbe vigoreggiare una ragione riflessiva, sapienziale.
  • Ricerca quel punto accessibile al bene che c’è in ogni ragazzo, anche il più irrequieto e monello. Facendo leva su quel punto si guadagna la fiducia dei ragazzi. Per questa via don Bosco ha saputo trasformare dei giovani sfaccendati, volgari e rissosi in giovani apostoli.

Cari giovani, molti di voi non sono alla prima esperienza. Hanno già partecipato a dei Grest o a dei Cre. Altri di voi è la prima volta che si impegnano a diventare animatori. Questo, a dire il vero,  è il terzo incontro formativo. Forse, lo riconoscete anche voi, è troppo poco. Però, da qui all’estate c’è ancora tempo per continuare la preparazione, per pregare. Fatevi aiutare dai vostri formatori e anche dai vostri parroci. Il Signore Gesù vi accompagni. Sappiatelo incontrare nell’Eucaristia, nel sacramento della riconciliazione. Diventate sempre più innamorati di Gesù Cristo. Solo così riuscirete ad innamorare i vostri ragazzi di Lui.

+ Mario Toso

San Pier Damiani 2019: assemblea diocesana

Faenza, Basilica cattedrale 21 febbraio 2019

Benvenuti a questo momento ecclesiale di incontro e di riflessione anzitutto sulla figura di san Pier Damiani e, poi, sul Report che è il risultato di una preparazione voluta per accompagnare l’indizione e la celebrazione del Sinodo diocesano dei giovani. Abbiamo ritenuto che questo 21 febbraio, giorno della nascita al cielo di san Pier Damiani, fosse il più indicato per la presentazione e la consegna di tale Report sulla condizione giovanile nel ravennate e nella nostra Diocesi!

Si tratta di un momento vertice per il Sinodo dei giovani: Sinodo della Chiesa locale con i giovani, per i giovani. Come appena detto verrà presentato e consegnato, in particolare, il Report avente come titolo Prove di sintonia. Giovani e Chiesa in un’interpretazione sinodale (libreria universitaria.it edizioni, Limena 2019). Esso raccoglie i risultati dell’indagine condotta dall’Istituto Universitario Salesiano di Venezia con l’aiuto dei nostri responsabili della pastorale vocazionale e giovanile e degli stessi giovani della Diocesi, specie nei momenti di focus group. Dall’indagine, strutturata come specifica fase di ascolto, attraverso tre azioni di ricerca (survey telefonico, focus group, questionario a campionatura), è derivato il suddetto Report, che avrete fra poco tra mano. Esso non è riducibile a mero ed asettico studio sociologico. È qualcosa di più. Infatti, si tratta di un lavoro ministeriale agli obiettivi del Sinodo, che nasce dalla sollecitudine pastorale della nostra Chiesa di Faenza-Modigliana. E ciò a partire dall’urgenza del rinnovamento dell’approccio ai giovani, al fine di  responsabilizzarli nell’essere Chiesa per i giovani, giovani per i giovani. Proprio per questo non va accolto come uno strumento qualsiasi, che riguarda genericamente più diocesi. Esso riguarda la nostra, in specie. Va accolto, dunque, come una testimonianza di vita ecclesiale, colta nei suoi aspetti positivi ma anche in quelli critici. Non va considerato una mera descrizione del dato di fatto, ma anche delle esigenze e delle opportunità di  evangelizzazione e di riorganizzazione delle pastorali vocazionale e giovanile. Pertanto, il Report non va preso in consegna per essere riposto nella piccola biblioteca parrocchiale o di famiglia per abbellire l’ambiente. Esso va tenuto sul proprio tavolo di lavoro. Va spesso consultato, letto in gruppo, studiato, presentato e spiegato ai catechisti, agli animatori, ai formatori, ai responsabili delle associazioni, aggregazioni. Va, in certo modo, seminato e incarnato nel territorio. Cari giovani, dovete, allora, utilizzarlo come uno strumento di lavoro pastorale e pedagogico, per rendere il vostro compito di costruttori della Chiesa e della società più appropriato, commisurato alla stessa realtà dei giovani, ai bisogni delle famiglie, delle comunità parrocchiali, delle associazioni, degli Uffici pastorali diocesani, degli Oratori.

Desidero fin d’ora ringraziare tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno collaborato alla realizzazione dell’indagine, sino alla stampa del volume, che appare agile e fruibile. In fondo al volume vi è un elenco delle persone che meritano un ringraziamento particolare, ma questa è anche l’occasione per ringraziare tutti, senza dimenticare nessuno, per la partecipazione appassionata e convinta.

