OMELIA per la MESSA DELLA NOTTE di NATALE 2015

Faenza - Basilica Cattedrale, 25 dicembre 2015
25-12-2015

Cari fratelli e sorelle,

in questa notte beata, attraverso la Parola di Dio, ci è comunicata una notizia unica, sensazionale, destinata a rivoluzionare il mondo, a portare pace e speranza a tutti.

Ecco la notizia più consolante di tutti i tempi, per tutte le generazioni: «Oggi – scrive san Luca – nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2, 11).

Il «cuore» dell’annuncio sta in questo: «per noi è nato il Salvatore». Una simile notizia non può lasciarci indifferenti. Infatti, se viene a noi il Salvatore tutto cambia, tutto può essere diverso. Non abbiamo, forse, bisogno di chi, oggi, ci salvi, dal momento che viviamo in un mondo di odio, violenza, guerre, terrorismo, ingiustizie, povertà, e gli sforzi delle persone di buona volontà appaiono fortemente impari rispetto alle necessità, a tirarci fuori dall’iniquità e dalle tenebre del male? Non dobbiamo anche noi, già logori e stanchi a causa di tante angustie ed oscurità, riconoscere, come gli antichi greci, che oramai solo un Dio ci può salvare? Non aveva ragione il grande filosofo Martin Heiddeger quando affermava che nulla, né la filosofia né alcuna altra intrapresa umana, può produrre un significativo cambiamento del mondo se non Dio?1

Il Signore, che si rende presente nella storia, e diventa «Dio con noi», non è più il Dio distante. Entrando nel mondo è il Vicino, che rimane con noi sino alla fine del mondo (cf Mt 28,20). Egli viene a salvarci, nel senso che non ci lascia soli a combattere contro il male, l’illegalità, la corruzione, e tutte quelle idolatrie che rendono l’uomo schiavo di se stesso. Dio si schiera dalla nostra parte. È per noi, come ci ricorda l’anno giubilare inziato lo scorso 8 dicembre, la Misericordia di Dio. Con Lui presente, in noi e negli altri, tutto è possibile. È possibile sconfiggere l’egoismo, il peccato, il fratricidio, l’odio alle religioni, gli attacchi alla vita, alla dignità umana, alla pace, alla casa comune che è il creato; la tratta degli esseri umani, le emigrazioni forzate, lo sfruttamento del lavoro, l’emarginazione dei più deboli. È possibile perdonare.

Siamo come quei pastori che vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge, e all’annuncio dell’angelo «si affrettarono» – dice letteralmente il testo greco – per andare sino a Betlemme a vedere il grande evento. Anche noi, ai quali non rimane che presidiare il bene rimasto – nel cuore, nella famiglia, nella città, nella politica, nella finanza, nella cultura – muoviamoci per vedere meglio, e capire sempre più profondamente, il mistero dell’incarnazione che congiunge cielo e terra. Afferriamo il suo significato per la nostra vita e la storia umana. Svegliamoci. Usciamo dalle nostre visioni corte ed anguste. Entriamo, ancora una volta, nella realtà del Natale. Comprendiamone la verità intera. Cogliamo le conseguenze di quel mirabile scambio che, come spiega sant’Agostino, avviene tra Dio e l’umanità, dal momento che il Verbo si è fatto carne: et Verbum caro factum est! Cerchiamo di capire perché il Bambino posto nella mangiatoia e non in una culla regale, dissolve le tenebre ed è luce per noi (cf Is 9, 1-6).

Nella Notte Santa, Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Accogliendo l’Uomo Nuovo che è Cristo, ci umanizziamo, ricevendo la sua capacità divina di vincere il male, di perdonare, di amare. Diventiamo più umani perché il Figlio di Dio ci divinizza. Il Creatore del genere umano ci conferisce, assumendo un corpo, la sua divinità.

Nel Natale Dio, il «Cielo», si fa uomo, diventa «terra», perché l’uomo, la «terra», diventi Dio, «Cielo». Grazie all’admirabile commercium che avviene tra Dio e l’umanità non possiamo più ragionare alla maniera di Thomas Hobbes, teorizzatore di un umanesimo pessimista: homo homini lupus. L’uomo è per l’altro uomo un lupo, una bestia feroce. Dovremmo, piuttosto, pensare e dire con le parole di un altro filosofo, Baruch Spinoza: homo homini Deus. L’uomo è per l’altro uomo un «Dio». Ne derivano conseguenze importanti per le relazioni interpersonali, diverse da quelle comandate da una visione belluina dell’uomo: ossia relazioni di misericordia, di fraternità, relazioni familiari, solidali. L’uomo non dev’essere considerato un nemico, tantomeno uno «scarto», ossia un essere inutile ed inservibile, ma neppure uno strumento e una cosa da usare. La persona umana, ha spiegato bene Immanuel Kant, dev’essere sempre per l’altro un fine, mai un mezzo.

L’altro da me, l’altro «io», giacché in lui, come in me, abita Cristo, dev’essere considerato un simile, un mio pari nella dignità: non solo sul piano meramente umano, ma anche su quello divino.

Come ha scritto santa Edith Stein, ebrea convertita al cristianesimo, allieva e poi assistente del filosofo Edmund Husserl, morta nel lager di Auschwitz, «Dio è diventato un figlio degli uomini, affinché gli uomini potessero diventare figli di Dio».2 Mediante l’incarnazione e il dono del suo Spirito, il suo amore vive in noi. Agiamo come Lui, amiamo in maniera non semplicemente umana. «L’amore naturale tende ad avere per sé la persona amata e a possederla nella maniera più indivisa possibile. Cristo è venuto per riportare al Padre l’umanità perduta; e chi ama con il suo amore vuole gli uomini per Dio e non per sé. Questa è naturalmente nello stesso tempo la via più sicura per possederli eternamente; quando infatti abbiamo posto in salvo una persona in Dio, siamo con lei in Dio una cosa sola, mentre il desiderio di conquistarla conduce spesso – anzi prima o poi sempre – alla sua perdita. Ciò vale per l’altrui anima come per la propria e per ogni bene esteriore: chi si dedica alle cose esteriori per conquistarle e conservarle, le perde. Chi ne fa dono a Dio, le guadagna».3

Cristo, a noi che spesso abbiamo un cuore di pietra, indifferente all’altro, desidera donare un cuore di carne. Come già detto, Dio nella Notte Santa viene a noi perché diventiamo più umani. Ascoltiamo Origene: «In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2,20)» (in Lc 22,3).

Sì, per questo desideriamo pregare in questa Notte Santa con le stesse parole di Benedetto XVI: «Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen».4

1 Cf M. HEIDEGGER, Ormai solo un Dio ci può salvare, Guanda, Parma 1987, p. 136.

2 EDITH STEIN, Il mistero del Natale, Queriniana, Brescia 201511, pp. 29-30.

3 Ib., p. 33.

4 BENEDETTO XVI, Omelia del 24 dicembre 2009.