[dic 18] Omelia – Non vanifichiamo l’Incarnazione di Cristo (Clinica San Pier Damiano)

18-12-2025

Faenza, Clinica san Pier Damiano, 18 giovedì 2025.

Cari responsabili della Clinica San Pier Damiano, personale medico, infermieristico, amministrativo, volontari, anche quest’anno sono stato invitato, in occasione del prossimo Natale, a visitare gli ammalati e a celebrare l’Eucaristia. Sono venuto volentieri in questa comunità che si dedica alle persone bisognose di cure, di assistenza, di riabilitazione e di accompagnamento, con una particolare dedizione.

Quest’anno siamo aiutati a vivere con maggiore verità il Natale dall’esortazione apostolica di Leone XIV Dilexi te, che è una riflessione sull’amore verso i poveri da parte innanzitutto di Gesù che si fa povero con i poveri e da parte nostra.

Leggendo con attenzione il testo, che è stato presentato in cattedrale il 4 dicembre scorso, ci si imbatte in questa affermazione: «Non è sufficiente limitarsi a enunciare in modo generale la dottrina dell’incarnazione di Dio; per entrare davvero in questo mistero, invece, bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà del Signore» (DT n. 110).

Quanto riportato ci induce a fermarci per capire cos’è realmente il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Non si tratta di un modo di dire, senza un significato concreto per la nostra umanità e per la nostra vita. Bisogna specificare che il Signore si fa carne che ha fame, che ha sete, che è malata, carcerata. Ecco il punto preciso su cui siamo chiamati a concentrare l’attenzione. L’incarnazione di Cristo è assunzione del nostro essere persone povere o, meglio, è assunzione della nostra umanità che vive diverse situazioni di povertà, compresa quella della malattia. Detto diversamente, con l’incarnazione nella nostra umanità povera, il Figlio di Dio vive concretamente nelle persone affamate, assetate, carcerate, discriminate, ammalate.

Per chi crede, e lavora nelle varie strutture ospedaliere, diventa un tratto distintivo della sua professionalità operare per le persone ammalate, riconoscendo in loro Cristo stesso. Per i cristiani, gli ammalati – umanità povera a causa della stessa malattia -, sono la stessa carne di Cristo. Con il Natale il Signore si fa carne nella persona ammalata. Il medico, l’infermiere o l’infermiera che si chinano sulla persona ammalata per curarla si chinano verso la carne di Cristo. Detto diversamente, il personale medico, infermieristico, tutti coloro che collaborano con essi per il bene dei pazienti, hanno la concreta possibilità di amare Cristo nei loro fratelli o sorelle ammalate, bisognose di accoglienza, di attenzione e di sostegno.

I medici cristiani, le dottoresse cristiane, in quanto sono Corpo di Cristo, sono cioè Chiesa, sentono come propria «carne» la vita degli ammalati. Il cristiano non considera l’ammalato solo dal punto di vista medico, ma lo considera anche primariamente dal punto di vista della sua appartenenza a Cristo. Lo considera come un suo «familiare» nella fede, uno della sua famiglia, quella cristiana. Non lo considera solo dal punto di vista umano, un fratello nell’umanità. Lo considera fratello nell’umanità e, in particolare, fratello o sorella in Cristo!

Se quanto detto ha un senso, si comprendono le conseguenze della fede nell’Incarnazione di Cristo, nella spiritualità, nelle modalità delle cure. Chi possiede uno sguardo non solo medico, professionale, ma anche di fede non sminuisce la dignità dell’ammalato, la libertà del degente, bensì le riconosce più facilmente e le serve con tutte le forze, con tutto l’amore di Cristo, con i mezzi moralmente consentiti, per il bene della persona ammalata. In quest’ottica non è condivisibile l’accanimento terapeutico. Nel caso di mali incurabili vanno potenziate, il più possibile, le cure palliative, anche a casa dei pazienti.

In ciò può aiutare, più di ogni cosa, non solo il non considerare l’incarnazione in maniera vaga, bensì il non vanificarla! Ossia vivendola nella sua verità più profonda, dal punto di vista religioso, teologale, come un vivere che partecipa all’Amore di Cristo e che pone sopra ogni cosa non il proprio io, bensì Dio, Bene Sommo, Infinito. In tal modo, cioè, dando il primato a Dio, è più agevole, nell’approccio alla persona ammalata, dare il giusto valore alla sua dignità, rispettare la sua libertà, realizzare il suo bene-essere integrale.

Viviamo, dunque, l’Incarnazione non in maniera vaga, folkloristica – solo a livello consumistico -, bensì in modo autentico, reale. Viviamo il realismo dell’amore di Cristo che si è fatto piccolo, prossimo nel povero, servo nell’amore a Dio.

Buon Natale a tutti.

                                                  + Mario Toso