OMELIA per la VEGLIA DI PENTECOSTE

Faenza - S.Giuseppe artigiano, 22maggio 2015
22-05-2015

Cari fratelli e sorelle,

la partecipazione a questa Veglia ci aiuti a divenire sempre più consapevoli della nostra appartenenza alla Comunità dell’Amore, generativa di vita, che è la Santissima Trinità. Lo Spirito d’amore di Dio Padre e del Figlio, pertanto, dev’essere il nostro Spirito: Spirito di ricezione della vita divina e di dono; Spirito di comunione e di dialogo; Spirito dei figli che riamano il Padre offrendo tutto il proprio essere, come l’offrì il Figlio Unigenito; Spirito di verità, di intelletto, di scienza, di sapienza, di fortezza, di consiglio, di pietà, di timor di Dio.

Solo se la potenza dello Spirito santo, Spirito creatore e redentore, inonderà, nostro tramite, la terra, sarà possibile una nuova umanità e una nuova storia, un grande popolo che riunisca tutte le genti del globo in un’unica famiglia, la famiglia di Dio. Lo Spirito di Dio non ha confini. Non trova altro ostacolo al suo soffio se non la libertà dell’uomo, quando si chiude egoisticamente in se stesso.

Solo chi si lascia pervadere, strutturare e scolpire da Dio, che è Spirito d’amore e di verità, Spirito di vita, si costituisce nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nelle opere di cooperazione e di solidarietà, nella comunità civile, come soggetto di innovazione, che trasfigura persone, istituzioni, strutture, ambienti di vita in termini relazionali, comunionali e comunitari.

Oggi, a casa nostra e nel mondo, si avverte l’urgenza di testimoni dello Spirito Santo, capaci di agire per umanizzare e liberare. Trasfigurati dall’amore di Dio, siamo chiamati a vivere una vita strutturata a «tu», una rete di relazioni e di comunicazioni senza barriere, ove le persone non sono considerate un mezzo o una cosa da utilizzare a nostro vantaggio, bensì un tu da amare non solo in se stesso, ma in Dio, per quanto possibile con lo stesso amore con cui è da Lui amato. In particolare, siamo sollecitati a crescere, instaurando legami di solidarietà, di aiuto e potenziamento reciproco. L’esperienza della vita, ma soprattutto la fede, ci dicono che non possiamo raggiungere il nostro compimento umano sulla tomba della comunità, distruggendo i legami sociali. Al contrario, solo l’incessante offerta di noi stessi consente di essere ad immagine di quel Dio amore, sul cui fondamento siamo e ci muoviamo. Possiamo rendere reale il sogno di un’unica famiglia umana, diffondendo l’amore filiale di Cristo per il Padre e riconoscendoci in Lui come fratelli.

Quando in tutti alberga uno stesso Spirito, lo Spirito dei figli nel Figlio, la Pentecoste diviene l’alba di una nuova storia.

Oggi, festa di santa Umiltà, co-patrona della città di Faenza, viene spontaneo pensare a Lei come testimone luminosa di quello Spirito che ricrea l’umanità, le relazioni con l’ambiente, paradossalmente anche mediante una vita eremitica. Santa Umiltà non è partita missionaria in terre lontane. È rimasta nella sua piccola cella presso la chiesa di sant’Apollinare, appena fuori Faenza. Da lì, irradiava novità di vita, mediante il digiuno, la contemplazione, l’accompagnamento spirituale. Lei, che per ben due volte era stata sfortunata come madre, divenne generatrice di innumerevoli figlie e figli spirituali. La sua vita di reclusa non era solitaria. La sua cella era arredata unicamente da un tavolaccio che usava come giaciglio ed aveva due finestrelle: una aperta verso la chiesa, per partecipare alla celebrazione dei Sacramenti, e l’altra verso la strada, per ricevere qualche elemosina ed ascoltare chiunque venisse, come aveva stabilito l’abate di Crespino, alla cui autorità si era sottomessa. Lì accorrevano persone di ogni rango: contadini, mamme, giovani e vecchi, sacerdoti, lo stesso vescovo della città, ed anche suo marito, che aveva abbandonato ogni cosa per farsi monaco e l’aveva scelta come guida spirituale, chiamandola «madre». Le faceva compagnia una donnola, arrivata inopinatamente. Umiltà la considerava un dono inviatole da Dio. Quando pregava, la bestiola si accovacciava ai suoi piedi. Rifiutava persino i bocconi di carne, che le offrivano quanti venivano a parlare con Umiltà. Sembrava voler partecipare alla vita di colei che l’ospitava. L’amore di Umiltà per Dio, il suo Tutto, coinvolgeva anche le creature del suo Signore. Si potrebbe dire che Umiltà sia stata un’ecologista ante litteram, come Francesco d’Assisi.

Anche noi, nel nostro oggi, possiamo essere propiziatori di un’alba di Pentecoste, di nuove relazioni, quando partiamo missionari, come testimoni itineranti di vita nuova, Ce lo confermano i nostri giovani, che questa sera riceveranno il mandato e andranno in varie parti del mondo ad affiancare sacerdoti e volontari nelle loro opere di evangelizzazione e di umanizzazione.

Colmi dello Spirito del Padre e del Figlio, porteranno una nuova umanità, parleranno col linguaggio dell’amore, per riadunare i dispersi, ricucire le divisioni, aprire la via a dialoghi fecondi nella comune ricerca del vero, del bene e di Dio.

Per chi rimane e per chi parte un faro di luce è rappresentato dalla schiera dei martiri contemporanei, nel nostro tempo più numerosi che nei primi secoli del cristianesimo. Non possiamo dimenticarli e rimanere indifferenti, voltando la testa dall’altra parte, come spesso vediamo fare dalle grandi Nazioni.

La C.E.I. ha proposto di dedicare questa Veglia di Pentecoste a tutti i martiri di oggi. Essi ci appartengono, perché sono corpo di Cristo al pari di noi. Le persecuzioni, gli assassinii di questi fratelli colpiscono anche noi. Sono il Cristo nuovamente martirizzato e assassinato. Come ha scritto recentemente padre Douglas Bazi, parroco a Bagdad, i nostri fratelli martiri non si preoccupano tanto di essere uccisi. Non sono adirati con Dio, ma si abbandonano completamente nelle Sue mani. Temono, tuttavia, di esser dimenticati dai loro fratelli, per i quali stanno morendo. In definitiva, sono consapevoli di andare incontro alla morte non solo per se stessi, ma anche per noi. Testimoniano, così, un amore totale a Cristo, affinché non venga meno il nostro amore a Colui che è Signore della vita.

Cari fratelli e sorelle, questa sera preghiamo i nostri fratelli martiri, al fine di essere degni di Cristo, e di non tradirlo qui, nel nostro Paese, nelle nostre famiglie. Dobbiamo avere il coraggio di testimoniare una vita nuova, accogliendo lo Spirito Santo, principio di ogni vera rivoluzione religiosa e sociale. E saremo Suoi testimoni, diventando costruttori di un mondo migliore, ove la vita trinitaria sia incarnata nelle leggi, nelle strutture e in tutti gli ambienti della società civile. Occorre prevenire le guerre del fanatismo religioso, le torture, le esecuzioni, perché ogni persona è un essere umano come noi, non importa se di etnia, colore della pelle, credo religioso o provenienza differente.

Alla preghiera solidale, aggiungiamo dunque un proporzionato impegno nella vita politica, nelle legislazioni, nelle relazioni internazionali, per concorrere a creare condizioni che permettano a tutti indistintamente di godere della libertà di esprimersi e, in particolare, della libertà religiosa.

Lo Spirito di Dio rinnovi la terra e l’umanità che la abita.