Faenza, 7 settembre 2025.
Caro Ministro provinciale, Frate Roberto Brandinelli OFM CONV, cari frati Ottavio Carminati, Franco Pietro, Mirko Montaguti, Tarcisio Centis, cari fratelli e sorelle, viviamo oggi anzitutto, nonostante la lacerazione del distacco,[1] un momento di ringraziamento al Signore per la secolare e feconda presenza dei figli di san Francesco in questa città, ma non solo. Quale ricchezza spirituale, pastorale, culturale! Viventi ancora san Francesco e Santa Chiara erano stabiliti a Faenza i tre ordini francescani (Frati minori, Clarisse, Terz’Ordine). Più tardi la città ospiterà un po’ tutti i rami della famiglia religiosa (Osservanti, Terziari regolari, Cappuccini, Riformati, Suore dell’Osservanza, Terziarie Francescane Figlie della Carità dell’Istituto Righi). Da allora i Figli di san Francesco comunicarono al popolo di Faenza e alla Diocesi, il messaggio del Fondatore: la conformazione a Cristo, il senso di appartenenza al suo Corpo sempre vivo, la Chiesa; il sentirsi membra del creato, famiglia di Dio, con un unico Padre, origine e fine per tutte le persone e il cosmo. Il messaggio di Francesco ha insegnato a tutti il valore evangelico della povertà, la fraternità, l’umiltà, la modestia e la semplicità.
I primi frati Minori di Faenza, come dovunque, furono inizialmente itineranti. Predicavano il Vangelo con la vita e la parola tra i mercanti dei sobborghi, i poveri degli ospedali e dei lebbrosari, i carcerati, gli studenti. Promuovevano le rappacificazioni tra i potenti in lotta, insegnavano a praticare la non violenza, proponevano l’obiezione di coscienza al servizio militare.[2]
Successivamente incominciarono a risiedere stabilmente in un punto preciso della città, il «luogo dei Frati minori di san Francesco della porta Ravegnana», l’odierna chiesa e convento di san Francesco. Abitavano in quei tempi in una casa di forme semplicissime e modeste conforme alla regola. Vollero, invece, che la loro chiesa, riedificata nel 1271, fosse solida ed elegante seppure sobria. L’attuale edificio settecentesco ricalca nel perimetro quasi esattamente l’antica. Parte degli antichi muri meridionali sopravvivono e recano tracce di porte e finestre ad archi ogivali. Attorno alla Chiesa crebbe un centro di studio e di formazione che alimentava la missione, l’apostolato. La loro vita, sia attiva sia contemplativa, era finalizzata alla crescita della Chiesa, alla diffusione del Vangelo. Nel loro convento di Faenza, come altrove, si insegnava ad orientare la scienza a Cristo, in vista della predicazione, della umanizzazione della vita cittadina e rurale. Dalla famiglia francescana faentina uscirono rinomati predicatori, quattro vescovi. Fin dal secolo XIII è presente a Faenza uno studio conventuale avente illustri maestri e scrittori. In età moderna due francescani faentini si distinsero, come profondi conoscitori di Duns Scoto, sia a Padova sia in vari studi d’Italia.
Se in un momento, in cui ci lasciano i figli di san Francesco, riflettessimo anche solo sulla storia della loro presenza centenaria tra di noi, potremmo assimilare cose importanti: la fede per essere meglio diffusa va accolta, approfondita, vissuta, testimoniata. Non possiamo accontentarci di una mera pratica rituale. Questa parrocchia, anche dopo la partenza dei nostri frati, è chiamata ad essere, con tutti i suoi soggetti, una comunità missionaria, che vivendo in comunione con Cristo, il missionario per antonomasia, insegna, catechizza, orienta le attività umane a Cristo, ricapitolatore di tutte le cose. Deve essere caratterizzata dallo spirito di fraternità, dalla cura samaritana dei poveri, dall’impegno di costruire il Regno di Dio nel mondo.
