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I DOMENICA DI QUARESIMA

Faenza, Basilica Cattedrale 10 marzo 2019

All’inizio della Quaresima, ossia di un cammino di conversione, siamo invitati a capire quale sia la via più efficace della nostra redenzione e del mondo. È la via dei compromessi e dei patteggiamenti? Cambiamo e trasformiamo noi stessi e la terra adorando le cose con avidità di possesso, perseguendo la gloria umana, cercando il potere e il successo sopra ogni cosa, piegando Dio per soddisfare il nostro orgoglio? Le tentazioni che il Signore Gesù subisce nel deserto e le risposte date a Satana ci offrono indicazioni preziosissime per il nostro compito di popolo di pellegrini che attraversano la terra per trasfigurarla, ossia per renderla più umana, giusta e fraterna. Cristo, facendosi carne, ha voluto provare dentro di sé le tentazioni del mondo perché, uniti a Lui, le superiamo. Ci ha voluto dare, in certa maniera, un esempio, un punto di riferimento.

Riflettendo sulle tentazioni di Gesù impariamo da Lui come affrontarle, a non entrare in dialogo con il Tentatore e, in particolare, quale discernimento praticare nella nostra vita, per essere suoi veri discepoli, protagonisti di una nuova creazione. Gesù è tentato tre volte dal diavolo. La prima volta lo invita a trasformare una pietra in pane; poi, gli prospetta di diventare un messia potente e glorioso; infine, gli chiede di buttarsi giù dall’alto del tempio di Gerusalemme per manifestare in maniera spettacolare la sua potenza divina, strumentalizzando Dio a proprio vantaggio. Si tratta di strade che, nonostante le apparenze, non ci consentono di ottenere successo e felicità. Non ci avvicinano a Dio, a Gesù Cristo. Anzi, ci allontano, ci separano da Loro, dalla loro vita, dal loro progetto di salvezza. Percorrendo le strade delle tentazioni portiamo il mondo e noi non alla pienezza umana, bensì alla distruzione. Le tentazioni sono strade di rovina, di disumanizzazione.

Ma non dimentichiamo che Gesù Cristo è stato sottoposto a tentazione sino agli ultimi momenti della sua vita, non solo nel deserto di cui ci parla il brano evangelico odierno. Mentre era sulla croce, ad esempio, viene deriso e provocato dai capi del popolo, dai soldati: «Salvi se stesso!» (cf Lc 23, 35.37.39). In sostanza: se vuole essere nostro capo rinunci a comportarsi secondo la sua logica. Si comporti secondo una logica di dominio, la logica del mondo: scenda da quella croce e sconfigga i nemici con la forza. Se è Dio, come dice di essere, dimostri potenza e superiorità. Prevalga non amando gli altri sino a morire, bensì amando se stesso. Cambi il mondo facendo leva sulla difesa del proprio io e non sullo svuotamento di se stesso. In altri termini, secondo il demonio che tenta, per cambiare davvero la storia non bisogna amare gli altri, perdonarli, bensì occorre piegarli, sottometterli con la violenza.

