Ravenna, Parrocchia San Simone e Giuda, 9 gennaio 2025.
Premessa
Cari confratelli salesiani, siamo entrati nell’Anno Santo 2025. Papa Francesco ha aperto la Porta santa in san Pietro nella notte del 24 dicembre scorso 2024. Nelle nostre Diocesi italiane l’Anno Giubilare è stato aperto il 29 dicembre scorso. Credo sia importante sottolineare come l’Anno Santo 2025, come ogni Anno Santo, d’altronde, sia strettamente congiunto con la grazia o, detto con altre parole più accessibili, con la novità di vita che è donata all’umanità mediante l’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Non a caso, papa Francesco ha aperto l’Anno Santo 2025 nella notte del Natale 2024, volendo con ciò far comprendere, in maniera più evidente, come c’è un nesso stretto e palese tra Anno Santo e Natale. L’anno di grazia del Giubileo proviene, sgorga, dal cuore del Redentore, (cf Dilexit nos, n. 1) accolto, celebrato a Natale!
Detto altrimenti, noi riusciremo a vivere bene il Giubileo se vivremo in profondità il mistero dell’Incarnazione di Gesù Cristo, che muore e risorge per salvare e rinnovare il mondo. Vivremo autenticamente la grazia o, meglio, la vita nuova che ci è richiesta dal Giubileo, solo se il nostro cuore verrà guarito da Cristo, solo se il nostro cuore, cuore di pietra, diverrà un cuore di carne, ossia un cuore che si apre all’affetto e all’amore che viene dal cuore di Cristo, Verbo di Dio fattosi umanità, carne. In sostanza, non potremo vivere il Giubileo e le sue istanze riformatrici se non ci convertiremo a Dio Padre, se non scenderemo in profondità nel nostro essere, se non scenderemo nella nostra interiorità, sino al nostro cuore – noi siamo, in ultima analisi, il nostro cuore -, per aprirlo al cuore di Cristo, al suo Amore, per vivere nel Cuore di Cristo, che ci conduce al Cuore di Dio Padre. Oggi, in una società fluida e che vive spesso superficialmente, il rischio è quello di perdere di vista il centro della persona, il cuore dell’uomo, che finisce per essere trascurato quando, invece, dovrebbe essere il punto di partenza per costruire la propria vita. Ebbene, il nostro cuore viene guarito e reso più capace di amare, di cambiare le cose, di creare movimenti sussultori che spaccano le incrostazioni che soffocano la vera vita, quando apre le sue porte all’Emmanuele, al Dio con noi, quando accoglie lo Spirito che è riversato nel nostro cuore dall’amore che ci è comunicato da Cristo.
- Da una vita che vive in profondità deriva l’impegno dell’evangelizzazione del sociale
Per quanto detto in Premessa, se desideriamo vivere e far vivere autenticamente il Giubileo siamo chiamati ad un impegno pastorale che lavora in profondità, ossia a un impegno di evangelizzazione che porta i credenti e le nuove generazioni ad accrescere la loro comunione con Gesù Cristo, con Colui che può aiutare a superare il razionalismo imperante, l’intellettualismo generatore di un individualismo malsano che non dà spazio all’amore, ad un vero incontro con gli altri, a Dio Amore. Siamo chiamati, in particolare, con l’annuncio e la catechesi, a illuminare sulla comunione con Cristo redentore, che ricapitola in sé tutte le cose. Siamo chiamati a parlare di «cuore» e a educare il «cuore», affinché nasca una scintilla d’amore per Gesù Cristo, vivendo la consapevolezza di essere uniti a Lui, incamminati verso il traguardo rappresentato da una umanità in pienezza, trasfigurata dallo Spirito del Risorto.
