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Intervista a Bologna Sette su ‘Giovani e Lavoro’
13-09-2015

INTERVISTA BOLOGNA SETTE

A sua Ecc. Mons. Mario Toso, vescovo Faenza-Modigliana

 

1.      Quali sono i principali compiti che la attendono, nel nuovo incarico che le è stato affidato?

Sono quelli del coordinamento e dell’animazione, specie tramite la Consulta Regionale della Pastorale sociale e il lavoro. Il contesto è quello di una crisi economico-finanziaria che continua a farsi sentire, nonostante i timidi segnali di ripresa, peraltro troppo deboli rispetto alle esigenze di una crescita per tutti. Non va dimenticato che la politica sta arrancando nel suo importante compito di realizzazione del bene comune, con ordini del giorno non sempre calibrati rispetto alla gerarchia dei problemi che interessano la maggioranza della gente. Per la Chiesa c’è l’urgenza di mettersi decisamente,  e con chiarezza di visione e di progettualità, in una nuova tappa dell’evangelizzazione, tenendo conto della dimensione sociale della fede. Tornano senz’altro utili gli impulsi offerti dall’insegnamento sociale della Chiesa, interpretato e rilanciato da papa Francesco con coraggio ed insistenza. Non deve rimanere fuori dall’orizzonte l’impegno di formare nuove generazioni di cattolici per la politica. Nel contempo la pastorale d’ambiente, assieme all’educazione alla cittadinanza attiva, resta un obiettivo irrinunciabile.

 

2.      Il suo precedente incarico come segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, come la aiuterà in questo nuovo compito?

 

Offrendomi, innanzitutto, uno sguardo mondiale sui problemi. La consapevolezza che, in un contesto di globalizzazione tutto si tiene ed esiste una stretta interdipendenza, fa capire che ogni questione locale si inserisce in un orizzonte più ampio. Oggi, se il locale può fare la differenza, specie quando le istanze nazionali ed internazionali non rispondono alla loro missione, non si può pensare di migliorare la situazione socio-politica della Regione dell’Emilia-Romagna senza connessioni con la comunità europea e con il resto del mondo. Lo stesso fenomeno delle migrazioni bibliche che riguardano l’Europa, a partire specialmente dai Paesi del Sud, ci coinvolgono e sollecitano a guardare alla famiglia umana con occhi più attenti, ponendo in campo un’operosità più lungimirante ed aperta, non trascurando la politica estera e l’aiuto ai Paesi da dove provengono molti profughi. La mescolanza dei popoli diviene una sfida inaggirabile, in vista della costruzione di una nuova civiltà europea, all’insegna della convivialità, difficile ma non impossibile.

 

 

3.      Il problema del lavoro è in questo periodo, in tutta Italia e anche in Emilia Romagna, particolarmente forte e “bruciante”. Quale ritiene che sia il compito dei cristiani e anche dei Vescovi, di fronte a una simile emergenza?

Credo che sia quello, alla luce anche di una luminosa tradizione del movimento sociale cattolico in questa meravigliosa terra, di non perdersi d’animo. Ci sono, nonostante tutto, ancora tante risorse, tante persone preparate, dotate di genialità, che possono far ben sperare, sebbene al momento la situazione appaia piuttosto stagnante. I credenti hanno a disposizione il prezioso patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa che, con riferimento alle ideologie odierne che emarginano il lavoro, riducendolo sempre più a mera variabile dipendente dai mercati monetari e finanziari, può offrire strumenti critici di lettura della realtà e validi elementi di progettualità. Questi potranno essere utili nello sconfiggere gli eccessi di quel capitalismo finanziario che assegna il primato al dio denaro, e del paradigma tecnocratico, che porta ad erodere il lavoro a vantaggio di un progresso tecnologico, indispensabile sì, ma applicato indiscriminatamente. Questo danneggia lavoratori, famiglie e la stessa democrazia partecipativa ed inclusiva.

 

4.      Il lavoro che manca crea, di conseguenza, anche altri gravi problemi sociali, primo fra tutti la mancanza della casa e anche la crisi di molte famiglie. Anche qui, qual è il compito delle autorità pubbliche e quale quello della Chiesa?