Il momento del distacco dai francescani non è momento di abbandono del loro insegnamento, del loro esempio come discepoli di Cristo, che si fa povero incarnandosi nell’umanità per arricchirla del suo Amore. Li porteremo nel cuore. Faremo germogliare nelle nostre vite, nelle famiglie, nelle varie associazioni, negli organismi di partecipazione, nelle istituzioni, la bellezza dell’Umanità di Cristo, come la contemplò e l’amò san Francesco. Si tratta di un’Umanità trasfigurata, che si fa dono, si prende cura dell’altro, del creato, che si riconosce creatura tra le creature: «Tutte le cose – infatti – sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui» (Col 1, 15-20).
È inevitabile una certa sofferenza per il distacco. Ma anche questa esperienza va vissuta con fede e con speranza. Per varie ragioni in Europa stiamo diventando sempre più “piccolo gregge”. A soffrire di questa situazione non è solo la vostra comunità. Soffre anche la Diocesi. Soffrono gli stessi superiori francescani, i vescovi della Romagna, di gran parte d’Italia. Se i vescovi e i presbiteri sono pastori, non possono non interrogarsi sul da farsi, su come incentivare l’impegno integrato di una pastorale vocazionale, giovanile, famigliare, culturale. Durante il mio episcopato in questa Diocesi, purtroppo, diverse comunità religiose non sono riuscite a rimanere. Un rapido elenco: Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto del Garda (Seminario Pio XII), Suore Figlie della Madonna del Divino Amore (Sant’Agata sul Santerno), Monache Clarisse di Santa Chiara ora a Monte Sanpaolo, Monache Camaldolesi di san Maglorio, Figlie di San Francesco di Sales (Tredozio), Suore della Sacra Famiglia dell’Istituto Lega (Modigliana), Suore di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo (Russi). Ad alcune di queste realtà religiose ne sono subentrate due. Prima della mia presenza qui, hanno lasciato i Domenicani e i Salesiani.
Credo che a fronte di tutto questo sarebbe importante che tutti, non solo il vescovo, il presbiterio, i diaconi, i religiosi, ma anche il variegato associazionismo cattolico, si ponesse a riflettere sulle proprie responsabilità nei confronti del Corpo vivo di Cristo che formiamo, soprattutto ponendoci l’interrogativo: cosa posso io, cosa possiamo fare noi, d’ora in avanti, perché Cristo sia maggiormente accolto, annunciato, celebrato, testimoniato? Credo che dobbiamo alzare lo sguardo rispetto ai nostri problemi personali ed interessarci maggiormente delle nostre famiglie, delle nostre comunità, delle nostre associazioni, della nostra Diocesi, della Chiesa universale. Se antiche istituzioni vengono meno, non ci dobbiamo rassegnare. Ascoltiamo lo Spirito del Signore che, come suscitò san Francesco, ci sollecita a riparare la sua Chiesa, a generare nuove comunità, istituzioni, modalità pastorali. Non esitiamo a ringiovanire, in un mondo che cade a pezzi, uniti a Cristo sempre giovane. Il Signore ci dice: «Non temere, la tua gioventù si rinnoverà come quella dell’aquila» (Agostino, Sermoni 81,8).
Cari fratelli conventuali, caro padre provinciale, lo dico con tutto il cuore, da vescovo e da fratello, grazie per la vostra presenza, per tutto ciò che con l’aiuto del Signore e di san Francesco, di sant’Antonio di Padova, di Maria Madre Immacolata, avete fatto per questa parrocchia, per la nostra Diocesi, per la Chiesa che è in alta Italia. Il Signore Gesù vi accompagni nella vostra missione, ovunque vi troviate. E vi benedica. Noi tutti ci apparteniamo. Nulla ci separerà dell’amore di Cristo (cf Romani 8, 35-39).
+ Mario Toso
[1] Il Capitolo della Provincia Italiana di s. Antonio di Padova dei Frati minori Conventuali, riunitosi a Camposampiero dal 17 al 26 febbraio 2025, ha deciso la chiusura della comunità in Faenza.
[2] Il Papa Onorio III intervenne in favore dei Terziari di Rimini e della vicina Faenza, che avevano manifestato il rifiuto di portare le armi per ordine dei podestà, promulgando il 16 dicembre 1221 la Bolla “Significatum est”.