- Nella pastorale siamo chiamati ad illuminare sulla nostra comunione con Cristo Redentore, che ricapitola in sé tutte le cose: le radici dell’evangelizzazione del sociale
L’anno Giubilare va vissuto, come nell’Antico Testamento, come un anno di clemenza, di liberazione e di giustizia per tutti coloro che vivono sulla faccia della terra. Ma va vissuto in relazione a Gesù Cristo, inserito nel grande Evento dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio. Papa Francesco, aprendo la porta dell’anno santo nella notte di Natale ci ha voluto far capire, in maniera tangibile e visiva, come già accennato, che il Giubileo della speranza 2025 si innesta nel tronco dell’albero della Vita, che è la Croce di Cristo, speranza che non delude (cf Rm 5,5). Esso va celebrato e vissuto in comunione con Colui che ci colma di speranza, una speranza che non delude. Solo a partire dal cuore di Cristo crocifisso, solo camminando uniti al suo Cuore – che è estasi, uscita e dono totale, incontro – diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di realizzare le istanze spirituali e morali del Giubileo, costruendo in questo mondo, per quanto possibile, il Regno di Dio, regno di giustizia e di pace. Solo il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di compiere dei «miracoli sociali»,[1] che lo stesso Messaggio per la pace “Rimetti a noi i nostri debiti, concedi la pace” ci suggerisce di realizzare.
L’anno giubilare è anno di speranza – è bene ribadirlo – perché scaturisce da Cristo nostra speranza. Ciò induce ad approfondire il nesso stretto tra Anno santo e Natale. La grazia che dobbiamo accogliere e vivere con/nel Giubileo è la stessa che riceviamo con la nascita di Dio nella nostra umanità, nel mondo. Divenendo Bambino, il Figlio di Dio viene ad abitare nella nostra umanità per divinizzarla, per renderla nuova, capace di amare, di perdonare come Lui. La vita nuova che, durante il Giubileo, siamo chiamati a concretizzare e a estendere al mondo, ferito da ingiustizie, guerre fratricide, povertà, disastri ecologici, a seguito anche di alluvioni e di terremoti, è la stessa vita di amore, di perdono, di bontà, di servizio solerte al bene comune – specie nei confronti dei più poveri -, che ci è portata da Gesù, il Figlio di Dio, nato da Maria.
L’ incarnazione del Figlio di Dio ci pone in una comunione mirabile con Lui morto e risorto. Ne condividiamo l’amore e la vita immortale. Se noi siamo associati alla vita del Figlio e camminiamo con Lui, il percorso della nostra vita è, in certo modo, indicato. Noi cresciamo in pienezza nella nostra singola umanità, ma anche come famiglia umana, se viviamo in comunione con il Signore Gesù che ci divinizza, ci rende capaci di amare come Dio, siede con la sua umanità gloriosa accanto al Padre e ci attende lassù per condividerla.
È così che noi diveniamo pellegrini di speranza! Aneliamo a partecipare al compimento umano che Cristo ha già realizzato. L’amore di Cristo, a noi partecipato con il suo Natale, ci mette in marcia verso un’umanità in pienezza. Siamo chiamati non a qualcosa di astratto, di etereo, bensì verso Gesù Cristo, che è l’insuperabile assoluto umano di Dio! Con noi e attraverso di noi avanzano, verso il Cristo glorioso, tutte le creature.[2] Tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, vengono ricondotte a Cristo, ricapitolate in Lui, unico capo, mediante la ricchezza della sua grazia-amore che è stata riversata in noi dal suo Spirito (cf Ef 1,10).
Nella nostra esistenza terrena, contrassegnata da ingiustizie, conflitti, diseguaglianze, prevaricazioni sui più deboli, sfruttamenti delle risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, trattamenti disumani delle persone migranti, non possiamo limitarci, per conseguenza, ad aspettare. Dobbiamo annunciare, organizzare, costruire la speranza! Come pellegrini della speranza, che è Cristo Gesù, proprio per essere segni efficaci e luminosi di speranza, dobbiamo tracciare e concretizzare cammini di speranza per tutti. Tocca a tutti organizzare la speranza e tradurla nella quotidianità, nei rapporti umani, nei legami con il pianeta, nell’impegno sociale e politico. Tocca, ovviamente, anche alla Chiesa e ai credenti, pena la contro testimonianza, la rinuncia a vivere il sacerdozio, la profezia, la regalità di Cristo, che si è incarnato, è morto e risorto per noi, per l’umanità. Nella sua pienezza trascendente abbraccia e illumina tutto. È così che Egli porta a compimento la nuova creazione iniziata con l’Incarnazione. È nel mistero a/da noi partecipato della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo risorto che trova le sue radici il mostro impegno pastorale di far comprendere ai credenti la dimensione sociale della loro fede, della loro vocazione al sociale, della loro partecipazione all’evangelizzazione del sociale.
