Archivi della categoria: Ultime dalla diocesi

GRANAROLO: PROFESSIONE DI FEDE DEI DICIOTTENNI

Veglia per Giornata mondiale della gioventù: 13 aprile 2019

Gv 21, 15-22

  1. Pietro

Nel giorno del rinnovo della vostra professione di fede, cari diciottenni, la Chiesa vi pone davanti il brano del Vangelo di Giovanni in cui è presentato il compito pastorale di Pietro e il suo essere discepolo di Cristo. Anche a Pietro Gesù chiede di rinnovare la sua professione di fede e gli affida il compito di pascere le sue pecore. E questo al momento della sua terza apparizione, dopo essere risorto dai morti, dopo la passione in cui Pietro lo rinnegò per ben tre volte.

Da altri brani evangelici apprendiamo che la fede di Pietro non è una marcia trionfale, ma un cammino cosparso di prove e di infedeltà. La fede di Simon Pietro è minore di quella di tanti piccoli del popolo fedele di Dio. Ci sono persino dei pagani, come il centurione, che hanno una fede più grande nel momento di implorare la guarigione di un malato della loro famiglia. La fede di Simone è più lenta di quella di Maria Maddalena e di Giovanni. Giovanni crede al solo vedere il segno del sudario e riconosce il Signore sulla riva del lago al solo ascoltare le sue parole. La fede di Simon Pietro ha momenti di grandezza, come quando confessa che Gesù è il Messia, ma a questi momenti ne seguono quasi immediatamente altri di estrema fragilità e totale sconcerto, come quando vuole allontanare il Signore dalla croce, o quando affonda senza rimedio nel lago o quando vuole difendere il Signore con la spada. Per non parlare del momento vergognoso dei tre rinnegamenti davanti ai servi ai quali abbiamo accennato sopra.

Pietro che aveva promesso fedeltà assoluta, conosce l’amarezza e l’umiliazione del rinnegamento: lo spavaldo apprende a sue spese l’umiltà. Impara di essere debole e bisognoso di perdono. Quando, dopo aver tradito il Signore, capisce la verità del suo cuore debole di peccatore credente, scoppia in un pianto liberatorio di pentimento. Dopo questo pianto egli è ormai pronto per la sua missione.

In un mattino di primavera questa missione gli sarà affidata da Gesù risorto. L’incontro avviene sulle sponde del lago di Tiberiade. È l’evangelista Giovanni a riferirci il dialogo che in quella circostanza ha luogo tra Gesù e Pietro. Vi si rileva un gioco di verbi molto significativo. In greco il verbo filéo esprime l’amore di amicizia, tenero ma non totalizzante, mentre il verbo agapáo significa l’amore senza riserve, totale ed incondizionato. Gesù domanda a Pietro la prima volta: «Simone… mi ami tu (agapâs-me)» con questo amore totale e incondizionato (cfr Gv 21,15)? Prima dell’esperienza del tradimento l’Apostolo avrebbe certamente detto: «Ti amo (agapô-se) incondizionatamente». Ora che ha conosciuto l’amara tristezza dell’infedeltà, il dramma della propria debolezza, dice con umiltà: «Signore, ti voglio bene (filô-se)», cioè «ti amo del mio povero amore umano». Il Cristo incalza: «Simone, mi ami tu con questo amore totale che io voglio?». E Pietro ripete la risposta del suo umile amore umano: «Kyrie, filô-se», «Signore, ti voglio bene come so voler bene». Alla terza volta Gesù dice a Simone soltanto: Fileîs-me?, «mi vuoi bene?». Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace, e tuttavia è rattristato che il Signore gli abbia dovuto dire così. Gli risponde perciò: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene (filô-se)». Gesù soggiunge: «Pasci le mie pecore».  Poco dopo gli chiede: «Seguimi»! Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! È proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine.

Da quel giorno Pietro ha seguito il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto. Dagli ingenui entusiasmi dell’adesione iniziale, passando attraverso l’esperienza dolorosa del rinnegamento ed il pianto della conversione, Pietro è giunto ad affidarsi a quel Gesù che si è adattato alla sua povera capacità d’amore. E mostra così anche a noi la via, nonostante tutta la nostra debolezza. Sappiamo che Gesù si adegua a questa nostra debolezza. Noi lo seguiamo, con la nostra povera capacità di amore e sappiamo che Gesù è buono e ci accetta. È stato per Pietro un lungo cammino che lo ha reso un testimone affidabile, “pietra” della Chiesa. Il Signore ancora prima della sua passione gli aveva assicurato: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32).

