OMELIA per l’ANNIVERSARIO della morte di don BENZI

Faenza, Basilica Cattedrale, 31 ottobre 2008
01-11-2008


Entriamo anche noi nel contesto della solennità di tutti i Santi, non tanto per ricordare delle persone, delle figure, delle storie, quanto piuttosto per ricordarci che c’è una situazione gloriosa, di beatitudine, c’è una eternità nella quale tutti siamo chiamati a entrare per i meriti del Signore Gesù morto e risorto.


Abbiamo davanti a noi il paradiso in questa festa; quindi più che preoccuparci di pensare ai nomi di questi santi che vengono ricordati durante l’anno, pensiamo alla moltitudine immensa che S. Giovanni ha visto nell’Apocalisse, che abbiamo sentito come prima lettura. Fra l’altro anche questo aspetto ci mette nel contesto del mistero pasquale, perché l’Apocalisse viene letta nel tempo di Pasqua nella liturgia.


Oggi la festa dei Santi è davvero una festa pasquale di vita, di risurrezione, di vittoria sulla morte e sul male, e ci mettiamo quindi anche noi in questo clima di festa e di gioia, guardando avanti, guardando oltre, guardando al dopo della nostra vita.


Ci aiuta in questa riflessione la figura di don Oreste, una figura che abbiamo conosciuto, di cui ringraziamo il Signore per avercelo donato in questo tempo così particolare, ma anche capace di accogliere e di accorgersi dei testimoni e di coloro che hanno qualche cosa da dire e da dare.


Lo ringraziamo il Signore per questo dono, anche se siamo qui a un anno dalla sua morte per ricordarlo e pregare per lui, perché possa pienamente entrare nella gioia del suo Signore. Dobbiamo ricordarci di pregare per i nostri morti; dobbiamo ricordarci di offrire sacrifici e opere buone per loro, nella comunione dei santi, in questo mistero grande e bello che fa sì che noi avvertiamo che non sono morti del tutto, ma che sono ancora vivi, in modo diverso. ‘Come saremo non è stato ancora rivelato’, ci ha detto S. Giovanni nella seconda lettura; ‘ma noi che siamo figli di Dio fin d’ora, sappiamo che lo vedremo così come egli è’.


A me piace ripassare con voi le beatitudini del Vangelo in trasparenza con la vita e l’opera di don Oreste. Non è che lo vogliamo beatificare, compito che spetta alla Chiesa che lo farà se e quando lo riterrà opportuno; ma per il nostro esempio e la nostra edificazione è bello ricordarlo nella filigrana di queste affermazioni che Gesù ha posto davanti ai suoi discepoli come strade per il Cielo.


Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli. Tutti ricordiamo la veste lisa di don Oreste, il suo colbacco, sempre quello; segni di un distacco dalle cose, di una libertà, di una povertà vissuta. Pur avendo da gestire tante opere e avendo da aiutare in tanti modi, credo che non si sia attaccato niente a quelle mani.


Beati quelli che sono nel pianto perché saranno consolati. Qui possiamo dire che è stato anche lui strumento di consolazione per quelli che piangevano. Perché è così: quando il Signore ci viene incontro con i suoi doni, si serve di qualche altro.


Beati i miti. Possiamo metterli insieme agli operatori di pace, coloro che sanno che in questa vita non si ottiene nulla con la violenza, ma che si deve costruire tutto nell’amore. Gli operatori di pace: coloro che per testimoniare e aiutare a fare la pace nei luoghi dove c’è la guerra guerreggiata venivano inviati da don Oreste come segni, le colombe della pace, con un messaggio, per dire che è possibile’ provateci’ lasciate perdere questi strumenti di morte.


Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia. La battaglia di don Oreste per ridare dignità alle donne ridotte in schiavitù dalla concupiscenza degli uomini e riconoscerne i diritti.


Beati i misericordiosi. Non guardare allo sbaglio fatto, al peccato, ma affidarsi tutti e sempre alla misericordia di Dio, per accogliere chiunque. ‘Ma questo l’ha voluto lui, perché si è messo lui per quella strada, ha assunto sostanze”. Non si guarda a queste cose quando c’è qualcuno da salvare, da liberare, da redimere, da rimettere sulla strada giusta. La misericordia: uno degli impegni più grandi che l’uomo possa realizzare; eppure è dimostrato che è possibile essere misericordiosi come il Padre, per conto del Padre, inviati dal Padre per usare misericordia.


Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. E lo vedranno nei piccoli, nei sofferenti, negli abbandonati, nelle persone sole. I puri di cuore: coloro che non si costruiscono dei diaframmi, ma hanno la semplicità che Dio ha dato ai piccoli, e si rendono capaci di vedere Dio dovunque si manifesta; certamente nella sua Parola, che don Oreste sapeva commentare con tanta efficacia; spezzava il pane della Parola per i suoi piccoli, coloro che lo seguivano, che si aspettavano da lui non soltanto la carità materiale, ma anche la carità della verità.


Beati i perseguitati per la giustizia perché di essi è il Regno dei cieli. Non sempre è stato facile anche per lui quello che ha fatto: le incomprensioni, le fatiche, le difficoltà, le obiezioni da parte di tanti; ma quando si intuisce che è il Signore che chiede, nulla può fermare un’anima che sa che non lo fa per sé ma lo fa per il Signore, il quale gli mette davanti le situazioni e chiede di affrontarle e di risolverle. È in questo modo che ha coinvolto tanti a seguirlo. E credo che questa sia l’eredità più bella, insieme all’esempio della sua vita, che don Oreste ci ha lasciato: qualcuno che è capace non solo di continuare, ma di dilatare l’opera di carità che lui ha avviato nel nome del Signore, sapendo che un giorno anche lui sarebbe andato a riposare nell’eternità.


E non è una coincidenza il fatto che sia morto il due di novembre, quando la Chiesa ricorda tutti i nostri morti, per dirci che entriamo nella vita con quel passaggio. La nostra esistenza è sempre iscritta in una liturgia; è liturgia essa stessa, segnata dai sacramenti nella tappe fondamentali, dall’inizio, al passaggio della crescita; pensiamo al sacramento dell’ordine per don Oreste, sacerdote di Cristo. Anche la sua fine è stata iscritta in una liturgia, perché dalla liturgia noi dobbiamo non soltanto imparare un esempio, ma attingere la forza e la grazia, attraverso la preghiera, i sacramenti, la parola di Dio.


Così la liturgia eterna del cielo che ci attende sia la pienezza, la sublimazione della liturgia che in anticipo come caparra celebriamo su questa terra.