[dic 08] Omelia -Solennità dell’Immacolata concezione

08-12-2025

Chiesa di san Francesco, 8 dicembre 2025.

Autorità, Rev.mo sig. Parroco, cari fratelli e sorelle, la devozione della città di Faenza e del suo territorio all’Immacolata trova radici nel quindicesimo secolo. Una tale devozione era viva ancor prima della definizione del dogma, avvenuta nel 1854. Crebbe coinvolgendo tutto il popolo faentino e, in particolare, il mondo rurale.

La Parola di Dio, tratta dal libro della Genesi (Gen 3, 9-15.20), ci parla del peccato che si è introdotto nella storia dell’umanità. Avvenne agli inizi, con Adamo ed Eva. Si tratta di un inganno macchinato dal nemico di Dio, Satana, raffigurato dal serpente che parla alla donna ed induce a disobbedire al comando del Creatore. Ecco il punto cruciale per noi. L’umanità, nell’unità di uomo e di donna, creata da Dio per vivere in piena armonia con Lui, gli volta le spalle. Distaccandosi da Dio, perde la propria identità. Non sa più chi è, per Chi è. Viene meno il primato di Dio, la direzione del cammino: vivere con Dio, in comunione con Lui.

La solennità dell’Immacolata è per la Chiesa intera l’occasione per festeggiare in Maria di Nazareth l’umanità che finalmente risponde all’amore di Dio e non delude alle sue attese. Celebrare l’Immacolata è onorare ed amare la Madre del Redentore, la Madre di una nuova umanità, che ritrova la propria piena identità nella comunione con Dio. È comprendere che, come Maria, ognuno di noi, uomo o donna, giovane o anziano, è chiamato a mettersi a disposizione di Dio, per la nuova creazione, iniziata dal Figlio di Dio che si incarna per donare all’umanità un cuore nuovo, la possibilità di rinascere.

Maria Immacolata, vivendo in piena comunione con Dio si fa, dunque, sua serva. Genera l’Uomo nuovo nel quale siamo uniti col Padre e tra di noi.

Cari fratelli e sorelle, in questa solennità dell’Immacolata, troviamo delineati il nostro essere e il nostro impegno: essere protagonisti di una nuova umanità e di una nuova creazione. Maria ci insegna, anzitutto, che per essere nuova umanità, ed anche nuova comunità ecclesiale, occorre vivere non chiusi in sé stessi, disobbedienti a Dio, come persone che pensano di compiere il bene senza di Lui, sostituendosi addirittura a Lui, formando una Chiesa per conto nostro, secondo le nostre vedute. Per generare un mondo più giusto, fraterno e pacifico, Maria Immacolata – ossia senza macchia, perché in piena sintonia con Dio, in totale unità con Lui -, ci insegna a metterci a disposizione di Dio, per «generare» nel mondo – tramite l’annuncio e la testimonianza del Vangelo – Gesù Cristo, il Buon Samaritano, ovvero un’umanità sensibile al bene degli altri e che si pone a loro servizio. Egli è il Figlio di Dio in cui tutti sono chiamati a vivere, per essere con Lui umanità che vive un’esistenza di dono, per il bene di tutti.

In secondo luogo, l’Immacolata, che ci sollecita a vivere in comunione con il Padre e tra di noi, ci sprona ad essere tutti corresponsabili della comunione e della missione della nostra comunità. In questa non riceviamo solo il dono di Gesù, ma siamo chiamati a condividerlo, a viverlo tutti insieme, partecipando alla sua missione. I genitori sono chiamati a condividere la loro fede con i figli. Ugualmente i figli aiutano i loro genitori ad amare Dio.  Nella comunità, che è la Chiesa, i catechisti, le associazioni, le aggregazioni, i movimenti vivono Cristo per donarlo agli altri. Non sono orientati a separarsi, a lacerare il Corpo di Cristo. I loro diversi carismi sono vissuti per un fine unico, comune: fare sì che Cristo sia tutto in tutti, con la sua comunione e con la sua missione.

Maria Immacolata, in definitiva, ci insegna a vivere nella comunità, con la comunità, a servizio della missione di Cristo. In cosa consiste la missione del Figlio di Dio? Nel salvare l’umanità dal peccato, nel darci la sua capacità di bene, nel costruire in questo mondo una rete di relazioni e di istituzioni pervase e animate dal suo amore: un amore pieno di verità. Ad essere più precisi, la proposta di Gesù non è soltanto quella di vivere un rapporto individuale ed intimo con Lui.  La proposta è più ampia. È anche relativa all’edificazione del Regno di Dio (cf Lc 4,43). Si tratta, cioè, di costruire un mondo nuovo, uniti a Lui che si è incarnato nell’umanità e nel cosmo per ricapitolare in sé tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo (cf Col 1, 12-20). Nella misura in cui l’amore di Cristo – che si dona in maniera incondizionata e in piena libertà dall’alto della Croce, il suo trono -, regnerà in noi e tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti.[1] Come, più concretamente?

Innanzitutto, vivendo nelle nostre comunità la pace che Cristo dona a tutti i suoi discepoli. In secondo luogo, vivendo non una spiritualità disincarnata ma incarnata, contribuendo a realizzare con Lui il Regno di Dio nella storia.

In breve, il compito dei cristiani non è solo quello di pregare e di insegnare la vera dottrina. I discepoli non sono semplici spettatori della costruzione del Regno di Dio da parte di Gesù, che si paragona ad una massaia che mescola il lievito (il Regno) alla pasta,[2] ma vi collaborano. Come?  Assumendo lo stile del Regno, vivendo in particolare le beatitudini (cf Mt 5,1-12). Essi partecipano alla costruzione del Regno di Dio e, con ciò stesso, alla promozione integrale dei poveri,[3] come ci è stato spiegato dall’esortazione Dilexi te di papa Leone.

Mario Toso, vescovo

[1] Cf DT n. 97.

[2] Gesù stesso disse: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Mt 13,33; cfr. Lc 13,20-21). Qui il Signore sembra paragonarsi a una massaia, che mescola il lievito alla pasta, seguendo il giusto dosaggio, e sa attendere il risultato. Il lievito, di per sé, è il Regno, che la donna mescola alla farina.

[3] Cf DT n. 114.