- Siamo chiamati a parlare di «cuore» e a educare il «cuore»
Le persone costruiscono la loro vita a partire dal cuore, che consente di coesistere con gli altri cuori, di riconoscersi come dei «tu» entro un «noi» di cuori.[3] Nel cuore di ogni persona si produce una stretta connessione tra la valorizzazione di sé e l’apertura agli altri, tra l’incontro personalissimo con sé stessi e il dono di sé agli altri. Si diventa sé stessi quando si acquista la capacità di riconoscere l’altro, e si incontra con l’altro chi è in grado di riconoscere e accettare la propria identità.[4] È il cuore che ci fa riconoscere gli altri come identità spirituali, come degli «io» distinti e, nello stesso tempo, come esseri interi, fatti di anima e corpo, soggetti liberi e responsabili, strutturati a tu. È il cuore che ci mette in comunione con le altre persone e ce le fa amare come centri di amore, secondo la verità dell’essere globale della nostra persona, vivente come sinolo di anima e di corpo.[5] «Il “cuore” ascolta in modo non metaforico “la silenziosa voce” dell’essere, lasciandosi temperare e determinare da essa».[6] Il cuore coglie i nostri legami, rende possibili vere e sane relazioni favorendo l’apertura agli altri; supera la frammentazione degli individualismi, ci fa diventare noi stessi assieme agli altri, assieme a Dio, vivendo in una comunità fraterna.
Chi intende parlare del «cuore», centro della persona, che vive Cristo, unito a Cristo, che si sente chiamata a vivere in maniera cristo conforme, ossia secondo la totalità di Cristo che si incarna e ricapitola in sé tutte le cose con il suo amore; chi intende educare il credente a partecipare all’opera di redenzione globale realizzata da Cristo non può non educarlo alla dimensione sociale della fede, all’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa, avente la missione di annunciarlo e di testimoniarlo come Colui che fa nuove tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra.
- Aiutare i credenti a riconoscersi debitori: ulteriori implicanze educative
Celebrare il Giubileo, connesso con il mistero della redenzione di Cristo, significa sentirsi chiamati a rompere le catene dell’ingiustizia, a porre condizioni di uguaglianza. Ma, prima ancora, significa riconoscere l’errore di negare di avere un unico Padre, Dio, che destina i beni della terra a tutti. Ignorare di avere un unico Padre porta a negare la fraternità tra gli uomini, la destinazione universale dei beni, la solidarietà e, quindi, i nostri debiti e i nostri doveri di giustizia. Porta alla mancanza sia di gratitudine nei confronti di Dio sia di responsabilità nei confronti dei propri fratelli. È spalancata la porta dello sfruttamento dei propri fratelli, della crisi del debito estero dei Paesi più poveri[7] sulle cui spalle pesa talvolta il peso del debito ecologico dei Paesi più sviluppati.[8] È chiedendo perdono a Dio, mediante conversione, che poniamo le condizioni per riconoscere la fraternità tra i popoli, per rimuovere le ingiustizie e le diseguaglianze. Papa Benedetto insegnava che «convertirsi significa cambiare direzione nel cammino della vita: non, però, con un piccolo aggiustamento, ma con una vera e propria inversione di marcia. Conversione è andare controcorrente, dove la “corrente” è lo stile di vita superficiale, incoerente ed illusorio, che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male o comunque prigionieri della mediocrità morale. Con la conversione, invece, si punta alla misura alta della vita cristiana, ci si affida al Vangelo vivente e personale, che è Cristo Gesù. È la sua Persona la meta finale e il senso profondo della conversione. È Lui la via sulla quale tutti sono chiamati a camminare nella vita, lasciandoci illuminare dalla sua luce e sostenere dalla sua forza che muove i nostri passi».[9]
