Intervento sulla educazione in una società complessa

26-01-2018

Educare non è mai stato facile ma oggi, in una società complessa, sembra ancora più difficile. Tra tutte le emergenze quella educativa è sicuramente una delle più preoccupanti: essa indica il clima di smarrimento etico-culturale delle nuove generazioni, ma anche degli adulti, circa la stessa possibilità e sensatezza dell’atto educativo: educare si può?
Tra i fattori di crisi dell’educazione vi è senz’altro da porre l’esistenza di una società complessa, culturalmente policentrica. Questo induce le persone a fare riferimento a molteplici centri culturali e di interesse. La società complessa, massmediatizzata produce una crisi del senso di appartenenza a sé, alle varie società-comunità, ad una cultura della relazione.
In definitiva, la società complessa, politeista, telematica, espropria le persone da se stesse, dal proprio io profondo, dalla propria identità; le disgiunge dagli altri, dalla famiglia, dall’appartenenza sociale, incapsulandole in un individualismo radicale e libertario, lasciandole in balia di una cultura dell’indifferenza nei confronti dell’altro. L’esito logico è l’uomo “in frammenti”, cioè un soggetto che non si appartiene, è debole, che non è più in grado di percepirsi come una unità, ma è diviso in se stesso. Porta dentro di sé più valori o disvalori, molteplici visioni deviate dell’uomo, spesso inconciliabili fra di loro, sperimentando un’anemia spirituale che sconfina con il non senso e il vuoto, l’assenza di una vocazione e di una direzione. Peraltro, emerge un io prometeico, che intende essere misura ultima di tutto, del bene.
In un simile contesto socio-culturale, in cui la persona, paradossalmente, non gode del primato ed è spesso ridotta a cosa, in cui i singoli indossano un «io» artificiale, costruito da altri e imposto alla nostra libertà, l’educazione è chiamata ad aiutare i giovani e le persone a riappropriarsi del proprio io-in-relazione, trascendente, a prendere in mano la propria vita per deciderla secondo una libertà responsabile.
Può sembrare strano, in un contesto in cui si è sempre di corsa (il sociologo Zygmunt Bauman ha scritto un volumetto intitolato Vite di corsa, che descrive molto bene la nostra situazione) e si dedica poco tempo alla riflessione, al silenzio interiore, e si vive di immagini della realtà, si è più soli, la scuola odierna è chiamata ad essere socratica, ossia capace di aiutare i giovani e le persone ad entrare in sé, a riflettere, per conoscere se stessi secondo dimensioni originarie, non artificiali, bensì genuine, vocazionali e relazionali. L’educazione, strutturandosi sempre più in opera comunitaria e, quindi, coinvolgendo il corpo degli insegnanti, le famiglie, le comunità civili e religiose, deve farsi soggetto generativo di personalità autonome e critiche ma nello stesso tempo relate, solidali, capaci di vivere a servizio del bene comune, considerato superiore al bene del singolo cittadino in quanto cittadino; deve contribuire allo sviluppo totale, ossia o al compimento umano in Dio dei giovani.
Per fare questo, l’educazione deve organizzarsi:
a) attorno al primato della realtà rispetto alle idee, all’artificiale. Rispetto ai libri, ai programmi, ai metodi, agli strumenti tecnologici, alle conoscenze delle lingue è prioritaria la persona dello studente, presa nella sua concretezza storica, al livello di crescita in cui si trova, approcciata con empatia, mediante accompagnamento progressivo. La realtà è la principale alleata dell’educatore in una società multimediale che sospinge i giovani a volere tutto e subito, senza tener conto del tempo, delle fatiche necessarie per crescere e per formarsi;
b) attorno alla progressiva scoperta e conoscenza del proprio io interiore, delle proprie capacità di giudizio, di fare, delle proprie sensibilità, conosciute e messe alla prova entro un contesto di relazioni interpersonali, entro un «noi-di-persone», mediante il tirocinio del «tu», come soleva scrivere Emmanuel Mounier;
c) attorno all’asse del dono disinteressato e del servizio, della relazionalità: si cresce mediante il dono di sé, non sulla tomba della società e della comunione;
d) attorno alla vocazione inscritta in sé, sorgente dei sogni della propria vita, alimentati dalla ricerca del volto di Dio e del volto degli altri in Lui.
In ultima analisi, l’educazione deve aiutare il giovane a divenire una persona matura, mediante l’assunzione di un giudizio critico, di atteggiamenti, di una condotta, guidata da una visione completa di uomo o donna. Tutto ciò richiede un insieme organico di convinzioni, di azioni, di interventi, di mezzi e di metodi, di strutture che divengono ambiente a servizio della vita, che concretizzano una presenza accogliente, incoraggiante, preventiva e promozionale degli educatori.
In questi giorni vicini alla festa di san Giovanni Bosco, ricordiamolo come modello di educatore che incentra la sua attività sulla prevenzione. Per lui l’educazione è «cosa di cuore». Proprio per questo soleva ripetere che l’educazione richiede la presenza costante dell’educatore. Senza vivere in mezzo ai giovani, con una presenza accogliente, incoraggiante, propositiva, non repressiva o di mero controllo, non è possibile divenire loro amici, confidenti. Ciò vale anche per i genitori che oggi sono spesso fuori casa e vivono poco tempo con i loro figli. La presenza dell’educatore deve essere garantita nei nostri oratori, nelle associazioni, nelle comunità parrocchiali. In un contesto in cui i sacerdoti e gli educatori scarseggiano risulta chiaro che l’educazione diventa sempre meno incisiva. Occorre lavorare per preparare degli educatori a tempo pieno.