A ben capire, le tentazioni che Cristo ha subito sino alla fine sono un attacco alla sua vita d’amore, di dono totale, a Dio e all’umanità. Sono, se pensiamo a noi come suoi discepoli, anche un attacco alla sua futura Chiesa, un volerla finita, prima ancora del suo inizio. L’esperienza delle tentazioni subite da Gesù ci debbono insegnare a capire che l’assalto del demonio continua. Le tentazioni e le risposte di Gesù ad esse sono un ammaestramento. Ci insegnano quel discernimento che dobbiamo esercitare ogni giorno per non venire meno alla nostra vocazione, per non soccombere come popolo di redenti, chiamati a continuare l’incarnazione di Cristo nel mondo. Ci offrono quelli che debbono essere i criteri delle nostre scelte in quanto cristiani: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio; adorerai il Signore Dio tuo, a Lui solo renderai culto e ti prostrerai, mantenendoti umile e fiducioso nel Padre, rinunciando agli idoli del denaro, del successo e del potere; non mettere il Signore tuo Dio alla prova, non lo tirerai dalla tua parte, per soddisfare il tuo orgoglio. Il discernimento che ci insegna ad avere Gesù Cristo, nostro Fratello e Maestro, è per vivere, con la dignità dei figli di Dio, la missione di annunciatori e di testimoni dell’Amore del Padre e del suo perdono. È discernimento per la lotta al male, al peccato, a tutto ciò che ci allontana dall’amore fraterno, dalla giustizia e dalla pace, ossia da tutto ciò che trasfigura la terra, la umanizza liberandola dall’egoismo, dall’odio, dalla violenza. È discernimento per la denuncia di ciò che non va bene. È discernimento per la profezia della fraternità e della speranza. È discernimento per l’annuncio di un nuovo mondo. In questa Eucaristia facciamo comunione con Colui che morendo e risorgendo è costituito principio di redenzione e di rinnovamento della storia.

+Mario Toso

Esequie di Mons. Antonio Taroni

Faenza, basilica cattedrale 8 marzo 2019

Cari presbiteri e diaconi, cari fratelli e sorelle, la nascita al cielo del presbitero Mons. Antonio Taroni ci sollecita, proprio all’inizio di questa Quaresima che ci invita alla conversione, a riflettere sulla nostra vita cristiana. La vita e la morte che ci appartengono, in quanto battezzati in Cristo, sono vita e morte non per se stesse ma per il Signore. «Fratelli – ci ricorda san Paolo – nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14, 7-9).

Il presbitero, in particolare, è a servizio del popolo di Dio, quel popolo sacerdotale della Nuova Alleanza, che è costituito tale grazie alla morte e risurrezione di Gesù Cristo, il Sommo Sacerdote. La vita del presbitero, come anche la Chiesa – popolo di cui è ministro -, vanno letti e compresi proprio alla luce della morte e risurrezione di Cristo.

Grazie alla morte e risurrezione del Signore Gesù, l’esistenza di ogni credente, compresa quella del presbitero, non è per il nulla, bensì per una vita in pienezza, già fin da questa terra. Con la morte, la vita non ci è tolta ma trasformata; non viene annientata bensì potenziata, eternizzata, stabilizzata in una vita immortale. Veniamo sepolti corruttibili, risorgeremo incorruttibili. Il Cristo glorioso siede accanto al Padre e ci attende per essere tutti con Lui, partecipi della sua pienezza di vita. Un simile destino, però, non è solo per i singoli credenti. È per il popolo intero di Dio. Diventati di Cristo, nutriti di Lui con il pane eucaristico, mediante il dono del suo Spirito d’amore diventiamo un «noi» di persone, strutturato dalla comunione con Cristo e tra di esse, partecipi della sua missione di Inviato del Padre e della sua ricchezza di vita. Il popolo cristiano è popolo di pellegrini che mentre attraversano la terra la trasfigurano. In che maniera? Vivendo santi ed immacolati, nella Carità, ossia animati dall’Amore di Cristo, ricevendone redenzione, perdono delle colpe, secondo la ricchezza della grazia del Figlio di Dio. Cristo riversa in noi la sua vita filiale in abbondanza, assieme ad ogni sapienza. Donandoci ogni sapienza ed intelligenza, ci fa conoscere e sperimentare il mistero della volontà di Dio, il suo disegno: ricondurre a Cristo, come unico Capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. Dio, quando risuscita e fa sedere alla sua destra il suo Figlio glorioso – il Figlio in cui noi siamo figli del Padre -, manifesta la speranza a cui siamo chiamati, nonché il nostro compimento nel Risorto. Cristo ci è indicato come Capo su tutte le cose, come loro perfezione.