 

Ho detto poco fa che la presentazione del Report è stata voluta in coincidenza con l’anniversario della morte di san Pier Damiani. Infatti vi sono più ragioni che ci inducono a farlo. Ne ricordo due. Anzitutto, perché non solo fu un grande protagonista del rinnovamento della Chiesa dei suoi tempi, mediante l’organizzazione e la promozione della vita eremitica, fondando nuovi eremi e monasteri nelle Marche, nell’Umbria, nella Toscana e nella nostra Romagna. Ai suoi occhi il monachesimo ordinario appariva come un minimum, una via larga. Al contrario, l’eremitismo rappresentava per lui la via stretta e difficile, a cui allude il Vangelo. In secondo luogo, perché in lui la vocazione alla vita di solitudine, avente come obiettivo l’accrescimento del desiderio di Dio – l’eremita, al dire dello stesso san Pier Damiani, punta a diventare intimo di Cristo, ad accoglierlo nella sua cella, a tendere sempre di più verso di Lui – gradualmente sfocia nell’amore per la Chiesa, in un impegno assiduo per renderla più bella e santa, luce del mondo. E così, lui eremita, divenne anche iniziatore e promotore di un potente movimento di riforma della vita dei vescovi, del clero, oltre che dei christifideles laici. Detto altrimenti,la crescita spirituale, guadagnata nell’eremo lo aprì all’amore per la Chiesa, lo fece sentire Chiesa, parte di essa. Egli, eremita, amante della vita solitaria, sentì in sé un apparente contradditorio impulso ad interessarsi della vita della Chiesa, il cui popolo vive seminato nei villaggi, nelle città. E così intraprese lunghi viaggi, entrò nelle curie, nelle corti imperiali, nelle metropoli ove pulsava la vita commerciale e politica del suo tempo.

Per amore della sua Chiesa, seppur tra ripensamenti, accetta la nomina a cardinale vescovo di Ostia, compie diverse missioni di pace, di ricomposizione della comunione di città, vescovi, imperatori con la Sede di Pietro. San Pier Damiani, dunque, non si limitò a condurre una vita di preghiera e di penitenza nella solitudine, per assecondare la sua inclinazione mistica.

Obbedendo al Papa, che lo chiamava a servire la Chiesa fuori dall’eremo e a dirimere importanti questioni ecclesiali e civili, ci insegnò la via della pienezza della vocazione cristiana. Questa non consiste solo nel rimanere statici in ciò che ci è più congeniale e scegliamo all’inizio della nostra giovinezza. Nella vita cristiana occorre essere disponibili ad andare ove Dio chiama, ad obbedire ai successori degli apostoli. Ci può essere, cioè, il momento in cui, anche attraverso il discernimento ecclesiale, occorre essere pronti a partire, a far “esodo”, a uscire dalla propria terra di elezione, come fece Abramo, nostro padre nella fede.

 

Cari giovani sinodali, ecco allora un grande insegnamento che deriva dalla riflessione sulla vocazione e sulla vita di san Pier Damiani. Urgenze della storia e chiamata ecclesiale, sono le coordinate di una vocazione autentica, che superano i nostri gusti personali, le nostre inclinazioni prime. Spesso siamo concentrati sulla crescita del nostro «io», sull’autorealizzazione. La maturità cristiana passa, invece, attraverso l’essere disponibili a servire Cristo anche là ove uno non avrebbe mai pensato di andare. In linea con quanto detto potrebbe essere che il vescovo di una diocesi convochi e, mediante responsabilizzazione, invii dei giovani ben preparati in missione, in una parrocchia diversa dalla propria, a svolgere il ministero del catechista.

San Pier Damiani non rimane ancorato alla forma della vocazione coltivata agli inizi, facendola diventare un assoluto: o così o niente. Obbedisce al successore di Pietro, ossia papa Stefano IX – al papa era stato consigliato di far leva sul punto debole di Pier Damiani: l’obbedienza -, senza peraltro rinnegare la sua vocazione monastica primigenia: diventa attivo rimanendo, però, interiormente contemplativo, lì ove era chiamato.

