[giu 25] Omelia – San Josemaria Escrivá

25-06-2021

In questa celebrazione eucaristica  ricordiamo san Josemaria Escrivá e la sua devozione a san Giuseppe. Siamo, infatti, nell’anno dedicato da papa Francesco a san Giuseppe (cf Patris corde, lettera apostolica in occasione del 150° Anniversario della dichiarazione di san Giuseppe quale Patrono della Chiesa Universale [8 dicembre 2020]). Tra le ragioni della particolare devozione di san Escrivá a san Giuseppe è la vita semplice, normale e comune del patrono della Chiesa cattolica, fatta di anni di lavoro uguale, di giorni che si susseguono con apparente monotonia, quale artigiano che nella sua bottega si impegna a servire i suoi concittadini, a mantenere la sua famiglia, ad accompagnare Gesù che cresceva e diveniva adulto (cf Josemaria Escrivá, È Gesù che passa. Omelie, cap. 5). In tale lavoro umile, faticoso e fedele san Escrivá coglie una dimensione trascendente, vede l’immenso valore sovrannaturale della vita interiore del custode di Maria e di Gesù. La fede di Giuseppe è attiva. Si abbandona senza riserve all’azione di Dio, su cui riflette, ma non rinuncia assolutamente a pensare, né a far uso della sua responsabilità. Obbedisce in maniera intelligente, mettendo in atto la missione che gli è stata affidata da Dio: essere sposo di Maria e padre legale di Gesù.

Chi vuole imitare san Giuseppe deve cogliere il tesoro della sua vita interiore. San Giuseppe, commenta san Escrivá, ci insegna a conoscereGesù, a convivere con Lui, a sentirci parte della famiglia di Dio. Egli insegna ciò apparendoci così come fu: un uomo comune, un padre di famiglia, un lavoratore che si guadagna la vita con le proprie mani, nella dedizione completa di sé. San Escrivá pensò l’istituzione che fondò, ovvero l’Opus Dei, sulla scia dello spirito di san Giuseppe, facendo perno sul lavoro ordinario, sul lavoro professionale esercitato in mezzo al mondo, con la consapevolezza di servire Cristo, per portare salvezza a tutti, per costruire un mondo nuovo.

«La vocazione – scrive san Escrivá – accende in noi una luce che ci fa riconoscere il senso della nostra esistenza. La vocazione ci convince, con la luminosità della fede, del perché della nostra realtà terrena. Tutta la nostra vita, quella presente, quella passata e quella che verrà, acquista un nuovo rilievo, una profondità mai immaginata – noi viviamo in Cristo, non più per noi stessi, ma per Cristo, morto e risorto -. Tutti gli eventi e tutte le circostanze occupano il loro vero posto: comprendiamo dove il Signore vuole condurci e ci sentiamo come trascinati da questa missione che Egli ci affida».

San Giuseppe e san Escrivá, ci sollecitano a fare della nostra vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta. Come afferma san Giovanni Crisostomo, san Giuseppe è grande perché si è posto a servizio dell’intero disegno salvifico. Detto altrimenti, san Giuseppe, che è stato il padre legale di Gesù, assieme alla madre Maria, si è dato totalmente alla crescita del Figlio di Dio. Ciò facendo ha coltivato con affetto la vita di Gesù, ossia Colui che è  il principio di novità per eccellenza dell’umanità e della storia. San Giuseppe nei confronti di Gesù è stato l’ombra sulla terra del Padre Celeste, che protegge, abbraccia, porta il proprio figlio con braccia di tenerezza.

È importante per noi oggi continuare l’opera di san Giuseppe, come ci insegna san Escrivá. Vivendo nell’intimità di Gesù, annunciandolo e testimoniandolo, portiamo nell’attuale società, in preda spesso ad un individualismo libertario e utilitaristico, Cristo: principio di vita nuova, donataci come vita trinitaria, vita di comunione e di missione, vita che si modella come una esistenza comunitaria. In questi mesi saremo chiamati a riflettere su questo e a vivere tutti secondo percorsi sinodali, ossia percorsi fatti insieme, per essere soggetti ecclesiali che convergono nel potenziamento del bene comune: il Regno di Dio in terra, naturalmente aperto ad un futuro di pienezza.

Per quanto detto, dobbiamo essere consapevoli, che siamo chiamati – il cammino sinodale che inizieremo a breve ci ricorderà questo -, a riconoscere la struttura trinitaria secondo cui siamo stati creati e redenti. Una tale strutturazione relazionale, vissuta con passione, ci consentirà di essere più noi stessi, di essere lievito di vita nuova per la nostra società e per le culture odierne, che ci inclinano a chiuderci in noi stessi, senza vivere la comunione e il dono di noi stessi.

Chi accoglie Gesù Cristo, Colui che ci inserisce, con la sua incarnazione, morte e risurrezione, nella vita della Trinità, porta nel mondo il principio di un nuovo pensiero e di una nuova vita morale, fondata sul comandamento nuovo: amatevi come io vi ho amati. Sta qui la sorgente di una nuova cultura, aperta alla trascendenza, così necessaria in questo tempo di rinascita del nostro Paese, bisognoso di una nuova scala di valori e di una nuova educazione. Il cattolico, proprio per la sua identità in Cristo, non pensa mai da solo: pensa vivendo nella comunione con Dio e con Gesù Cristo, nello Spirito santo; non pensa mai fuori dalla Chiesa e dalla storia, perché i suoi principi costitutivi sono la comunione con il Figlio di Dio e la sua incarnazione. La questione del pensare sembra un po’ fuori moda, eppure è centrale in questo cambiamento d’epoca. Sarà fondamentale pensare cristianamente laicamente insieme, senza che ci sia estraniazione tra il nostro essere in Cristo e il nostro essere creati liberi e responsabili.

                                            + Mario Toso