Possiamo rileggere così le parole del Signore: «Simone, Simone, […] io ho pregato il Padre per te, perché la tua fede non rimanga eclissata (dal mio volto sfigurato, in te che lo hai visto trasfigurato); e tu, una volta che sarai uscito da questa esperienza di desolazione di cui il demonio ha approfittato per passarti al vaglio, conferma (con questa tua fede provata) la fede dei tuoi fratelli».

 

  1. La responsabilità di confermare i fratelli

 

In questo momento, ad ognuno di voi il Signore Gesù ripete la sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Una domanda chiara e diretta, di fronte alla quale non è possibile sfuggire o rimanere neutrali, né rimandare la risposta o delegarla a qualcun altro. È una domanda piena di amore! L’amore del nostro unico Maestro, che oggi vi chiama a rinnovare la fede in Lui, riconoscendolo quale Figlio di Dio e Signore della nostra vita. Lasciate che la grazia plasmi di nuovo il vostro cuore per credere, e apra la vostra bocca per compiere la professione di fede e ottenere la salvezza (cfr Rm 10,10). Fate vostre le parole di Pietro: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Il vostro pensiero e il vostro sguardo siano fissi su Gesù Cristo, inizio e fine di ogni azione della Chiesa. Lui è il fondamento e nessuno ne può porre uno diverso (1Cor 3,11). Lui è la “pietra” su cui dobbiamo costruire. Lo ricorda con parole espressive sant’Agostino quando scrive che la Chiesa, pur agitata e scossa per le vicende della storia, «non crolla, perché è fondata sulla pietra, da cui Pietro deriva il suo nome. Non è la pietra che trae il suo nome da Pietro, ma è Pietro che lo trae dalla pietra; così come non è il nome Cristo che deriva da cristiano, ma il nome cristiano che deriva da Cristo. […] La pietra è Cristo, sul fondamento del quale anche Pietro è stato edificato» (In Joh 124,5: PL 35,1972).

AUGURIO DEL VESCOVO MARIO AI GIOVANI SINODALI

Faenza, Seminario diocesano 7 aprile 2019

Il Sinodo dei giovani della Chiesa universale si è concluso e abbiamo in mano l’Esortazione Apostolica Postsinodale ai giovani e a tutto il popolo di Dio con questo titolo: Christus vivit.[1] Con simili parole papa Francesco intende rivolgersi ai giovani per dire che Gesù Cristo vive e vuole che ognuno di essi viva!  Con l’esortazione postsinodale inizia, dunque, la fase attuativa del Sinodo della Chiesa cattolica. Qualcosa di analogo avverrà per il nostro Sinodo diocesano dei giovani. Mentre stiamo lavorando per la conclusione della fase celebrativa già occorre prepararsi alla fase dell’attuazione. Occorre già domandarsi quali siano le disposizioni d’animo che sono cresciute nell’animo dei sinodali e, tramite loro, nella nostra Chiesa.

Per parlarvi del postsinodo diocesano mutuo alcune suggestioni specie dal capitolo terzo dell’esortazione Christus vivit (=CV): Voi siete l’adesso di Dio.[2]

Se come Chiesa di giovani, cari sinodali, siete cresciuti nella consapevolezza di appartenerle, di esserne soggetto responsabile – il che vi proietta fuori di voi, in un movimento di uscita – ecco alcune convinzioni che non bisogna più perdere ma che debbono crescere in voi, specie da ora in avanti:

