Rainerum Salesiani Don Bosco

Chiesa di san Domenico, Bolzano 9 febbraio 2019
09-02-2019
Caro sig.  Ispettore don Igino Biffi, caro Direttore don Ivan Ghidina, cari confratelli, personale docente, educatori e giovani, la celebrazione degli 80 anni di presenza dei salesiani a Bolzano presso l’Istituto Salesiano Maria Ausiliatrice-Rainerum Salesiani Don Bosco è l’occasione per ringraziare Dio Padre per il bene compiuto grazie al suo aiuto in questo territorio. È l’occasione, inoltre, per riflettere sul prezioso tesoro di santità e sul prodigio di pedagogia che è san Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani. In teatro, di fronte a salesiani che in passato hanno operato in questa istituzione e agli ex-allievi, abbiamo già assistito alla parte commemorativa, grazie anche ad una ricerca storica messa a punto  dai giovani del terzo anno della scuola superiore (2017-2018) in collaborazione con varie istituzioni cittadine, aiutati dal prof. ing. Luigi Coffele. Qui ci fermiamo, in particolare, a rivivere, alla luce della Parola di Dio e della tradizione salesiana, il carisma don boschiano, nel contesto del nostro tempo, spesso caratterizzato da «giorni nuvolosi e di caligine» (cf Ez 34, 11-31) per noi e per i nostri giovani. Esso si presenta a noi come attualissimo, indispensabile per continuare il servizio della Congregazione salesiana alla Chiesa e alla società, specie alle nuove generazioni.

In un clima culturale, che esalta la comunicazione e le interconnessioni, e che tuttavia ci porta, ad abitare paradossalmente mondi frammentati, di profonde solitudini – mondi tanto più fluidi e di spaesamento valoriale quanto più le identità sono miscelate, destrutturate -, comprendiamo la rilevanza e l’importanza di ambienti educativi e comunicativi ispirati dalla sapienza cristiana. Don Bosco ne comprese l’essenzialità già due secoli fa. Non a caso è andato incontro ai giovani poveri ed abbandonati, offrendo a loro una casa, un lavoro, una cultura, una fede incarnata. È stato definito, non paia fuor di luogo,  vero intellettuale di massa. Il noto semiologo Umberto Eco, scomparso qualche anno fa, ha letto ed interpretato l’esperienza dell’Oratorio di don Bosco come una macchina perfetta di comunicazione che gestisce in proprio, riutilizza e discute i messaggi provenienti dall’esterno. In tal modo, il progetto educativo dell’Oratorio nasceva stando nel mondo, divenendo però alternativo (rispetto alle categorie dominanti del tempo), e quindi non conformista, apportatore di innovazioni educative, in sintonia con la dignità umana. Alla luce dell’esperienza educativa del santo piemontese, ecco come dovremmo comportarci con riferimento alla cultura digitale, ai nuovi mezzi di comunicazione che ci avvolgono con i loro messaggi troppo semplificati, e quindi poco veritieri, e ci condizionano senza che ce ne accorgiamo, abituandoci ad esserne meri fruitori, quasi spettatori passivi ad imbuto: fare delle nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre associazioni, dei laboratori di una nuova cultura e comunicazione, a servizio della crescita integrale dei giovani. Dovremmo seguire, su un altro piano, ciò che gli Ordini mendicanti del Medioevo, francescani e domenicani – stiamo celebrando l’Eucaristia in questa chiesa ove i figli di san Domenico hanno irradiato il Vangelo e la cultura cristiana -, vollero fare con le loro università: istituire centri culturali ove confrontare ed illuminare i grandi problemi del tempo con la luce del Vangelo, coniugando fede e vita, libertà e verità. Certo, per riuscire in questo intento, per ridare giovinezza e vitalità al pensiero, in una società e in una cultura senescenti dal punto di vista intellettuale e spirituale, dobbiamo essere tutti più reattivi rispetto ai gravi problemi odierni, più solerti nel discernimento. Ma, soprattutto, siamo chiamati ad uscire allo scoperto, a non vivere come ruote di scorta rispetto ad altri, specie di chi organizza la società secondo prospettive lontane dai valori umani e cristiani. Siamo, cioè, chiamati a dare il nostro apporto necessario ed originale di credenti. Siamo chiamati a pronunciarci chiaramente, e ad impegnarci ad inscrivere nelle istituzioni i valori del Vangelo, come hanno saputo fare i cattolici del passato, assieme ad altri uomini di buona volontà. Anche oggi c’è bisogno di persone con schiena eretta, atte a vivere l’Amore della e nella verità, ossia una carità pastorale ed intellettuale che illumina le intelligenze ed accende i cuori di empatia nei confronti della vita buona e del Bello. Solo così si potranno forgiare nuove personalità, nuovi protagonisti nella vita sociale e politica. Ovvero cittadini capaci, a fronte di culture intrise di laicismo e di individualismo libertario, di proporre la promozione dei diritti individuali in connessione coi rispettivi doveri, di saper subordinare la ragione calcolante alla ragione pensante, la finanza alla politica.