Nella Chiesa, ovunque noi siamo e qualunque professione esercitiamo, siamo chiamati, dunque, a vivere con l’atteggiamento dei figli nel Figlio, per concorrere ad attuare una nuova creazione. Come persone e come comunità abbiamo la missione di continuare quella di Cristo: fare nuove tutte le cose in Lui e per Lui, per generare una nuova umanità e una nuova storia. Il futuro delle nostre comunità sta nel percepirsi come un popolo nuovo, una sola umanità, un solo uomo in Cristo, misura perfetta dell’umanità: libera, responsabile, fraterna, relazionale, solidale, giusta e pacifica. Vivendo in comunione con Cristo e tra di noi, possiamo continuare nel nostro territorio la gloriosa tradizione che ha contraddistinto il popolo di Dio sia sul piano della santità sia sul piano sociale, della umanizzazione.

Proprio a partire dalla consapevolezza del nostro essere popolo di pellegrini che trasfigura la terra che attraversa, proprio su questo sfondo viene spontaneo riflettere sulla figura di Monsignor Antonio Taroni e invitare a pregare per lui e i suoi famigliari. Vicario parrocchiale a Granarolo, assistente diocesano dell’Azione Cattolica formò molti giovani nello spirito del Concilio Vaticano II, ossia secondo una visione di Chiesa centrata non tanto sul sacramento dell’ordine bensì sui sacramenti dell’iniziazione cristiana. Battesimo, cresima, eucaristia costituiscono i fondamenti della Chiesa, che comprende così tutti i membri del popolo di Dio. Il ricentramento battesimale dell’ecclesiologia conciliare ha permesso a Mons. Antonio, ma non solo a lui, di collocare il suo sacerdozio nella luce più adeguata, quella ministeriale. Parimenti, gli ha consentito di indicare lo spazio per un’effettiva vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, pensati come soggetti ecclesiali e non più oggetto dell’azione ecclesiale. Come parroco di sant’Apollinare a Russi, non solo ha ristrutturato gli ambienti parrocchiali, ma ha speso la sua vita tra la gente, ha educato i giovani, ha accompagnato le famiglie, ha visitato gli ammalati, si è fatto carico dei poveri, ha contribuito a costruire la comunità ecclesiale e civile. Ha investito nella formazione dei formatori, convinto che il patrimonio della presenza ecclesiale in un territorio si regge sulle gambe di credenti ben preparati. Ha vissuto la profezia della fraternità, come un accompagnamento delle varie componenti ecclesiali, per renderle capaci di un cammino fatto insieme. Ha educato il suo popolo con lo stile e le virtù del buon pastore. Per diversi anni Mons. Antonio, come già accennato, è stato incaricato del settore catechesi dell’Ufficio «Fede, annuncio e Catechesi». Dopo aver rinunciato alla parrocchia divenne canonico Penitenziere della Basilica Cattedrale. Come confessore, assiduo ed apprezzato, è stato uomo di pace e di riconciliazione, segno e strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene e la speranza della rinascita. Con un piccolo gruppo ha coltivato sapientemente la Lectio divina. Nel maggio scorso l’ho nominato Coordinatore del Gruppo di studio sulla catechesi per elaborare un quadro completo della situazione esistente in Diocesi. Si è messo all’opera con slancio giovanile. Due settimane fa, visitandolo a casa, abbiamo parlato del cammino compiuto. Con lui credo che sia venuta meno una delle persone più competenti, non solo per gli studi compiuti presso l’Università pontificia salesiana, ma anche per l’esperienza accumulata negli anni. Pur avendo incoraggiato la proposta delle «Tresere educatori» era il primo a dire che era insufficiente a preparare adeguatamente i catechisti. Peraltro, prima si era fatto promotore di scuole estive di formazione di almeno due settimane. Assieme a lui abbiamo programmato ultimamente un corso annuale sui fondamentali della catechesi nel V ciclo di teologia. Purtroppo la salute non l’ha sorretto. La sua partenza e il vivo ricordo che lascia nella nostra Diocesi ci invita a pensare che ministri animati da una convinta appartenenza al presbiterio e da un profondo respiro ecclesiale; evangelizzatori preparati alla missione, come Mons. Taroni, non si improvvisano. A forgiarli è un delicato lavoro di accompagnamento e di formazione diffusi nella Diocesi. Non si può, allora, che concludere se non pregando il Signore perché continui a mandare operai nella sua vigna e perché trovino nei presbiteri, nei diaconi, nei laici, nei religiosi, un popolo che li sostiene con simpatia e corresponsabilità.