C’è bisogno di un cambiamento spirituale e culturale. In una simile situazione, quella della crisi del debito, dobbiamo riconoscere che siamo tutti debitori, che abbiamo doveri di giustizia. Tutti, Paesi ricchi e Paesi poveri, sono chiamati a riconoscersi debitori gli uni degli altri. La crisi del debito, che può essere considerata una «struttura di peccato» – implicante una logica di sfruttamento del debitore, ove il più forte pretende di avere il diritto di prevaricare sul più debole -, potrà essere superata quando ci si riconoscerà finalmente tutti figli del Padre e, davanti a Lui, ci si confesserà tutti debitori, ma anche tutti necessari l’uno all’altro, secondo una logica condivisa e diversificata. Solo allora potremo scoprire una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri.[10] Il cambiamento spirituale e culturale comanderà il cambiamento delle «strutture di peccato» sulle quali scrisse san Giovanni Paolo II nell’enciclica Sollicitudo rei socialis.[11]
Col cambiamento spirituale e culturale papa Francesco suggerisce vari cammini di azione, come altrettanti percorsi di speranza, che possono ridare dignità alla vita di intere popolazioni e rimetterle in cammino sulla via della speranza. Tra i percorsi importanti di speranza da attuate papa Francesco indica: la consistente riduzione se non il totale condono del debito estero e del debito ecologico; la promozione, ferma ed ampia, di una cultura della vita e della speranza, attraverso in particolare, il rispetto della dignità delle vita umana dal concepimento alla morte naturale e l’eliminazione della pena di morte; la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico.
- Per una conclusione: camminare più spediti verso l’evangelizzazione del sociale e verso la pace
Papa Francesco reputa che le azioni suggerite, qualora messe in atto, possano rendere più vicina l’agognata meta della pace.[12] Quando, oltre a quelli appena sopra elencati, si aprono altri sentieri di speranza come, ad esempio, la cessazione dell’aggressione di altri Paesi e l’apertura di trattative di pace, come l’eliminazione di tante situazioni di sfruttamento della terra e del trattamento disumano delle persone migranti, come forme di amnistia o indulto per restituire speranza ai detenuti,[13] come il superamento della crisi della democrazia che ha il cuore ferito,[14] come l’amore politico che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause,[15] come la creazione di un’Agenzia internazionale per l’IA che ne promuova le applicazioni pacifiche nei vari contesti civili, perché non siano sostituite le capacità dell’uomo anziché aumentarle, per ridurre effettivamente le diseguaglianze -,[16] si può contribuire al ristabilimento della giustizia e della pace. Ma non va dimenticato che la vera pace può nascere solo da un cuore disarmato: «un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo».[17]
Previe a tutto questo sono la speranza di un’umanità fraterna e la fede, che ci consentono di riconoscerci tutti fratelli e sorelle, di camminare accanto a fratelli e sorelle ritrovati. «La speranza di un mondo fraterno non è un’ideologia, non è un sistema economico, non è il progresso tecnologico. La speranza di un mondo fraterno è Lui, il Figlio incarnato, mandato dal Padre perché tutti possiamo diventare ciò che siamo, cioè figli del Padre che è nei cieli, e quindi fratelli e sorelle tra di noi».[18]
Con l’annuncio di Gesù Cristo, della sua amicizia per tutti, testimoniamo in mezzo all’umanità Colui che tutti convoca e tutti invia verso un Giubileo evento di tutti. Aiutiamo le nuove generazioni a prendere sempre più coscienza che sono richiesti per il Signore, per Lui solo (cf 1 Sam 1,28).
Altri debiti su cui far prendere coscienza con la catechesi e l’educazione:
debiti nei confronti dei poveri e dei ricchi (cf M. Delpini, Lasciate riposare la terra, Bonardi grafiche, Milano 2024, pp. 14-17), debiti nei confronti degli alluvionati, colpiti da ben tre alluvioni (qui mi sento di ringraziarvi come comunità salesiana che ha inviato alla Diocesi di Faenza-Modigliana il suo sostegno economico); debiti nei confronti dell’opera educativa chiamata a fronteggiare l’odierno disastro antropologico, debiti nei confronti della cultura cattolica oggi in frantumi in un contesto di progressiva scristianizzazione, debiti nei confronti di un sistema sanitario e sociosanitario sempre più impoverito di personale e di risorse, debiti nei confronti della terra devastata e delle città inquinate, degli alluvionati, debiti nei confronti della carenza delle vocazioni alla famiglia, al presbiterato, alla vita consacrata.
