Quale Umanesimo per i diritti e i doveri?

Brisighella - Pieve Thò, 24 maggio 2015
24-05-2015
QUALE UMANESIMO PER I DIRITTI E I DOVERI?
 
Premessa
Mi congratulo con coloro che hanno organizzato, a nome della Diocesi di Faenza-Modigliana, in collaborazione con l’Associazione Romagna-Camaldoli, la serie di incontri su un tema di grande attualità, che è anche al centro dell’attenzione della Chiesa italiana, la quale ha intitolato il V Convegno nazionale così: «In Cristo un nuovo umanesimo».
Vi sono stati, vi sono e vi saranno molti umanesimi. E, comunque, l’esperienza ci dice che gli umanesimi ad impronta individualistica, utilitarista ed immanentista, frutto di una cultura post-moderna, non sono chiaramente proporzionati alla dignità delle persone concrete, al volume totale delle loro dimensioni costitutive. E, peraltro, non appaiono anche soddisfacenti quegli umanesimi che sono espressione di quella cultura liquida che  non li matura e non li stabilizza minimamente, bensì li sottopone a continui cambiamenti.
È proprio in questo contesto che la Chiesa italiana appare impegnata nella ricerca di un nuovo umanesimo, commisurato all’altissima dignità dell’uomo, alla sua trascendenza, sia in senso orizzontale sia in senso verticale.  Per essa un nuovo umanesimo potrà affermarsi solo all’interno di un processo di nuova evangelizzazione, propiziatrice di un rinascimento sul piano antropologico ed etico.
 

  1. Nuova evangelizzazione e umanesimo

Oggi assistiamo ad una catastrofe antropologica che ci fa toccare con mano quanto l’emarginazione di Dio dalla vita delle persone e dalle istituzioni pubbliche provoca di negativo nell’umano, a cominciare dalla stessa percezione che l’uomo ha di sé e delle società in cui vive. La distruzione antropologica a cui oggi siamo sottoposti, come singoli e come società, è testimoniata da più fatti. Basti pensare ai mutamenti in atto nell’attuale cultura dominante, che non solo non preserva la famiglia quale «baricentro esistenziale», ma la snatura, equiparandola a qualunque nucleo affettivo, a prescindere dal matrimonio e dai due generi. Basti pensare alla recente approvazione, da parte della Francia, ma non solo, del diritto all’aborto, con la conseguente omologazione di un arbitrio e l’indebolimento dello Stato di diritto: se l’arbitrio può essere riconosciuto come un diritto è chiaro che in tal maniera si ammette che non esiste più un fondamento oggettivo ed universale dei diritti, è chiaro che non esistono più diritti e doveri certi. Si è così esposti alla demolizione del valore normativo degli ordinamenti positivi, ma anche alla distruzione delle nostre democrazie, che hanno tra i loro pilastri ordinamenti giuridici certi. Che ci si trovi su una china pericolosissima per la libertà lo mostra il rimprovero mosso dalla Corte europea all’Italia perché troppi medici esercitano l’obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto: episodio veramente grave non solo con riferimento all’assassinio di un nuovo essere umano ma anche con riferimento ad uno Stato  a tendenza totalitaria e dittatoriale. La destrutturazione e la confusione babelica a livello antropologico ed etico sono rese evidenti da quel primato della finanza sulla politica che rende quest’ultima strumentale ad un capitalismo che assolutizza il profitto a brevissimo termine e considera il valore fondamentale del lavoro una realtà marginale rispetto alla produzione della ricchezza nazionale: questa è prodotta anzitutto dalla speculazione; il lavoro sarebbe una mera variabile dipendente dei meccanismi finanziari e monetari.  Quando il lavoro sia considerato un valore marginale o addirittura una variabile dipendente dei meccanismi finanziari perde la sua rilevanza giuridica: ciò che è insignificante dal punto di vista morale non può costituire il fondamento di un diritto.
A ben considerare i fondamentali della cultura contemporanea si deve concludere che il rifiuto di Dio si traduce per l’uomo in un impoverimento della sua intelligenza della realtà, la quale viene decurtata della dimensione di trascendenza; in capovolgimento della scala dei beni-valori, in schiavizzazioni della persona, in privazione del diritto alla libertà religiosa, fonte e sintesi degli altri diritti.
A fronte di una crescente fenomenologia della disumanizzazione, dell’aumento delle diseguaglianze tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, del progressivo deterioramento dell’ambiente che si traduce in danni per la stessa umanità, sia Benedetto XVI sia papa Francesco hanno reagito proponendo una nuova evangelizzazione. Solo questa può favorire l’incontro o il reincontro dell’uomo con Dio e con ciò stesso mettere le premesse di una rinascita dal punto di vista umano. Nella Caritas in veritate (=CIV) di Benedetto XVI troviamo scritto che l’annuncio di Cristo è primo e principale fattore dello sviluppo integrale e, quindi, del compimento umano (cf CIV n. 8). Abbastanza recentemente papa Francesco, in vista di un nuovo umanesimo, integrale ed inclusivo, comunitario ed aperto alla Trascendenza, nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium, ha esortato  a vivere la dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione.
L’incontro con Cristo, l’adesione a Lui, la comunione esperienziale con la sua vita – vita di amore trasfigurante – ci induce non solo a porre le basi di un nuovo umanesimo dal punto di vista della dottrina, bensì anche sul piano della vita. Vivendo in comunione con Cristo siamo sollecitati non solo a formulare un nuovo umanesimo dal punto di vista teorico ma anche dal punto di vista pratico, mediante le opere. Proprio questa constatazione, frutto di una riflessione sull’esperienza, ha fornito la base dell’ideazione, della programmazione e della celebrazione del prossimo V Convegno ecclesiale. Dapprima mostrare che l’incontro con Cristo da parte dei singoli e delle comunità, grazie ad una nuova evangelizzazione, consente di elaborare un’antropologia e un’etica più adeguate, più rispondenti alla verità sull’uomo, sulla famiglia, sulla società, sul lavoro, sull’economia, sulla finanza, sulla politica, sull’ambiente. In secondo luogo, far comprendere come un nuovo umanesimo non si riduce a ortodossia, a corretta visione sull’uomo, a dottrina astratta, ma è anche vita buona, azione retta, ortoprassi efficace, perché costruisce la città a misura della dignità trascendente delle persone. Un nuovo umanesimo implica buone pratiche, comportamenti, stili di vita, istituzioni, leggi, movimenti sociali, ethos, politiche e culture orientati a favorire la crescita integrale dei singoli e dei gruppi.
Proprio per questo, papa Francesco parlando ai vescovi italiani li ha sollecitati a che il loro discernimento sulla situazione attuale li aiuti «a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini» (Discorso  alla 66.a Assemblea generale della CEI, 19 maggio 2014). Detto altrimenti, il Convegno ecclesiale di Firenze non deve limitarsi ad analisi della situazione, ad esprimere giudizi, ma deve sfociare nell’impegno di modificare la realtà, la vita concreta delle persone, della nazione, per rispondere alle sue attese e alle sue speranze più profonde. I credenti non devono semplicemente tenere vive «utopie» ma devono saper costruire, creare «altri luoghi» di vita, dove si vive la fraternità, la comunione, la condivisione, l’accoglienza della diversità, la cura per l’altro.
 