+ Mario Toso

Via crucis per le donne crocifisse

Faenza, venerdì 8 marzo 2019

La via Crucis per le donne crocifisse che si celebra questa sera vuol’essere un segno di solidarietà e di preghiera in favore delle donne vittime di tratta, prostituzione. Avviene in coincidenza con la giornata della donna che, a sua volta, vuole ricordare come nella storia umana, benché abbia un ruolo specifico e fondamentale nei confronti della vita, dello spirito e della cultura, la donna spesso viene calpestata nella sua dignità e impedita di dare il suo apporto decisivo.

La violenza sulle donne è strada di umiliazione dell’umano. Più che offesa dei diritti è offesa della donna in quanto persona nella sua unità di corpo e spirito, strettamente congiunti. È autolesionismo antropologico e umanitario. È offendere l’umanità stessa, fatta da due metà di cielo, che sono complementari, chiamate ad integrarsi e a sostenersi mutuamente. Se la metà del cielo che è la donna, con il suo genio femminile, è resa schiava, viene considerata come un mero strumento per l’altra metà, e addirittura è sottoposta alla tratta, umiliata, anche l’altra metà dell’umanità ne subisce gravissimo danno: viene impoverita, imbarbarisce, degrada. Finisce la comunione interpersonale, il mutuo aiuto nella reciprocità, la pari dignità, l’uguaglianza, che è alla base di uguali diritti. Dove c’è schiavitù non c’è umanità e civiltà. Senza donne libere e responsabili, l’umanità, come ogni frutto buono ad essa collegato, è pregiudicata. Viene meno: l’essere donna secondo pienezza, nella molteplicità delle modalità; la maternità libera e responsabile; la maternità spirituale della donna vergine; la famiglia, basata sull’unità di un «noi» ove vige l’uguaglianza nella ricchezza della diversità dei sessi; la tenerezza che custodisce e fa fiorire; la pace, che è soprattutto donna; la generazione della vita sotto il cuore di una madre e, con essa, la gioia di essere amati.

Nessuno ha il diritto di togliere la dignità all’altro, alla donna. Chi lo fa – specie se colei che si fida di chi dovrebbe esserle di aiuto viene spogliata del suo essere umano e ridotta a cosa -, è spietato, disumano, vigliacco. Tutti hanno diritto alla vita, ad una vita dignitosa e piena. Preghiamo e lavoriamo perché questi diritti siano considerati, da parte di tutti, doveri. Non dimentichiamo che l’umanità, nell’unità delle due metà che la costituiscono, è destinata alla maternità di un genere umano che supera se stesso, a generare più che se stesso, ossia Dio. Maria, Madre di Dio, ci aiuti.

+ Mario Toso

Mercoledì delle ceneri

Faenza, basilica cattedrale 6 marzo 2019

Cari fratelli e sorelle, eccoci all’inizio di una nuova Quaresima, cioè 40 giorni per rinnovarci in Cristo, per partecipare più profondamente alla passione d’amore del Figlio di Dio, per vivere una vita da risorti, ossia da persone vittoriose sul peccato e sul male. La Quaresima è quel periodo che la Chiesa ci mette a disposizione per preparare una nuova primavera per le nostre vite e per le nostre comunità, per portare frutti sul piano dell’annuncio, della catechesi, della testimonianza, della carità.