+ Mario Toso
[1] Cf DN, nn. 28-29.
[2] Cf DN, n. 31.
[3] Cf DN, n. 12.
[4] Cf DN, n. 18.
[5] Cf DN, nn. 14-16. È a questo punto, ossia quello del cuore come ciò che ci consente di cogliere il centro delle persone, la realtà tutt’intera della persona, in quanto essere corporeo e spirituale, è su questo piano, quello del cuore che non esclude, anzi implica una connessione con la verità dell’essere, che troviamo la continuità tra il magistero sociale di Benedetto XVI, autore dell’enciclica Caritas in veritate, e il magistero sociale di papa Francesco che scrive l’enciclica Dilexit nos.
[6] DN, n. 16.
[7] Il problema del debito affligge in particolare molti Paesi del sud globale. Affligge milioni di famiglie e di persone nel mondo. Parlando della crisi del debito, papa Francesco, il 5 giugno 2024 ebbe a dire: «Ai popoli non serve un finanziamento qualsiasi, ma quello che implica una responsabilità condivisa tra chi lo riceve e chi lo concede. Il beneficio che questo può apportare a una società dipende dalle sue condizioni, da come viene usato e dagli ambiti in cui si risolvono le crisi dei debiti che possono prodursi. Dopo una globalizzazione mal gestita, dopo la pandemia e le guerre, ci troviamo di fronte a una crisi del debito che colpisce soprattutto i Paesi del sud del mondo, generando miseria e angoscia, e privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso. Di conseguenza, nessun governo può esigere moralmente dal suo popolo che subisca privazioni incompatibili con la dignità umana. Per cercare di rompere il circolo finanziamento-debito sarebbe necessaria la creazione di un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue implicazioni economiche, finanziarie e sociali. L’assenza di tale meccanismo favorisce il “si salvi chi può”, dove a perdere sono sempre i più deboli» (Francesco, Discorso ai partecipanti all’Incontro “Debt Crisis in the Global South”, 5 giugno 2024).
[8] In generale, il debito ecologico fa riferimento, in termini di obbligazione e responsabilità, a quanto i Paesi industrializzati, o Nord del mondo, hanno accumulato nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, o Sud del mondo, per aver sfruttato le loro risorse naturali e aver contribuito in modo determinante al loro degrado ambientale e sociale. Su questo ha scritto l’enciclica Laudato sì’ (cf nn. 51-52) come anche l’esortazione apostolica Laudate Deum (4 ottobre 2023), che ha evidenziato sia la debolezza della politica internazionale sia i progressi e i fallimenti delle Conferenze sul clima.
[9] Benedetto XVI, Udienza generale, 17 febbraio 2010; corsivo non presente nel testo originale.
[10] Cf Francesco, Messaggio per la giornata mondiale della pace 1° gennaio 2025, n. 8.
[11] Cf Giovanni paolo ii, Sollicitudo rei sociallis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1987, nn. 35-37. Le «strutture di peccato» o i peccati sociali si radicano nei peccati personali e, quindi, sono sempre collegati ad atti concreti delle persone che, da sole o in gruppo, li introducono, li consolidano, li rendono difficili da rimuovere. E così si rafforzano, si diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli uomini.
[12] Una puntuale e pregnante traduzione delle istanze spirituali, pastorali, sociali, culturali, pedagogiche dell’Anno Giubilare 2025, specie con riferimento alla Diocesi di Milano, è rappresentata dal Discorso alla città, tenuto nella Basilica di sant’Ambrogio (Milano, 6 dicembre 2024) dall’arcivescovo Mario Delpini (cf Lasciate riposare la terra. Il Giubileo 2025, tempo propizio per una società amica del futuro, Boniardi grafiche, Milano 2024).