Le autorità politiche, a servizio del bene comune, hanno responsabilità che la Chiesa non possiede. In particolare, sembra che in questa fase storica, stia prevalendo il mercatismo, ossia il convincimento che i vari problemi, compreso quello del lavoro per tutti, si possano risolvere solo tramite il mercato e la tecnica. A fronte di alti tassi di disoccupazione – fenomeno che concerne pesantemente le nuove generazioni e le donne – lo Stato, e chi in questo momento storico lo impersona, non debbono scordare che essi rappresentano il più grande strumento di solidarietà che la società civile abbia a disposizione per affrontare le emergenze. Lo Stato e la politica sono chiamati a riscoprire la loro missione di aiuto nei confronti di coloro che sono più deboli. Sicuramente il Jobs Act sta dando il suo contributo, ma questo appare insufficiente. Non basta, ad esempio, istituire un’Agenzia delle politiche attive del lavoro quando queste tardono ad apparire o sono poco consistenti. Così, può far ben sperare il disegno di un nuovo rapporto tra scuola-lavoro. Sta di fatto che le scuole professionali – luogo privilegiato per realizzarlo – sono poco supportate. Non poche appaiono in gravi difficoltà economiche per i ritardi dei versamenti da parte delle Regioni. Sono addirittura costrette ad accettare ipoteche in cambio di prestiti erogati dalle banche per fare fronte ai pagamenti degli insegnanti.

5.      Il convegno del 21 settembre su giovani e lavoro, perché è stato convocato e quali scopi si prefigge?

È stato convocato in occasione del bicentenario della nascita di don Bosco (1815-2015). Il santo piemontese, com’è risaputo, si è occupato dei giovani e della loro formazione al lavoro e alla fede. Ancora vivente ha fondato alcune scuole ed oratori anche in Emilia Romagna, come a Faenza. Cosa di meglio, a fronte dei problemi educativi e lavorativi di molti giovani, se non riunire vari soggetti sociali, ecclesiali e civili (MLAC, Progetto Policoro, ACLI, AECA, ENAIP, Confcooperative, ecc.), per riflettere insieme e condividere analisi, prospettive di soluzione rispetto all’alto tasso di disoccupazione? In particolare, il Convegno, in linea col prossimo incontro nazionale di Firenze, che si ripropone di mettere in incubazione, anche nel mondo del lavoro, forme di umanesimo nuovo, positivo, non astratto, bensì pratico, ha come obiettivo quello di: segnalare esperienze riuscite di formazione professionale, di orientamento, di ascolto e di aiuto nel ricercare e nell’inventarsi il lavoro, tramite offerte di borse di studio, di integrazione delle competenze già assunte con gli studi, di acquisizione di capacità per entrare nel mercato, ove debbono collaborare, Stato, mercato e società civile.

Intervista al vescovo mons. Toso sull’Enciclica ‘Laudato sì’
19-06-2015

Ampia intervista al vescovo salesiano, fino a pochi mesi fa segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace – Sviluppi e particolarità di un’enciclica complessa nella sua articolazione e ricca di novità – L’obiettivo di papa Francesco? Farsi promotore di un movimento ecologico globale per la cura universale della casa comune.

Il vescovo che siede al tavolo con noi è un esperto riconosciuto di dottrina sociale della Chiesa. Il sessantacinquenne monsignor Mario Toso, oggi pastore di Faenza-Modigliana, è stato rettore dal 2003 al 2009 della Pontificia Università Salesiana, poi fino al gennaio di quest’anno segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il dicastero incaricato della prima stesura di “ Laudato si’ …

Monsignor Toso, oggi Lei è vescovo di Faenza-Modigliana, ma dal 2003 al 2009 è stato rettore della Pontificia Università Salesiana e dal 2009 fino a pochi mesi fa segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Proprio il dicastero che ha lavorato alla stesura della prima bozza del documento magisteriale. Dunque ha le carte in regola per parlare di un’enciclica che da più parti viene definita ‘ecologica’…

Sì, ma la definizione va intesa nel senso che essa pone al centro della questione sociale la crisi ambientale, crisi complessa, che non si riduce ai problemi ecologici disgiunti da altri problemi rilevanti, concernenti  più propriamente l’ecologia umana. Questa enciclica, in sostanza, evidenzia sì come la questione sociale sia caratterizzata dalla salvaguardia dell’ambiente ma sottolinea anche che urge la cura della stessa umanità. Detto altrimenti, si è di fronte ad una questione ecologica globale che postula come soluzione un’ecologia integrale.

Ci spieghi come si traduce concretamente quell’ ‘integrale’… 

Come appena detto, la crisi ecologica che oggi viviamo è relativa non solo agli aspetti strettamente ambientali, che afferiscono alla custodia del Creato e delle specie, ai cambiamenti climatici, alle risorse e alle energie rinnovabili, ma anche agli aspetti culturali, antropologici, etici, religiosi connessi, allo sviluppo dell’esistenza umana. A tale crisi occorre rispondere con la promozione di un’ecologia integrale, che si estende e concretizza non solo sul piano della protezione dell’ambiente naturale, delle specie animali e vegetali, della lotta al surriscaldamento del clima, del rifiuto dell’utilizzo indiscriminato e illimitato delle risorse naturali, ma anche sul piano della conversione ecologica, del cambiamento degli stili di vita, della cura degli ambienti urbani, dei rapporti sociali, dell’educazione.