Il pianto per i peccati, il digiuno – la legge del digiuno “obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera: alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; la legge dell’astinenza proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi particolarmente ricercati e costosi; i1 digiuno e l’astinenza, nel senso sopra precisato, devono essere osservati il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì della Passione e Morte del Signore Nostro Gesù Cristo; l’astinenza va osservata in tutti i singole venerdì di Quaresima -, l’elemosina, la preghiera a cui siamo invitati, sia dal profeta Gioele sia dal Vangelo di Matteo, non sono fine a se stessi, bensì sono funzionali a metterci maggiormente in comunione con chi è l’Uomo Nuovo, cioè Gesù Cristo, e con la sua incarnazione, per far nuove tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra. La Quaresima è per la Pasqua, perché diventiamo persone risorte, vittoriose sul male; perché collaboriamo a rendere attuale quell’incarnazione di Cristo che deve portare, mediante noi, una umanità nuova nelle famiglie, nelle scuole, nelle istituzioni, nella politica e nell’economia, nella cultura.

Il profeta Gioele ci sollecita ad un cammino di conversione personale e comunitaria. Tutti – piccoli e grandi, presbiteri, christifideles laici, religiosi e religiose, famiglie e comunità parrocchiali – siamo chiamati a ritornare a Dio con il cuore, e non con pose, non con atteggiamenti teatrali, con gesti meramente esteriori. Occorre cambiare, prima di tutto il centro della nostra persona, i nostri pensieri, la mentalità, i sentimenti e, poi, le azioni nei confronti di Dio e del prossimo. In sostanza dobbiamo diventare persone sempre più buone dentro. Dobbiamo essere giusti non per essere ammirati, per ricevere il plauso degli altri, la loro approvazione. Il bene va compiuto non per interesse, bensì perché il bene  è bene. La nostra perfezione morale e spirituale sta nell’attuare il bene per amore di Dio, non perché ce ne viene un tornaconto.

L’elemosina, ossia la nostra offerta a Dio e ai poveri, non va praticata facendoci pubblicità, facendo suonare la tromba per attirare l’attenzione della gente. Gesù, invece, chiede addirittura il distacco della stessa persona dal suo gesto, perché l’offerente diventi ignoto, sconosciuto al pubblico. Il gesto dell’elemosina dev’essere esclusivamente per amore del Padre. Così, il Signore esorta a non pregare pubblicamente, come fanno gli ipocriti, in piedi nelle chiese, agli angoli delle piazze, per farsi vedere e ricavarne una buona reputazione. Egli esorta, piuttosto, a pregare nel segreto della propria stanza, per aprire il cuore al Padre, perché Lui veda ciò che è nascosto in esso. La preghiera dev’essere destinata soltanto a lodare e a supplicare il Padre, a consegnare il cuore a Lui, non a fare mostra di sé. Cristo non si oppone certamente alla preghiera pubblica, ma alla sua strumentalizzazione, per farsi ammirare. Dio non ascolta coloro che usano tante parole e ripetono preghiere all’infinito, perché Egli sa ciò di cui abbiamo bisogno prima ancora che apriamo bocca. Non bisogna forzare la mano al Padre con molte preghiere e gesti. Si tratta, invece, di aprirgli il cuore e di avere fiducia in Lui. Anche il digiuno va vissuto nel «nascondimento», al pari dell’elemosina e della preghiera. Quando si digiuna non si deve mostrare un volto emaciato, assottigliato, per far capire agli altri quanto soffriamo. L’importante è invece che digiunando ci ricordiamo di Dio e gli facciamo spazio nella nostra vita.

Si è detto che Gioele invita sia i singoli sia il popolo intero alla conversione, nell’immedesimazione con il con l’Uomo Nuovo, venuto in questo mondo per realizzare una nuova creazione. Cosa vuol dire, più in concreto, che il popolo intero deve convertirsi e partecipare alla Pasqua di Gesù Cristo? Significa che come comunità diocesana siamo chiamati a partecipare, con tutte le componenti che la costituiscono – associazioni, aggregazioni, unità pastorali, consigli, vicariati, parrocchie – alla missione di Gesù. Egli è venuto per redimere, per divinizzare l’umanità, per realizzare una umanità in comunione con Dio Padre. In tale maniera, il Signore Gesù fa dell’umanità un popolo nuovo, un popolo di pellegrini che, mentre camminano verso la città celeste, trasfigurano la terra che attraversano. La presenza del Figlio di Dio in mezzo a noi ci costituisce fermento del Padre nella storia.

Dunque, la quaresima è un periodo di conversione anche per la nostra Diocesi che, per essere maggiormente a servizio dell’incarnazione di Gesù Cristo, deve impegnarsi ad essere sempre di più famiglia di persone sante ed immacolate, viventi nella carità. La nostra Diocesi è chiamata non a diminuire il proprio ardore nella missione, bensì a continuare la gloriosa tradizione di santità che l’ha caratterizzata nei secoli scorsi, ma anche la tradizione di liberazione e di umanizzazione del sociale.

La quaresima, vissuta con spirito di umiltà, dovrebbe, pertanto, rendere la nostra Diocesi una Chiesa più bella, gioiosa, audace, capace di incidere nel territorio, sulla cultura, sulle leggi. Per raggiungere simili traguardi occorre che, mediante conversione, ritorniamo a riscoprire la nostra appartenenza a Cristo, a creare nuova cultura partendo dal nostro vivere Cristo. Senza la chiara e lucida consapevolezza di essere di Cristo, di essere suoi, non possiamo trasfigurare l’umano, non possiamo generare nuovi umanesimi e aiutare la vita sociale a rimanere  entro l’alveo di un’esistenza morale e civile.

Il segno austero delle ceneri che saranno poste sul nostro capo è monito severo che ci ricorda la nostra radicale fragilità. Siamo su questa terra come pellegrini, incamminati verso un altro mondo. Non abbiamo qui una dimora permanente. Per le stesse ragioni le ceneri sono invito a vivere con coerenza la nostra identità, la nostra missione: essere Chiesa del Verbo incarnato; prolungare la sua incarnazione affinché possa proseguire la sua opera di redenzione e di trasfigurazione delle persone e delle cose. Abbiamo bisogno dello Spirito di Gesù che ci accompagni nel deserto per vincere le tentazioni, il loro attacco ad una vita d’amore. Il combattimento spirituale, il digiuno, la preghiera siano un’ascesi che ci trasforma non in persone tristi, bensì gioiose nel dono pieno di noi stessi.

+ Mario Toso

8 marzo: via crucis per le donne crocifisse

Via Crucis di solidarietà e preghiera in favore delle donne vittime di tratta, prostituzione e violenza

Per il secondo anno consecutivo l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e le Parrocchie dell’Unità pastorale “Mater Ecclesiae” di Faenza animeranno, la sera dell’8 marzo, una VIA CRUCIS ITINERANTE PER LE DONNE CROCIFISSE. Il ritrovo è alle 20.30 presso la Parrocchia del Paradiso, si percorrerà la via Emilia lungo la pista ciclabile, accompagnati da canti e testimonianze per arrivare intorno alle 22.30 alla Parrocchia di Pieve Ponte.
Il percorso è stato scelto per esprimere solidarietà e vicinanza alle donne che ogni sera, lungo quel tratto di strada, sono costrette a prostituirsi.

Per informazioni: Paola Poggi 3335214219.


Conferenza sull’economia di comunione

Dalle comunità all'economia solidale

Lunedì 11 marzo alle 20.45 nella Sala S. Carlo di Faenza (Piazza XI Febbraio) la prof.ssa Maria Gabriella Baldarelli (docente di ragioneria generale e applicata) e il sig. Livio Bertola (imprenditore) condurranno una serata sull’economia di comunione: come nasce, come funziona, quali esperienze concrete si stanno sviluppando.