[dic 14] Omelia – III Domenica di Avvento

14-12-2025

Cari fratelli e sorelle, più volte nella nostra vita di cristiani abbiamo vissuto la domenica di Avvento definita domenica della Gioia o domenica Gaudete. A fronte del Signore Gesù che viene a salvarci, facendosi piccolo, uno di noi, assumendo la nostra umanità nella sua interezza, il profeta Isaia invita la terra e la stessa umanità a sfavillare di contentezza. Ecco le immagini che il profeta adopera per la terra: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo». All’umanità, ai popoli della terra, alle persone sfiduciate e disilluse, così lo stesso profeta si rivolge: «Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! […] Egli viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto» (Is 35, 1-6a.8a.10).

Tutto, la terra e l’umanità, sostenuti dalla forza rinnovatrice del Signore Gesù, che incarnandosi rigenera il mondo, sono chiamati a percorrere la strada tracciata da Cristo, la strada della nuova creazione, con una vita che testimonia con gioia la sua Carità.

Su tale strada dobbiamo essere costanti, fino alla venuta del Signore (cf Gc 5,7-10), alla realizzazione piena del Regno di Dio.

Da chi dobbiamo imparare? Ecco la risposta di san Giacomo apostolo: «Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. […] rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi gli uni degli altri… Prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore».

Gesù stesso, parlando alle folle, indica, tra i profeti, Giovanni Battista che, fra i nati di donna, è il più grande. Ma chi, invece, vive nel Regno dei cieli con l’amore di Cristo, fosse anche il più piccolo, è più grande del Precursore.

Cari fratelli e sorelle, ciò che abbiamo udito proclamare sia da Isaia, sia da Giovanni Battista, sia da Gesù Cristo, il profeta dei Profeti, ci rincuora e imprime in noi entusiasmo, coraggio e speranza. I nostri cuori sono rinfrancati, perché il Signore Gesù è venuto, viene e verrà. Lui ci accompagna, ci ricrea con il suo Amore. Dalla Croce, su cui è stato posto, chiama a sé tutti e tutto. Li trasfigura, li porta nel suo Regno di luce, li fa ascendere lassù, ove sussiste un immenso ed eterno Amore, quello della Comunità trinitaria.

Ecco ciò che infonde speranza in noi sebbene camminiamo su questa terra con fatica, in mezzo agli imprevisti, nei drammi delle guerre che annientano gli innocenti: Colui che viene in noi ci innalza verso la Comunità d’amore, stabilizzandoci nella vita del Padre e dello Spirito.

Mentre trascorre la vita dobbiamo, dunque, rimanere vivi in Cristo, amandolo sopra ogni cosa. Detto con parole forse più comprensibili: non dobbiamo vanificare per noi, rendere inefficace l’Incarnazione del Figlio di Dio. Papa Leone XIV nel suo viaggio a Nicea ha riconfermato la fede della Chiesa in Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo. Parimenti ha sollecitato, assieme ai capi delle altre Chiese cristiane, a vivere nell’unità di Cristo, in un’unica comunione e famiglia. Ha ricordato che i cristiani nel mondo, ossia coloro nei quali vive Cristo, con la sua potenza d’amore e di pace, non sono un piccolo gregge, come sogliono ribadire i nostri sociologi e anche alcuni nostri teologi. Essi sono due miliardi. Sì, due miliardi, e quindi non un «piccolo gruppo di persone», non un piccolo fermento, entro la grande massa, che è l’umanità. C’è nel mondo, postovi da Gesù Cristo, un enorme potenziale di bene, che però viene vanificato e indebolito dalle divisioni, dal peccato della superbia. Non a caso, papa Leone, collegandosi al suo motto “Nell’unico Cristo siamo uno”, ha pregato la Madonna di Guadalupe per l’unità dei cristiani, specialmente durante la Messa per la Solennità di Nostra Signora di Guadalupe, lo scorso 12 dicembre 2025, a San Pietro. Davanti all’immagine della Madonna di Guadalupe ha invocato l’unità, la fine delle divisioni, sollecitando a non frantumare il mondo, a costruire la pace nella fede.

L’umanità è spesso tentata di vanificare l’Incarnazione di Cristo, venuto tra noi per unirci nell’unica famiglia di Dio. Gli stessi cattolici possono essere tentati di vanificare la forza redentrice, umanizzante e liberatrice di Gesù Cristo. Si pensi a quando gli stessi grandi valori del Vangelo vengono da loro dimenticati o posti per importanza dopo il successo, le rendite, il proprio partito, l’intelligenza artificiale, ritenuta oggi in grado di sostituire la coscienza e Dio stesso. L’incarnazione di Cristo è chiaramente vanificata per noi quando poniamo il nostro io al posto di Cristo e del suo Corpo, che è la Chiesa. E pure quando neghiamo una vocazione cristiana al sociale, al politico, al bene comune. Solo a condizione di riconoscere il primato di Cristo nella nostra vita potremo celebrare con autenticità la domenica Gaudete. Non vanifichiamo l’incarnazione del Figlio di Dio. Alleniamoci a viverla sempre più con verità, unendo il culto liturgico a quello della vita. Senza l’incarnazione del Missionario del Padre non c’è missione, evangelizzazione.

                                                      + Mario Toso