L’enciclica, se per alcuni sembra avere in alcune sue parti un afflato sostanzialmente ‘peronista’ (un’aria che Francesco ha respirato da giovane), per larghi tratti appare secondo altri come un manifesto del partito ecologista universale (pur con distinguo di non poco conto, ad esempio in materia di diritto alla vita), in ogni caso rivolta più ad extra che ad intra

In effetti, l’enciclica, così come ci viene presentata oggi mostra un volto diverso rispetto a quello della prima bozza, che prevedeva una lunga introduzione di carattere teologico, liturgico e sacramentale, spirituale…  Se fosse rimasta l’impostazione iniziale, l’enciclica si sarebbe indirizzata più immediatamente al mondo cattolico. Papa Francesco, invece, ha preferito cambiare tale impostazione, spostando al centro e alla fine la parte ‘teologica’, nonché quella relativa alla spiritualità e all’educazione. In tal modo, ha «ristrutturato» il materiale messogli a disposizione, disponendolo secondo un metodo di analisi e di discernimento, implicante la considerazione della situazione, una sua valutazione e la prefigurazione di indicazioni pratiche di avvio alla soluzione dei problemi. Ha così desiderato coinvolgere il maggior numero di lettori, anche i non credenti, in un ragionamento in larga parte condivisibile da tutti.

Perché papa Francesco ha voluto la modifica, che non è di poco conto?

L’obiettivo del Papa, come emerge sin dalle prime battute dell’enciclica, è quello di farsi promotore di un movimento ecologico globale per la cura universale della casa comune…

In sé non si può definire un obiettivo compreso in quelli della Dottrina sociale della Chiesa…

Papa Francesco si è ispirato alla metodologia in parte inaugurata dall’enciclica ‘Pacem in terris’ di Giovanni XXIII…

C’è una differenza non irrilevante: Giovanni XXII II si rivolgeva a ‘tutti gli uomini di buona volontà’, mentre Francesco estende il numero dei destinatari dell’enciclica a “ogni persona che abita questo pianeta”…

Il Papa desidera avviare un processo di trasformazione delle culture di tutti i popoli, delle loro istituzioni, un processo che coinvolge tutte le persone, indipendentemente dal colore delle loro convinzioni. Nella prima parte dell’enciclica il Pontefice privilegia un approccio di tipo razionale, senza escludere però la luce della fede. E’ bene ribadirlo: per papa Francesco, la soluzione della crisi ecologica deriva sia dall’apporto dei credenti sia dall’apporto dei non credenti, dalla scienza e dalla religione. Le soluzioni non vengono da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà.

Non si rischia facendo così di perdere un po’ di vista la cornice teologica indispensabile a illuminare la via da percorrere?

No, l’adozione di questo metodo non esclude lo sguardo teologico, che resta presente pur non in primo piano, in ogni momento, come esigerebbe un’enciclica prettamente teologica.

A tratti si può avere l’impressione, radicata in diversi critici soprattutto statunitensi, che il Papa voglia insegnare agli scienziati il loro mestiere…

Il Papa non ha desiderato parlare della questione ambientale solo in termini di grandi principi teologici e filosofici, per non finire nell’astrattezza.  Ha voluto arricchire la sua riflessione anche utilizzando diversi risultati di studi scientifici sulle questioni ambientali contemporanee. È chiaro che, mentre si è servito dei risultati oggi più condivisi,  non ha inteso canonizzarli e imporli agli studiosi. Più che altro gli è premuto presentarne una interpretazione dal punto di vista antropologico ed etico. Tutti sanno che molti risultati oggi ritenuti «scientifici» non sono irrefutabili,  incontrovertibili. L’insegnamento dei Pontefici impegna la propria autorevolezza sul piano morale, che è il piano corrispondente alla loro competenza etica e religiosa.

Però di temi scientifici concreti, con altrettanti suggerimenti, nell’enciclica ce ne sono tanti… basti pensare a uno dei più clamorosi e controversi, quello legato all’asserito riscaldamento del pianeta…

Mi permetto di insistere: ciò che intende fare papa Francesco non è tanto ribadire la pregnanza scientifica dei molteplici risultati degli studi e dei dibattiti contemporanei che egli assume, quanto piuttosto fare delle riflessioni sulle questioni antropologiche ed etiche che essi implicano. La Chiesa non ha competenze sul piano tecnico e scientifico, però su quello di una dimensione antropologica ed etica della fenomenologia scientifica, sì.  

In alcuni passi, si osserva, l’enciclica sembra avere degli accenti vagamente panteistici. Ad esempio in passi come questo: “Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio”…

Però ce ne sono altri, in cui papa Francesco si riallaccia in pieno agli insegnamenti della ‘Caritas in Veritate’ di Benedetto XVI, mutuando l’interpretazione data in quella grande enciclica circa il rapporto uomo e natura. Come Benedetto, papa Francesco giunge a precisare che l’uomo non può essere posto su un piano di pari dignità con le altre creature. L’uomo nel Creato ha una preminenza sugli altri esseri che gli deve essere riconosciuta. Ma preminenza non significa predominio dispotico, che – come dimostra la nostra era – si tramuta poi in un grave danno per l’umanità intera.