  1. In Cristo un nuovo umanesimo per i diritti e i doveri

A fronte dell’odierna desemantizzazione del diritto e dell’ordine corrispondente è quanto mai urgente il ripristino di un fondamento certo  per essi, quale punto di riferimento per la statuizione della loro valenza antropologica ed etica.  Il diritto e gli ordinamenti positivi necessitano, in particolare, del superamento del loro sradicamento dalla legge morale naturale, propiziato da una cultura moderna propensa all’autoreferenzialità conoscitiva e al primato del fenomeno, nonché della attuale giustificazione mediante una ragione scettica e un individualismo  anarchico ed utilitaristico.  Occorre che i diritti ritrovino come strumento fondativo  del loro valore regolativo della vita sociale quella ragione pratica che è propria di ogni essere umano e che è radicata nella capacità nativa di ricercare il vero, il bene e Dio. Non si parla qui di un fondamento prettamente metafisico: esso farebbe cadere nel cosiddetto paralogismo naturalista. Ci si pone su un versante chiaramente morale.
Solo una nuova evangelizzazione che consente alle persone di vivere in comunione con Dio, Sommo Vero, Somma Bontà, Somma Bellezza, potrà aiutare a vincere la crisi semantica e valoriale del diritto contemporaneo. Solo chi vive in Gesù Cristo, Via, Verità e Vita  può disporre di una capacità conoscitiva e di un’esperienza morale che rende più evidente e certo ciò che possiamo definire la base etica primigenia da cui  partire per enucleare le esigenze universali del diritto  naturale e positivo. Solo chi dispone di capacità conoscitive ed etiche accresciute può offrire maggiori garanzie di fondazione e di solidità al diritto. Una nuova evangelizzazione, che consente una più grande comunione con la Verità, il Bene e la Bellezza rende più evidenti i primi principi morali che costituiscono il fondamento universale dei doveri e dei diritti. Essi sono: fa il bene ed evita il Male; fa agli altri tutto ciò che desideri sia fatto a te; uno sviluppo umano integrale, come ha insegnato la Populorum progressio di Paolo VI.
In breve, qualora, grazie ad una nuova evangelizzazione si potrà disporre di un più saldo ancoraggio con la legge morale naturale, si potrà sperare in un nuovo fondamento per i doveri e i corrispondenti diritti.