Benedetto XVI scrisse che san Pier Damiani è stato uno dei più grandi riformatori della Chiesa: “egli si consumò, con lucida coerenza e grande severità, per la riforma della Chiesa del suo tempo”. Le parole di papa Benedetto ci fanno comprendere che la prima grande riforma, è avvenuta in lui stesso. Ha accettato come uomo e come monaco cristiano, attraverso l’obbedienza alla chiamata del Signore, a «riformarsi», ad accogliere dalle mani del Signore una «nuova forma» di vita.

 

Tutti noi, giovani, adulti, anziani, religiosi e religiose, diaconi e presbiteri, abbiamo bisogno di uscire da noi stessi, dai nostri particolarismi, dalle nostre presunte “missioni”, per il bene della Chiesa.

Abbiamo bisogno di metterci in profondo ascolto della volontà del Signore. Questa sera lo stiamo facendo. Mediante il Sinodo cerchiamo di capirla e di accoglierla, per vedere la direzione della missione, del cambiamento che ci indica Cristo, che è Verbo incarnato per essere la nostra Via e Verità.

 

Il suo Spirito d’amore ci porterà, allora, in direzioni nuove e sconosciute, forse non scelte all’inizio del nostro impegno ecclesiale. L’importante è che siano scelte in comunione con la Chiesa, con Gesù Cristo. Accogliamo con amore Lui, l’unica via di una piena maturità umana e di una conversione alla vera riforma personale ed ecclesiale. Conformiamoci a Cristo, l’uomo nuovo, l’uomo che donandosi fino alla morte inaugura la grande riforma dell’umanità e della storia.

 

Non è, forse, così la vita di ogni uomo e donna che accoglie un figlio, che cerca un lavoro, che fatica, che gioisce, e affronta le belle e brutte sorprese della vita? Esse sono la mano provvidente del Padre che cura i suoi figli per farli crescere secondo la piena maturità di Cristo. Le sfide storiche e gli orientamenti ecclesiali, che emergeranno alla conclusione del Sinodo saranno la mano del Padre che ci condurrà, come ha fatto con Pier Damiani, alla piena maturità umana e cristiana. Ad essa aneliamo intimamente, anche se non sempre coscientemente.

Concludiamo con una breve preghiera: «San Pier Damiani, intercedi per noi. Insegnaci a desiderare la gioia piena. Vivendo in  piena comunione con Cristo e la sua Chiesa affrontiamo le sfide del nostro tempo alla luce del Vangelo perché diventino vie della nuova evangelizzazione della nostra Comunità ecclesiale di Faenza-Modigliana».

