Cari fratelli e sorelle,
care figlie di San Domenico,
nella festa del Battesimo del Signore, assistiamo ad una triplice immersione: Gesù si immerge nella folla, nell’acqua e nella preghiera.
Gesù si immerge nella folla. Si unisce ad essa assumendo pienamente la condizione umana. Nella sua santità divina, piena di grazia e di misericordia, il Figlio di Dio si fa carne, proprio per prendere su di sé le nostre miserie e togliere il peccato del mondo. In questo modo Gesù manifesta la logica e il senso della sua missione.
Si immerge nell’acqua. Gesù raggiunge il Battista nel fiume: si fa battezzare con l’acqua torbida del Giordano “per affogare l’antica colpa di Adamo” (S. Gregorio di Nissa). I suoi piedi affondano nel fondale melmoso della storia umana, col suo miscuglio di contraddizioni, sia di inclinazioni positive al vero, al bene a Dio, sia di peccato, di fatiche, di dolori. Da quella commistione di bene e di male, Dio può ripartire e ri-plasmare la nuova umanità.
Gesù si immerge nella preghiera, cioè nella comunione col Padre, nella volontà di amore del Padre. Il battesimo è l’inizio della vita pubblica di Gesù, della sua missione nel mondo come inviato del Padre per manifestare la sua bontà e il suo amore per gli uomini, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Gesù è l’uomo nuovo che vuole vivere da figlio di Dio, cioè nell’amore col Padre; l’uomo che, di fronte al male del mondo, sceglie la via dell’umiltà e della responsabilità sceglie di offrire la propria vita per la verità, per il bene e per la giustizia, per Dio.
Tre immersioni che rivelano l’assoluta solidarietà di Gesù col Padre e con l’umanità. Significano ed annunciano il suo essere Figlio e fratello. Manifestano la sua vita santa ed immacolata offerta a Do Padre.
Sono le coordinate sacerdotali della vita di Cristo trasmesse a ciascuno di noi, perché diventiamo persone piene di «speranza, eredi della vita eterna», come ci invita l’Anno Santo iniziato da poco.
È questa la santità che in Cristo ci interpella anche oggi, e che possiamo cogliere anche nei volti di speranza che arricchiscono la storia e la fede della nostra Chiesa diocesana. È la santità declinata come un accogliere Cristo in noi, per annunciarlo e donarlo ai nostri fratelli e sorelle. È quella santità che vediamo riflessa anche nella vita di P. Domenico Galluzzi, che coltiva una viva passione d’amore per Gesù Cristo, per santificare i propri fratelli e sorelle, specie per i presbiteri, per tessere una vita di comunione con Cristo, Speranza che non delude, il missionario per eccellenza del Padre.
Padre Domenico ha avuto un’infanzia difficile: la povertà, il padre che abbandona la famiglia, il lavoro a bottega iniziato così presto… Un bambino come tanti, che alla messa preferiva i ciclisti [un tempo si diceva: i corridori!] del Giro d’Italia di passaggio a Cattolica. Un contesto non sempre favorevole, ma in cui – proprio lì – s’innesta la scoperta della preghiera, come possibilità di guardare la storia dalla parte di Dio per orientarla e concorrere a un bene più grande.
L’intuizione della vocazione religiosa e sacerdotale deve dapprima vincere un certo senso di sproporzione, ma poi diventa la roccia su cui fonda la sua esistenza. Padre Domenico dirà: “Quando l’ispirazione parte da dentro, cioè è Gesù che lo vuole, tutto è possibile, tutto si supera, tutto si sopporta e si porta a buon fine”.
La guerra, le malattie, le difficoltà non sono mai mancate. Durante le lunghe ore trascorse nel confessionale, si scontra con la realtà del peccato, in particolare con quella dei sacerdoti. Brillano allora le tre immersioni sacerdotali di Padre Domenico.
- Anche padre Domenico Si immerge nella folla. Novizi, frati, superiori, vescovi, presbiteri, religiosi, consacrate, giovani, ragazze, laici, famiglie, vicini, lontani lo hanno frequentato con assiduità. Porta e cuore aperti per tutti.
Davanti agli errori, agli sbagli, al male non dice: “Non è un problema mio”. A contatto con la realtà del peccato reagisce compromettendosi.
Scrive: «Signore, aprimi gli occhi dello spirito perché io veda ogni giorno più chiaro e senta sempre più assillante il disegno del tuo amore che hai espresso al Padre con le parole: “Santifico me stesso per loro”. […] Tu sei santo, Tu hai operato cose sante in me e perciò stesso mi vuoi senza eccezione santo».