  • Come giovani non siete il futuro del mondo e della chiesa di Faenza-Modigliana, ne siete il presente e li state già arricchendo con il vostro apporto. Un giovane non è più un bambino, si trova in un momento della vita in cui comincia ad assumersi diverse responsabilità, in particolare dopo il sacramento della Confermazione, partecipando insieme agli adulti allo sviluppo della famiglia, della società e della Chiesa;
  • Siete, dunque, Chiesa di giovani per la Chiesa, per la famiglia, per la società e, in particolare, per i giovani. Se siete per i giovani, inviati in particolare ad essi, non solo gli adulti ma anche voi – ecco quanto occorre teniate presente – siete chiamati a disporvi ad ascoltare a fondo i giovani e i ragazzi delle vostre parrocchie ed associazioni, stando in mezzo a loro, senza offrire risposte preconfezionate, ad imparare ad essere apostoli: Chiesa giovane, che accompagna ed educa, abbandona schemi rigidi e si apre ad avere un’empatia intensa rispetto ad essi, per aiutarli a scoprire la loro vocazione, per aiutarli a donarsi a Cristo, alla comunità, agli altri;
  • Come?Non guardando tanto ai difetti dei giovani e dei ragazzi ma a ciò che c’è di positivo in loro. Diventate capaci, allora, di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nei cuori dei giovani, di individuare, conseguentemente, percorsi di crescita commisurati alla loro persona, considerata nella sua pienezza;
  • La piattaforma privilegiata su cui far leva, ben presente in ogni giovane, è Cristo che vive in lui (e in noi): ogni giovane è strutturato non solo secondo l’immagine di Dio, ma anche secondo la figliolanza di Cristo. Occorre, pertanto, aiutare i giovani ad innamorarsi del Figlio di Dio, radice di ogni bene e vertice di ogni aspirazione. Occorre aiutarli a scoprire che il Signore Gesù desidera come prima cosa la loro amicizia. Questo, afferma papa Francesco, è il discernimento fondamentale da far vivere ai giovani e ai ragazzi. Nel dialogo del Signore risorto con il suo amico Simon Pietro, la grande domanda è stata: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,16). In altre parole: mi vuoi come amico? La missione che Pietro riceve di prendersi cura delle sue pecore e degli agnelli sarà sempre in relazione a questo amore gratuito, a questo amore di amicizia.

Cari giovani sinodali, portare a conclusione la fase celebrativa del Sinodo diocesano, non vuol dire soltanto predisporre i testi sinodali e approvarli, significa soprattutto essere pronti a partire, ad essere inviati a vivere innanzitutto nella Chiesa e tra i giovani. Occorre, pertanto, «mentalizzarsi» al dopo Sinodo, prevedendo di assumersi precise responsabilità, corrispondentemente alle cinque aree e agli orientamenti pastorali enucleati, senza ritenere di aver concluso il proprio compito. È dopo la fine della fase celebrativa che incomincia la parte più cruciale del Sinodo e che dimostrerà se vi avete partecipato seriamente, comprendendo la vostra vocazione e la vostra missione di battezzati, cresimati ed eucaristizzati. Il periodo della preparazione e della celebrazione del Sinodo è stato per voi come l’essere vissuti in un «Cenacolo», in maniera analoga agli apostoli e a Maria. Dopo aver ricevuto lo Spirito santo essi ne uscirono fortificati e più coraggiosi nell’annuncio e nella testimonianza. Allo stesso modo anche voi dovrete sentirvi missionari intrepidi, disponibili ad essere protagonisti nella costruzione dell’edificio spirituale che è la Chiesa e nell’animazione cristiana della società, assieme a tutti quei giovani che riuscirete a rendere amici di Colui che è venuto per rendere nuove tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra.  Correte velocemente. Correte attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito santo vi sospinga in questa corsa in avanti. La Chiesa e il mondo hanno bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno come Chiesa di Faenza-Modigliana! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci (cf Christus vivit, n. 299). Buon lavoro!

[1] Cf FRANCESCO, Christus vivit. Esortazione Apostolica Postsinodale ai giovani e a tutto il Popolo di Dio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2019.

[2] Cf CV, nn. 64-109.

+ Mario Toso

Vescovo di Faenza-Modigliana

Conferenza di Truffelli sull’impegno politico

Fare politica per costruire la polis - 8 aprile a Faenza

Lunedì 8 aprile alle 20.45 nel complesso ex-salesiani di Faenza (Via San Giovanni Bosco 1), il prof. Matteo Truffelli, presidente nazionale di Azione Cattolica, terrà una conferenza pubblica sull’impegno politico: “Fare politica per costruire la polis, La politica con la P maiuscola, la politica sotto le parti”.


Consegna del Segno della Croce

Bagnacavallo, san Michele 24 marzo 2019

Cari giovani, è uno dei momenti più importanti e decisivi della vostra crescita cristiana: crescita, come dice l’aggettivo, secondo la forma di Gesù Cristo. Il nostro compito di credenti è l’immedesimazione con Gesù, come Figlio di Dio che redime il mondo e lo cambia in meglio non con la violenza, con gli eserciti, bensì mediante l’Amore, facendo di sé un dono totale, sino a morire. Egli morendo in croce, dando tutto se stesso sino all’ultima goccia di sangue, ci ha mostrato la via mediante cui si vince il male, il peccato, l’odio, l’opposizione a Dio. È la via dell’Amore, un Amore pieno di verità. Gesù ci ha mostrato che possiamo essere persone complete, piene di gioia, seppure crocifisse, vivendo l’Amore, ovvero persone impegnate, che lottano contro il male per far trionfare il bene, consumando se stessi. Normalmente si pensa di realizzarsi solo divertendosi, vestendo bene, accumulando ricchezze e successi, avendola vinta sull’altro. In realtà, realizziamo noi stessi donandoci, svuotandoci, come ci ha insegnato Gesù Cristo, amando il Padre e gli altri sopra ogni cosa. È morendo a noi stessi, servendo i nostri fratelli, specie i più poveri, che siamo più noi stessi, ossia persone che si realizzano mentre si donano. «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa maia, la salverà» (Lc 9,22-25). Queste parole di Gesù ci potrebbero rattristare e far pensare che la vita del credente sia una vita senza gioia, piena di sacrifici e di rinunce. In realtà, prendere la croce significa fare nostro il suo Amore e vivere la nostra esistenza come un dono incessante, come il suo, che sfocia nella vittoria sul peccato, nella pienezza di vita del Risorto. La vita del cristiano è una vita colma dell’amore di Cristo: un amore forte, indomito, che non si piega di fronte all’odio, al peccato, ma è disposto ad affrontare i pesi della lotta contro ogni forma di male: la povertà, l’umiliazione della dignità e della libertà altrui, l’ingiustizia, la violenza contro gli altri. Il cristiano desidera possedere lo Spirito d’amore di Gesù, prega ogni giorno per portarlo dentro di sé e con esso affrontare la vita, gli impegni quotidiani, partecipare alla redenzione ed umanizzazione della propria famiglia, del proprio paese, della propria Nazione e del mondo.

Bene hanno fatto i vostri animatori a presentarvi due modelli di credenti che si sono fatti imitatori di Cristo missionario e martire: san Oscar Romero e Annalena Tonelli, laica, nostra conterranea, ammazzata mentre era in Africa. Oscar Romero, arcivescovo in san Salvador, ha lottato contro la dittatura, le gang criminali che angariavano il suo popolo e hanno reso il Salvador il Paese del mondo col più alto tasso di omicidi. Il 24 marzo, mentre stava celebrando la Messa nella cappella dell’ospedale, viene ucciso dagli «squadroni della morte», braccio armato del regime. La sua figura ricalca quella di Gesù, che è stato insultato, preso a schiaffi, picchiato e infine ucciso. Negli ultimi anni, prima della morte, riceveva spesso messaggi anonimi e minacce di morte. Denigrato, diffamato, con il suo martirio ha risvegliato molte coscienze nella sua Nazione e ha mostrato che si può cambiare il proprio Paese non con la violenza bensì vivendo l’amore crocifisso di Gesù Cristo. Annalena Tonelli, nata a Forlì, dopo aver frequentato giurisprudenza a Bologna desiderò dedicarsi ai poveri, ai perseguitati e ai rifugiati specie in Africa. Fondò una piccola comunità di laiche missionarie. Era convinta che con l’istruzione si poteva aiutare i popoli più poveri ad emanciparsi. Per amore delle persone e delle donne africane, per debellare le malattie tropicali e la lebbra si specializzò in medicina. Spesso affermava che la sua unica appartenenza era Dio e il prossimo. Servendo i poveri, gli abbandonati e i malati intendeva seguire solo Gesù. Null’altro le interessava se non seguire Lui e i poveri per Lui. Venne uccisa con un colpo d’arma da fuoco alla nuca il 5 ottobre 2003.

Cari amici, in questo periodo quaresimale, di conversione e di crescita, guardiamo a Gesù Cristo, a san Oscar Romero e a Annalena Tonelli. Preghiamoli perché ci rendano fieri di essere di Cristo, pietra angolare della Chiesa, principio di una nuova creazione. Non abbiate paura di amare come Gesù. Solo il suo Amore vi colmerà di gioia.

+ Mario Toso