Non solo la Chiesa ha bisogno dei giovani attivi e protagonisti, ma anche la società, la città, la cultura, la scienza, l’economia e la politica. I giovani costituiscono un potenziale di energie spirituali, umane e morali, davvero enorme, ma purtroppo sottovalutato e inutilizzato. Senza di essi è difficile il rinnovamento, non si può sperare in un futuro di speranza per la Chiesa e per la società. Essi non debbono essere considerati buoni solo per il consumo, e non per una crescita sostenibile, che deve avvenire secondo una logica del dono e della gratuità. Come già accennato, don Bosco mal sopportava città e quartieri popolati da giovani allo sbando, a rischio, senza un’occupazione, istruzione, senza Dio.

Ragione, religione ed amorevolezza era il trinomio su cui don Bosco imperniava la sua sapiente azione educatrice, liberatrice ed umanizzante. Cari confratelli salesiani, un tale trinomio va rivalutato e reinterpretato proprio nell’attuale contesto socio-culturale. Oggi domina la ragione calcolante, strumentale, mentre dovrebbe vigoreggiare una ragione riflessiva, sapienziale. Oggi, i nostri giovani, sentono poco l’appartenenza alla Chiesa ed interpretano spesso il cristianesimo come una religione «fai da te». Dovrebbero, invece, sperimentare un incontro filiale col Padre, disponibili ad andare ove lui manda a servire. Il pericolo odierno per i nostri giovani è immaginare la comunità ecclesiale come un ambiente estraneo o come l’ambiente ove ci si può ritagliare un angolino, ove si sta bene con pochi amici intimi, ignorando il bene più grande della comunità e del mondo. Oggi, nonostante l’essere iperconnessi, prevale l’indifferenza, la superficialità delle relazioni, l’utilitarismo. L’amorevolezza è sempre più rarefatta e sfuggente. Più aumentano le relazioni virtuali più cresce il bisogno di relazioni più  personali, senza intermediazioni che creano deformazioni, ossia ricche di empatia e di convivialità, che dimostrano quanto la nostra persona è importante per gli altri.

In questa celebrazione eucaristica siamo sollecitati a vivere il trinomio educativo donboschiano in un contesto trinitario. L’esperienza dello Spirito santo, Spirito di Dio e di Cristo, figlio amatissimo del Padre, ci aiuterà a comprendere che il suo Amore non umilia la ragione bensì la sfida e la induce a trascendersi, e inoltre rende il nostro rapporto religioso un incontro con Dio, risposta d’amore al suo Amore, trasfigurazione della nostra amorevolezza umana in una presa in carico disinteressata dell’altro.

Con don Bosco viviamo nella gioia di essere di Dio e di donarlo ai giovani. Preghiamo per i giovani di questa istituzione affinché, guardando ai salesiani e a don Bosco, si appassionino nell’impegno di far crescere i loro coetanei: siano giovani per i giovani. Come l’uomo da leggenda, che è stato il «prete della gioia» – così l’ha definito qualche giorno fa papa Francesco, exallievo salesiano -, ha contribuito ad interpretare la genialità pedagogica del cristianesimo e a sviluppare un nuovo umanesimo giovanile nell’Ottocento, così noi operiamo per un rinascimento educativo della nostra società e per una civiltà che pone il digitale e le nuove tecnologie a servizio della comunione delle persone reali e concrete. «In conclusione, fratelli – come scrive san Paolo ai Filippesi – tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto» dei nostri pensieri e delle nostre sollecitudini (Fil 4, 4-9).

Maria Ausiliatrice ci benedica e ci assista.

+Mario Toso