Padre Domenico coltiva una speranza incrollabile: ogni caduta può diventare punto di partenza per una vita di dono e di servizio al Signore e ai fratelli.
- Si immerge nel fiume della misericordia. Intuisce che la riparazione è un’esigenza del Corpo mistico, dell’unità. “Ogni cristiano, nella misura in cui si santifica, diventa più fecondo per il mondo” (Esort. Ap. Gaudete et exsultate, 33). Proprio perché siamo un unico corpo, chi immette in esso un sovrappiù di amore, di fedeltà, di consapevolezza, fuso in Gesù, diventa generatore di concordia e di bene, “antidoto” al male nella Chiesa.
Padre Domenico si rivolge a Gesù chiedendogli: “Accorcia la distanza che c’è tra me e Te”. “Chiedo a Gesù la grazia d’essere unito a Lui, di formare un solo corpo e un solo spirito in Lui, di essere a tutti richiamo della sua presenza in me, di far sentire a tutti la sua voce quando parlo, di trasmettere la sua benedizione ogni volta che avvicino una persona, di suscitare nel mio prossimo il desiderio vivo di riascoltare Gesù, di riavvicinarsi a Gesù, di nutrirsi di Lui, grazie all’unzione soprannaturale che Cristo, con la sua presenza viva in me, diffonde”.
In quest’opera di grazia si inserisce la fondazione del Monastero dell’Ara Crucis (= Altare della Croce), qui a Faenza. Fondare un monastero è un atto di grande speranza. Scommettere sull’Ara Crucis è gridare che la Pasqua è la notizia più grande e decisiva della storia: da quando dal male enorme della croce è scaturita la nostra salvezza, persino il peccato – attraversato dall’amore – può diventare trampolino di lancio per il nostro destino di felicità eterna. In questo senso, Ara Crucis non è soltanto il nome di un monastero, ma l’indicazione di uno stile, di un cammino di speranza, di una scienza di vita per tutti: la scienza della Croce.
- Padre Domenico si immerge nella preghiera. Coltiva la comunione con il Signore Gesù: ascolto della Parola, celebrazione dell’Eucaristia, adorazione. P. Domenico prega e insegna a pregare. Richiama frequentemente l’inabitazione trinitaria, il sigillo battesimale, principio di vita nuova. Alla consapevolezza dell’inabitazione conduce le persone che accompagna spiritualmente.
Scrive: “Guardati nel corpo, ma guardati con gli occhi dello Spirito e vi troverai l’impronta di tutti e Tre, perché, nell’atto di crearti, tutti e Tre hanno ripetuto: – Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza.
Guardati nell’intelligenza, ma con sentimento di riconoscenza, e vi troverai il riflesso del passaggio di tutti e Tre. Guardati nel cuore, ma come ti guarderebbe Dio benedetto, e vi scoprirai l’impronta e la presenza di tutti e Tre.
Guardati nelle mani e vi leggerai quelle misteriose parole che sono uscite dalla bocca di tutti e Tre: – A queste mani, le mani della mia creatura, ho affidato l’universo.
Quando ti alzi al mattino unisciti, grazie ad un sussulto d’amore, a tutti e Tre, e parti con loro e continua con loro, per raggiungere al termine della giornata, un dolce riposo sul cuore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ecco come vivere la parola: – Siate santi perché Io sono Santo!”.
La scoperta di essere abitati da Dio è scuola di fiducia senza pari.
Il Battesimo di Gesù ci abilita a vivere quaggiù la vita della Trinità! Una vita di comunione da figli e fratelli, una vita offerta, come quella di Maria, che P. Domenico – insieme ai Padri – amava chiamare Virgo Sacerdos. Una vita, la nostra, che rinnova le tre immersioni: siamo membra di un unico Corpo, corresponsabili gli uni degli altri, abitati dalla Trinità… Immersi nel quotidiano, certo, ma anche fin d’ora ancorati al Cielo, ove siamo attesi.
E mentre i cieli cantano la gloria di Dio, consegniamo alla Chiesa quanto è stato raccolto nell’inchiesta di questi anni, riscoprendoci figli amati, Chiesa chiamata alla santità, pellegrina di Speranza.
O spem miram! Meravigliosa speranza! canteremo alla fine della celebrazione. La speranza che continua a fiorire dall’Ordine di San Domenico, vero Patriarca – padre di tanti figli e figlie che divengono, a loro volta, padri e madri -, ci aiuti a vivere come pellegrini gioiosi, orientati al Signore Gesù. Con P. Domenico facciamo nostra la passione per la santità dei sacerdoti, del popolo di Dio.
+ Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana