[dic 10] Omelia – Madonna di Loreto

10-12-2025

La Madonna di Loreto e la casa ove Ella è vissuta ci ricordano il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio.

Maria, l’Immacolata, creatura in piena comunione con Dio, ha accolto nel suo grembo il Nuovo Adamo, Dio fattosi uomo. In Lei è stata accolta l’unione più alta tra la Divinità e l’umanità.

L’esortazione apostolica Dilexi te (=DT), iniziata da papa Francesco e ultimata da papa Leone XIV, promulgata recentemente, ci sollecita a vivere in maniera più autentica l’incarnazione del Figlio di Dio nella nostra umanità. Non dobbiamo enunciare in maniera generica la dottrina dell’incarnazione. Il recente viaggio di papa Leone XIV in occasione del 1700º anniversario del Concilio di Nicea ci ha voluto ricordare la realtà dell’incarnazione nella sua interezza: Gesù è veramente uomo e vero Figlio di Dio, in quanto è «dalla sostanza (ousiadel Padre […] generato, non creato, della stessa sostanza (homooúsios) del Padre».[1] Per vivere davvero un tale mistero dobbiamo tenere presente che il Signore si fa carne e ha concretamente fame, ha sete, è ammalato, è carcerato, è discriminato, è povero nei poveri e con i poveri. Per questo, per i cristiani i poveri non sono solo una categoria sociologica, ma anzitutto la stessa carne di Cristo. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Capisce qualcosa, comprende meglio cosa sia la povertà del Signore. Il cuore della Chiesa, per sua stessa natura, è solidale con coloro che sono poveri, esclusi ed emarginati, con quanti sono considerati uno “scarto” della società. In quanto è Corpo di Cristo, la Chiesa sente come propria «carne» la vita dei poveri. L’amore a coloro che sono poveri – in qualunque forma si manifesti la loro povertà – è garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio. L’amore verso il povero è il criterio del vero culto.[2]

Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una “questione familiare”. Sono “dei nostri”. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa.[3]

La cultura dominante dell’inizio di questo millennio spinge ad abbandonare i poveri al loro destino, a non considerarli degni di attenzione e tanto meno di apprezzamento.

Per chi, come voi Suore francescane ancelle di Maria, unite alle Suore Lauretane del Terz’Ordine di san Francesco, si dedica anche alla formazione e educazione della prima infanzia, ci può essere una particolare traduzione dell’incarnazione di Cristo che si fa povero con i poveri, e cammina con essi per liberarli dal male e metterli in grado di fare il bene.

Nell’azione della formazione e dell’educazione occorre avere una particolare attenzione per quei bambini e quei ragazzi che sono meno fortunati, meno avvantaggiati, per chi viene da famiglie meno abbienti, umili, e magari sono bambini portatori di handicap. Secondo la logica di Cristo che si fa piccolo, povero con i poveri, non si può lasciare indietro nessuno, ma ci si deve prodigare affinché nella scuola, con l’istruzione, ci sia soprattutto l’educazione. Questa offre ai ragazzi non solo nozioni, tecniche, ma soprattutto li pone nelle condizioni per irrobustire le loro capacità rispetto al bene da compiere insieme agli altri. Ciò, in particolare, creando nella comunità scolastica mutualità di rapporti tra chi è più avanti nell’apprendimento e chi è meno avanti. La logica di Gesù che si fa buon samaritano non è quella di «ognuno pensi per sé». Tutto al contrario. Secondo la logica del Verbo che si abbassa e si fa dono a tutti non si può lasciare indietro nessuno.  Così non si dà il meno possibile, lo stretto indispensabile, lasciando i ragazzi e le ragazze meno dotati al margine. Si deve offrire il massimo a tutti, ampliando ovviamente la loro capacità di ricezione.

Qualche giorno fa papa Leone ha anche affrontato il tema dell’educazione nel tempo dell’importante e rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale.  Ha sottolineato che i nostri ragazzi non devono essere semplici consumatori passivi di contenuti prodotti da una tecnologia artificiale. La dignità delle persone, siano ragazzi o adulti, risiede nella capacità di riflettere, di scegliere liberamente, di amare gratuitamente, di entrare in relazione autentica con l’altro. L’intelligenza artificiale ha certamente dischiuso nuovi orizzonti per la creatività, ma solleva anche domande preoccupanti circa le sue possibili ripercussioni sull’apertura dell’umanità alla verità e alla bellezza, sulla nostra capacità di stupirci e di contemplare. Riconoscere e rispettare ciò che caratterizza la persona umana e ne garantisce la crescita armoniosa è essenziale per impostare una cornice adeguata a gestire le implicazioni dell’intelligenza artificiale.

E a questo punto papa Leone XIV ha rimarcato: «è importante fermarci su una preoccupazione che ci deve toccare il cuore: la libertà e la spiritualità dei nostri bambini e dei nostri giovani, con le possibili conseguenze della tecnologia sul loro sviluppo intellettivo e neurologico. Le nuove generazioni vanno aiutate e non ostacolate nel loro cammino verso la maturità e la responsabilità. Il benessere della società dipende dal fatto che venga data loro la capacità di sviluppare i propri talenti e di rispondere alle esigenze del tempo e ai bisogni degli altri con spirito libero e generoso. La possibilità di accedere a vaste quantità di dati e di conoscenze non va confusa con la capacità di trarne significato e valore. Quest’ultima richiede anche la disponibilità a confrontarsi con il mistero e con le domande ultime della nostra esistenza, realtà spesso emarginate e persino irrise dai modelli culturali e di sviluppo prevalenti». Pertanto, ha aggiunto Leone XIV, sarà fondamentale consentire ai ragazzi e «ai giovani di apprendere a utilizzare questi strumenti con la loro personale intelligenza, aperti alla ricerca della verità, a una vita spirituale e fraterna, allargando i loro sogni e l’orizzonte delle loro decisioni mature. Sosteniamo – ha concluso il pontefice – il loro desiderio di essere diversi e migliori, perché mai come oggi è chiaro che occorre una profonda inversione di rotta nella nostra idea di crescita».

«Per costruire insieme ai nostri giovani un futuro che, anche attraverso le potenzialità dell’intelligenza artificiale, realizzi il bene comune, è necessario recuperare e rafforzare la loro fiducia nella capacità umana di determinare l’evoluzione di queste tecnologie: una fiducia che oggi è sempre più erosa dall’idea paralizzante che il suo sviluppo segua un percorso ineluttabile».[4]

Chi crede veramente nell’Incarnazione del Figlio di Dio che libera l’essere umano dal male e che potenzia la sua libertà e la sua capacità di bene, di dono, è chiamato a vigilare rispetto al progetto del transumanesimo. Questo punta a sostituire la coscienza umana con una coscienza artificiale, a rendere Dio irrilevante, perché con l’intelligenza artificiale si potrà vincere le malattie, e si potrà far fare all’uomo ciò che si attribuiva a Dio, mettendo in discussione la natura umana, le sue capacità di scelta, la sua libertà, vanificando la stessa Incarnazione.

Ringraziamo la Madonna di Loreto per i 70 anni di vita religiosa di Suor Giovanna. Il Signore l’accompagni e le dia forza.

+ Mario Toso

 

[1] Gesù Cristo, secondo la dottrina cristiana, è vero Dio e vero Uomo, una realtà definita dal mistero dell’Incarnazione, dove le due nature (divina e umana) sono unite in un’unica Persona divina, senza confusione. Questo significa che Gesù ha sperimentato pienamente la vita umana (fame, sete, stanchezza, sofferenza) pur rimanendo Dio, diventando l’unico mediatore tra Dio e l’umanità e il “secondo Adamo”, l’uomo perfetto che realizza il progetto di Dio.

[2] Cf DT n. 42. Tra i Padri orientali, uno dei più ardenti predicatori del «vero culto» e della giustizia sociale fu senza dubbio «San Giovanni Crisostomo, Arcivescovo di Costantinopoli tra il IV e il V secolo. Nelle sue omelie, egli esortava i fedeli a riconoscere Cristo nei bisognosi: “Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurare la sua nudità; non onorarlo qui con vesti di seta, non trascurarlo fuori mentre è consunto dal freddo e dalla nudità […]. [Il corpo di Cristo che sta sull’altare] non ha bisogno di vesti, ma di un’anima pura; quello invece ha bisogno di molta cura. Impariamo dunque ad essere sapienti e ad onorare Cristo come lui vuole; per colui che è onorato l’onore più gradito è quello che egli vuole, non quello che pensiamo noi […]. Così anche tu onoralo con questo onore che egli stesso ha prescritto, profondendo la ricchezza ai poveri. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro”. Affermando con chiarezza cristallina che, se i fedeli non incontrano Cristo nei poveri che stanno alla porta, non potranno adorarlo nemmeno sull’Altare, continua: “Che vantaggio c’è, se la sua mensa è piena di calici d’oro e lui è sfinito dalla fame? Prima sazia la sua fame e poi, per soprappiù, orna anche la sua mensa” (S. Giovanni Crisostomo, Homiliae in Matthaeum, 50, 4: PG 58, Parigi 1862, 509). Intendeva l’Eucaristia, quindi, anche come espressione sacramentale della carità e della giustizia che la precedevano, la accompagnavano e dovevano continuarla, nell’amore e nell’attenzione ai poveri» (DT n. 41).

[3] Cf DT n.104.

[4] Cf Leone xiv, Discorso ai partecipanti alla Conferenza «Artificial intelligence and care of our common home», organizzata da Fondazione Centesimus annus Pro Pontifice e Strategic Alliance of Catholic Research University, Sala del Concistoro, venerdì 5 dicembre 2025.