Sei punti dell’ultimo capitolo sono dedicati alla ‘conversione ecologica’: in che cosa consiste?

Conversione ecologica’ è un’espressione che viene utilizzata in un contesto di approccio globale alla questione ecologica. Certo l’espressione può indurre in equivoco, ma non bisogna fossilizzarsi troppo sulla singola parola e sulla singola espressione, prescindendo dal contesto…

Però la parola del Magistero di un Pontefice non dovrebbe essere soggetta ad equivoci…

L’espressione ‘Conversione ecologica’ non va presa a sé. Essa presuppone sempre nell’uomo una precedente e precisa conversione religiosa nei confronti di Dio. Solo dopo tale prima conversione emergono tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni col mondo e si è in grado di parlare di ‘conversione ecologica’.

Nell’enciclica di quasi 200 pagine si parla di ecologia integrale, ma in realtà le righe dedicate al diritto alla vita, alla famiglia, all’educazione sono assai poche in confronto alle pagine riservate agli altri temi antropologici. Ad esempio quella che Benedetto XVI, nel discorso del dicembre 2012 alla Curia Romana definiva come la maggiore insidia per la Chiesa, cioè l’ideologia gender, non è neanche citata per nome e viene ricordata molto indirettamente solo nel mezzo del punto 155…

E’ vero che nell’enciclica si accenna ai temi da Lei citati in maniera succinta. Si poteva dare ad essi un’attenzione più ampia. Ma in un’enciclica già lunga.. Da vari passi, comunque, emerge in modo chiarissimo che anche per questo Pontefice l’etica ambientale è strettamente congiunta all’etica sociale, della vita, della famiglia.

Nell’enciclica si dà ampio spazio alle caratteristiche della vita urbana… una novità…

La considerazione di un’ecologia integrale non poteva non rvidenziare l’importanza dell’interrelazione tra gli spazi urbani e rurali e il comportamento umano. Effettivamente nella costruzione delle nuove città, nella progettazione di edifici e di quartieri non si mette ancora  sufficiente impegno. Non basta  ricercare la bellezza in sé dei progetti, senza tener conto della qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, dell’incontro e l’aiuto reciproco.

C’è chi ha l’impressione, dopo aver letto l’enciclica, che il suo autore con la mente e con il cuore sia restato sostanzialmente nelle ‘villas miserias’ di Buenos Aires…

E’ vero che l’enciclica conferma l’attenzione preminente di questo Pontefice nei confronti degli ultimi e dei più poveri. Egli lancia un grido di allarme a partire dai più poveri, poiché sono proprio i primi a soffrire, e nel modo più grave, se l’ambiente continua a degradarsi. Questa attenzione particolare agli ultimi della Terra ci offre un angolo nuovo di prospettiva. Ci stimola a guardare alla questione ambientale in un modo diverso da quello cui siamo abituati: e cioè non solo pensando agli aspetti di tipo tecnico-economico-scientifico, ma in primo luogo a quelli relativi alla dignità della vita umana e alla qualità della sua esistenza.

Per finire: nell’enciclica si ritrovano tante affermazioni o proposte che faranno molto discutere. Per tutte citiamo questo passo (numero 193 dell’enciclica): “Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano o distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”…

Si tratta di considerazioni chiare e coraggiose allo stesso tempo. Anche in questo caso il Pontefice non è fautore di forme pauperistiche di vita o di proposte di decrescita insensate, che disprezzano il progresso scientifico e l’indispensabilità dello sviluppo tecnico ed economico. Egli invita, piuttosto, a mirare ad una crescita che non sia riservata solo a pochi e, inoltre a contemperare la crescita economica con il progresso sociale di tutti. Prospettive queste che sono maggiormente comprensibili a coloro che credono nel bene comune e nella destinazione universale dei beni, oltre che in una fraternità universale. Perché vi sia una libertà economica della quale tutti possano effettivamente beneficiare, alcune volte potrà essere necessario, annota papa Francesco, porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. Nel passato questo è stato anche realizzato mediante la riforma del latifondo. Non si vede come oggi non si possa realizzare qualcosa di analogo con riferimento all’uso indiscriminato ed illimitato specie delle risorse non rinnovabili.

P.S. L’intervista, in versione originale su www.rossoporpora.org, appare in traduzione inglese nel prossimo numero della rivista cattolica statunitense ‘Inside the Vatican’ e in forma lievemente ridotta per ragioni di spazio nell’edizione odierna del ‘Giornale del Popolo’, quotidiano cattolico della Svizzera italiana.