[13] Cf Francesco, Spes non confundit, n. 10: «Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio. Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi». Il richiamo è rivolto ai governi di tutto il mondo. Nell’ordinamento italiano esistono proprio i due istituti indicati da papa Francesco, l’amnistia e l’indulto. L’amnistia (art. 151 del Codice penale e art. 79 della Costituzione) estingue il reato. Mentre l’indulto (art. 174 Codice penale) condona in tutto o in parte la pena inflitta oppure la commuta in un’altra specie di pena. Infine, ci può essere la grazia che, si potrebbe dire, è come un indulto, ma ha un valore particolare, ossia riguarda un solo soggetto o più soggetti, ma non tutti i rei. Alle parole di papa Francesco sulle condizioni delle carceri ha fatto eco il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella che nel suo Messaggio di fine anno ha richiamato «il dovere del rispetto della dignità di ogni persona umana, dei suoi diritti, anche per chi si trova in carcere. L’alto numero dei suicidi è indice di condizioni inammissibili». «Abbiamo il dovere – ha proseguito Mattarella – di osservare la Costituzione che indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere. Il sovraffollamento vi contrasta e rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario. I detenuti devono poter respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine. Su questo sono impegnati generosi operatori, che meritano di essere sostenuti». Poco tempo dopo le parole del Presidente Mattarella la Presidenza della CEI ha emesso la seguente Nota: «Esprimiamo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per le parole che ha rivolto al Paese nel Messaggio di fine anno. È un’occasione per rinnovargli la nostra riconoscenza per il suo servizio di custode e garante della democrazia e dei valori della nostra Repubblica e dell’Europa. Lo ringraziamo, in particolare, per aver ricordato le tante povertà che segnano il nostro tempo e le nostre comunità. Tra queste, la drammatica situazione delle carceri che impone un ripensamento radicale del sistema penitenziario. “Abbiamo il dovere – ha sottolineato il Presidente – di osservare la Costituzione che indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere. Il sovraffollamento vi contrasta e rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario. I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”. Attualmente, i 189 Istituti italiani ospitano 61.246 persone su una capienza di 51.230 posti. L’indice di sovraffollamento, pari a 130,44%, e i suicidi, sempre più numerosi, chiedono ascolto: la disperazione non può avere come risposta l’indifferenza. Serve uno sforzo collettivo per assicurare condizioni dignitose a quanti vengono privati della libertà e per offrire percorsi adeguati perché la detenzione sia un’occasione di rieducazione e redenzione. Per garantire sicurezza, c’è bisogno di giustizia, non di giustizialismo. Esistono misure alternative che, oltre a prevenire la reiterazione di un reato, salvaguardano l’umanità e favoriscono il reinserimento nella società: se ben proporzionate e gestite con saggezza, sono in grado di produrre un cambiamento e di guardare al futuro. Non si tratta di scorciatoie o concessioni buoniste, ma di un vero dovere costituzionale e, per i cristiani, di un atto di amore. Occorrono però strumenti e finanziamenti mirati ed efficaci, lavoro, collaborazione degli enti locali e dell’amministrazione penitenziaria. Esperienze bellissime, diffuse sul territorio, dimostrano che un’altra realtà esiste, che il traguardo della “recidiva zero” è possibile. È una sfida da affrontare insieme: Istituzioni, società civile, comunità ecclesiale, con il supporto del mondo del volontariato, fondamentale anche nel fare cultura fuori da pregiudizi e distorsioni. A pochi giorni dall’apertura del Giubileo e della Porta Santa nel carcere di Rebibbia, a Roma, ripetiamo l’appello che Papa Francesco ha lanciato nella bolla di indizione Spes non confundit: “Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”. È necessario mettersi in ascolto e dare dignità al grido degli ultimi: come Chiesa in Italia continuiamo a camminare con i fratelli che hanno sbagliato, con amore, perché questo ci fa riconoscere nell’altro la persona che è sempre degna della nostra compassione.
La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana»
[14] Cf Francesco, Al cuore della democrazia, Libreria Editrice Vaticana-Il Piccolo, Noventa Padovana 2024.
[15] Cf Francesco, Discorso presso il Centro Congressi “Generali Convention Center” di Trieste (domenica, 7 luglio 2024), in M. Toso, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 20252, pp. 329-338.
[16] Cf Francesco, La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore, Piemme, Milano 2024, p. 158.
[17] Francesco, Messaggio per la giornata mondiale della pace 1° gennaio 2025, n. 13.
[18] Francesco, Omelia, martedì 31 dicembre 2024.