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliana

Anniversario dell’istituto salesiano Rainerum a Bolzano

Chiesa di san Domenico, Bolzano 9 febbraio 2019

Caro sig. Ispettore don Igino Biffi, caro Direttore don Ivan Ghidina, cari confratelli, personale docente, educatori e giovani, la celebrazione degli 80 anni di presenza dei salesiani a Bolzano presso l’Istituto Salesiano Maria Ausiliatrice-Rainerum Salesiani Don Bosco è l’occasione per ringraziare Dio Padre per il bene compiuto grazie al suo aiuto in questo territorio. È l’occasione, inoltre, per riflettere sul prezioso tesoro di santità e sul prodigio di pedagogia che è san Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani. In teatro, di fronte a salesiani che in passato hanno operato in questa istituzione e agli ex-allievi, abbiamo già assistito alla parte commemorativa, grazie anche ad una ricerca storica messa a punto dai giovani del terzo anno della scuola superiore (2017-2018) in collaborazione con varie istituzioni cittadine, aiutati dal prof. ing. Luigi Coffele. Qui ci fermiamo, in particolare, a rivivere, alla luce della Parola di Dio e della tradizione salesiana, il carisma don boschiano, nel contesto del nostro tempo, spesso caratterizzato da «giorni nuvolosi e di caligine» (cf Ez 34, 11-31) per noi e per i nostri giovani. Esso si presenta a noi come attualissimo, indispensabile per continuare il servizio della Congregazione salesiana alla Chiesa e alla società, specie alle nuove generazioni.In un clima culturale, che esalta la comunicazione e le interconnessioni, e che tuttavia ci porta, ad abitare paradossalmente mondi frammentati, di profonde solitudini – mondi tanto più fluidi e di spaesamento valoriale quanto più le identità sono miscelate, destrutturate -, comprendiamo la rilevanza e l’importanza di ambienti educativi e comunicativi ispirati dalla sapienza cristiana. Don Bosco ne comprese l’essenzialità già due secoli fa. Non a caso è andato incontro ai giovani poveri ed abbandonati, offrendo a loro una casa, un lavoro, una cultura, una fede incarnata. È stato definito, non paia fuor di luogo, vero intellettuale di massa. Il noto semiologo Umberto Eco, scomparso qualche anno fa, ha letto ed interpretato l’esperienza dell’Oratorio di don Bosco come una macchina perfetta di comunicazione che gestisce in proprio, riutilizza e discute i messaggi provenienti dall’esterno. In tal modo, il progetto educativo dell’Oratorio nasceva stando nel mondo, divenendo però alternativo (rispetto alle categorie dominanti del tempo), e quindi non conformista, apportatore di innovazioni educative, in sintonia con la dignità umana. Alla luce dell’esperienza educativa del santo piemontese, ecco come dovremmo comportarci con riferimento alla cultura digitale, ai nuovi mezzi di comunicazione che ci avvolgono con i loro messaggi troppo semplificati, e quindi poco veritieri, e ci condizionano senza che ce ne accorgiamo, abituandoci ad esserne meri fruitori, quasi spettatori passivi ad imbuto: fare delle nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre associazioni, dei laboratori di una nuova cultura e comunicazione, a servizio della crescita integrale dei giovani. Dovremmo seguire, su un altro piano, ciò che gli Ordini mendicanti del Medioevo, francescani e domenicani – stiamo celebrando l’Eucaristia in questa chiesa ove i figli di san Domenico hanno irradiato il Vangelo e la cultura cristiana -, vollero fare con le loro università: istituire centri culturali ove confrontare ed illuminare i grandi problemi del tempo con la luce del Vangelo, coniugando fede e vita, libertà e verità. Certo, per riuscire in questo intento, per ridare giovinezza e vitalità al pensiero, in una società e in una cultura senescenti dal punto di vista intellettuale e spirituale, dobbiamo essere tutti più reattivi rispetto ai gravi problemi odierni, più solerti nel discernimento. Ma, soprattutto, siamo chiamati ad uscire allo scoperto, a non vivere come ruote di scorta rispetto ad altri, specie di chi organizza la società secondo prospettive lontane dai valori umani e cristiani. Siamo, cioè, chiamati a dare il nostro apporto necessario ed originale di credenti. Siamo chiamati a pronunciarci chiaramente, e ad impegnarci ad inscrivere nelle istituzioni i valori del Vangelo, come hanno saputo fare i cattolici del passato, assieme ad altri uomini di buona volontà. Anche oggi c’è bisogno di persone con schiena eretta, atte a vivere l’Amore della e nella verità, ossia una carità pastorale ed intellettuale che illumina le intelligenze ed accende i cuori di empatia nei confronti della vita buona e del Bello. Solo così si potranno forgiare nuove personalità, nuovi protagonisti nella vita sociale e politica. Ovvero cittadini capaci, a fronte di culture intrise di laicismo e di individualismo libertario, di proporre la promozione dei diritti individuali in connessione coi rispettivi doveri, di saper subordinare la ragione calcolante alla ragione pensante, la finanza alla politica.

Non solo la Chiesa ha bisogno dei giovani attivi e protagonisti, ma anche la società, la città, la cultura, la scienza, l’economia e la politica. I giovani costituiscono un potenziale di energie spirituali, umane e morali, davvero enorme, ma purtroppo sottovalutato e inutilizzato. Senza di essi è difficile il rinnovamento, non si può sperare in un futuro di speranza per la Chiesa e per la società. Essi non debbono essere considerati buoni solo per il consumo, e non per una crescita sostenibile, che deve avvenire secondo una logica del dono e della gratuità. Come già accennato, don Bosco mal sopportava città e quartieri popolati da giovani allo sbando, a rischio, senza un’occupazione, istruzione, senza Dio.

Ragione, religione ed amorevolezza era il trinomio su cui don Bosco imperniava la sua sapiente azione educatrice, liberatrice ed umanizzante. Cari confratelli salesiani, un tale trinomio va rivalutato e reinterpretato proprio nell’attuale contesto socio-culturale. Oggi domina la ragione calcolante, strumentale, mentre dovrebbe vigoreggiare una ragione riflessiva, sapienziale. Oggi, i nostri giovani, sentono poco l’appartenenza alla Chiesa ed interpretano spesso il cristianesimo come una religione «fai da te». Dovrebbero, invece, sperimentare un incontro filiale col Padre, disponibili ad andare ove lui manda a servire. Il pericolo odierno per i nostri giovani è immaginare la comunità ecclesiale come un ambiente estraneo o come l’ambiente ove ci si può ritagliare un angolino, ove si sta bene con pochi amici intimi, ignorando il bene più grande della comunità e del mondo. Oggi, nonostante l’essere iperconnessi, prevale l’indifferenza, la superficialità delle relazioni, l’utilitarismo. L’amorevolezza è sempre più rarefatta e sfuggente. Più aumentano le relazioni virtuali più cresce il bisogno di relazioni più personali, senza intermediazioni che creano deformazioni, ossia ricche di empatia e di convivialità, che dimostrano quanto la nostra persona è importante per gli altri.

In questa celebrazione eucaristica siamo sollecitati a vivere il trinomio educativo donboschiano in un contesto trinitario. L’esperienza dello Spirito santo, Spirito di Dio e di Cristo, figlio amatissimo del Padre, ci aiuterà a comprendere che il suo Amore non umilia la ragione bensì la sfida e la induce a trascendersi, e inoltre rende il nostro rapporto religioso un incontro con Dio, risposta d’amore al suo Amore, trasfigurazione della nostra amorevolezza umana in una presa in carico disinteressata dell’altro.

Con don Bosco viviamo nella gioia di essere di Dio e di donarlo ai giovani. Preghiamo per i giovani di questa istituzione affinché, guardando ai salesiani e a don Bosco, si appassionino nell’impegno di far crescere i loro coetanei: siano giovani per i giovani. Come l’uomo da leggenda, che è stato il «prete della gioia» – così l’ha definito qualche giorno fa papa Francesco, exallievo salesiano -, ha contribuito ad interpretare la genialità pedagogica del cristianesimo e a sviluppare un nuovo umanesimo giovanile nell’Ottocento, così noi operiamo per un rinascimento educativo della nostra società e per una civiltà che pone il digitale e le nuove tecnologie a servizio della comunione delle persone reali e concrete. «In conclusione, fratelli – come scrive san Paolo ai Filippesi – tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto» dei nostri pensieri e delle nostre sollecitudini (Fil 4, 4-9).

Maria Ausiliatrice ci benedica e ci assista.

+Mario Toso

Laboratorio di arteterapia per bambini

Una città, un colore, un amore

Giovedì 14 febbraio alla Biblioteca diocesana “Cicognani” si svolgerà il secondo appuntamento del ciclo “Dal libro al corpo… passeggiando per l’arte”. Il laboratorio proporrà ai bambini (accompagnati da un adulto) un viaggio attraverso tutti i sensi per costruire la propria città ideale.

Il laboratorio è a numero chiuso, è necessario iscriversi ai contatti segnalati.


Dal lavoro all’economia solidale

Conferenze e dibattiti tra lavoro, bene comune, economia e politica

La “Scuola diocesana di formazione sociale e del lavoro” promuove il ciclo di incontri pubblici “Dal lavoro all’economia solidale”; Sala S. Carlo (Piazza XI Febbraio, Faenza), ore 20.45.

  • 18 febbraio: DAI BENI COMUNI AL BEN-ESSERE DI PERSONE E COMUNITÀ. Partecipano: Luca De Tollis, OMG; Giordano Sangiorgi, MEI; Pietro Bandini, coltivatore diretto. Modera: Giulio Donati, direttore de Il Piccolo
  • 11 marzo: DALLE COMUNITÀ ALL’ECONOMIA SOLIDALE. Partecipa: Luigino Bruni, Aicep
  • 8 aprile: FARE POLITICA E COSTRUIRE LA POLIS. Partecipa: Matteo Truffelli, presidente nazionale di Azione Cattolica


Glorie: Madonna del fuoco, festa patronale

Glorie, 3 febbraio 2019

Cari fratelli e sorelle, conoscere l’origine della devozione alla Madonna del Fuoco, protettrice di Glorie è fondamentale per questa comunità parrocchiale. Il culto alla Madonna del Fuoco si sviluppò nel secolo scorso per opera di un proprietario di Villa Savoia e fu incrementato dai braccianti che, dalle colline forlivesi, specie da Terra del Sole, vennero a lavorare in queste zone per bonificare la Bassa. Il quadro qui venerato, che mostra alle spalle della Madonna e del Bambino il fuoco, allude  all’incendio che a Forlì, nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 1428, devastò una scuola ove  si trovava l’immagine originale della Madonna del Fuoco, una xilografia impressa su un semplice foglio di carta fissato su una tavoletta. Nonostante le fiamme abbiano distrutto la scuola, l’immagine cartacea rimase illesa. La domenica seguente fu trasportata solennemente nella cattedrale di Forlì ove è conservata e tuttora venerata. Sarebbe bello, a questo proposito, che si potesse organizzare una visita all’immagine alla Madonna che è custodita a Forlì.

Spiegata per sommi capi l’origine del culto della Madonna del Fuoco a Glorie, va sottolineato che tale culto è dovuto, così narra la tradizione, all’opera di laici. Non so se interpreto bene. Forse bisognerebbe approfondire di più questo aspetto. Ma leggendo l’origine del culto della Madonna del Fuoco a Glorie mi è venuta in mente l’origine del cristianesimo nella Corea. Ebbene, nella Corea, il cristianesimo si impiantò in maniera singolare per opera dei laici, prima ancora che dei sacerdoti: alla fine del XVIII secolo. Alcuni eruditi coreani entrarono in contatto con i testi biblici in cinese portati nel loro paese da alcuni missionari occidentali ed iniziarono a studiare autonomamente la dottrina cattolica, senza l’aiuto di presbiteri.

Nel 1784 uno di loro, Lee Seung Hun, fu inviato a Pechino per essere battezzato dai missionari cattolici. Tornato in patria battezzò gli altri membri del suo gruppo, dando vita così alla Chiesa coreana senza alcun apporto esterno, in particolare senza l’apporto di sacerdoti che arrivarono solo più tardi. Nell’Ottocento la neonata Chiesa fu colpita dalle persecuzioni. Nel 1866 i cristiani coreani subirono il martirio più doloroso della loro storia: più di diecimila fedeli furono massacrati, la metà di tutti quelli esistenti nel Paese.

Perché vi ho parlato dei martiri coreani? Quello che desidero dirvi è che la fede cristiana nella storia della Chiesa, in Corea o in altre Nazioni, non è solo promossa da missionari sacerdoti, da suore, ma anche da fedeli laici. Il fatto che qui a Glorie il culto alla Madre di Dio si sia diffuso specie per opera dei braccianti forlivesi è senz’altro istruttivo per questa comunità che non gode più della presenza stanziale di un parroco. Indica quella via di educazione alla fede che non deve, specie oggi, andare perduta, quando le vocazioni sacerdotali e religiose diminuiscono e il proprio parroco, don Marco, deve accompagnare tre comunità. La diffusione della fede, l’educazione cristiana, non sono solo compito dei sacerdoti o delle donne, delle mamme, ma anche dei papà. In un contesto sociale e culturale che, come il nostro, è sempre più povero di senso del trascendente e del senso di appartenenza alla comunità cristiana e alla sua missione, l’esempio dei braccianti forlivesi arrivati sin qui, con le loro famiglie, è particolarmente importante. Chi veniva da Forlì o dai dintorni portava con sé non solo la vita e il lavoro, la famiglia, ma anche la fede, l’attaccamento alla Madre, la Madonna del Fuoco.

Se guardiamo bene, nell’immagine venerata in questa chiesa, Maria porta in braccio Gesù Bambino, Via, Verità e Vita. In questa domenica celebriamo la 41.a Giornata nazionale per la vita. Come dalle mani della Madonna accogliamo Gesù Bambino, che è la Vita, così accogliamo, serviamo, promuoviamo la vita umana. Custodiamo la dimora della vita, che è la terra, come hanno fatto i braccianti forlivesi, che sono venuti in questa zona per  bonificarne il territorio. Per avere futuro, sia come comunità ecclesiale sia come comunità civile, siamo chiamati all’accoglienza di Gesù Cristo e della vita umana. Questa  va accolta in maniera aperta, prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole, minacciata e bisognosa dell’essenziale. La difesa di chi non è ancora nato deve essere chiara, ferma e appassionata, perché è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra. Lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Gesù Cristo, che si è fatto carne, uno di noi, ci aiuti a capire il valore immenso di ogni persona, che non è solo un essere umano, bensì anche figlio, figlia di Dio. La Giornata per la vita ci veda impegnati nell’accoglierla, nel promuoverla, convincendoci che il miglior ambiente del suo fiorire è la famiglia. Impegniamoci anche nel consolidare la scuola materna, luogo in cui la vita è coltivata con un’educazione completa, che irrobustisce la pianticella della fede.

Buona festa a tutti!

+ Mario Toso
vescovo